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giovedì 21 giugno 2018

Parole in libertà - Artemanti alla Biennale.

Da “SeleArte”, n.12 (mag.-giu. 1956) riproponiamo questo scritto, un po' divertente, molto amaro nella sostanza, il cui titolo originale sembrerebbe, stando almeno ai dizionari ed a Internet, un neologismo di Carlo L. Ragghianti. Cioè una parola nuova derivata, per analogia con “rabdomante” a significare un indovino con la bacchetta, uno che pretende di scoprire l'arte con mezzi divinatori. Concettualmente, comunque parole in libertà.
Già Parole in libertà è stato il titolo che lo storico dell'arte diede – in occasione della pubblicazione su “Critica d'Arte”, se non sbaglio – ad una lunga lettera metodologica indirizzata a Bruno Zevi nel 1950. In seguito questo documento fu ripubblicato nella seconda edizione de L'arte e la critica, Vallecchi, 1980 alle pp.111-116, con il titolo Confusiologia dell'arte. Parole in libertà.
Perché questo vetusto recupero da “SeleArte”? Perché – e non solo nella critica d'arte, specialmente contemporanea –
troppo spesso gli scritti di analisi ancor oggidì abbondano di incomprensibili “voli pindarici”, di banalità rese astruse, nonché di oscurità concettuali non di rado artatamente gabellate per riflessioni originali. Sarebbe bene che lettori e recensori invece di subire questi “ermetismi” incomprensibili li denunciassero per quel che sono: disprezzo della cultura delle singole persone, truffa supponente e di conseguenza danno reale perché si configurano come “circonvenzione”, aggravata perché commessa a danno di chi esercita il diritto a farsi o a migliorare la propria cultura in un'aspettativa di corretta informazione. In particolare non si comprende perché editori e direttori (quando non siano mandanti di fumisteria mistificatoria) non sanzionano quei loro collaboratori che così si esprimono, se non altro lo dovrebbero fare in sede civili per risarcimento di danno d'immagine.
F.R.


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