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mercoledì 28 marzo 2018

Il Ponte sullo Stretto di Messina




Dopo aver letto questo testo di “SeleArte” (n.9, nov.-dic. 1953), nell'ottica odierna verrebbe da esclamare: C.L. Ragghianti è impazzito? Come figlio e conoscitore discreto e il più capillare possibile della persona di mio padre, posso assicurare che egli oggi non sarebbe favorevole alla realizzazione di questa enorme, impegnativa e pericolosa opera pubblica.
Per prima cosa, come sempre, bisogna storicizzare il contesto. Subito dopo la Guerra 1939-1945 ovunque fu un rifiorire di tecnologie innovative con aspirazioni “grandiose” nel nucleare bellico e civile, nelle progettazioni aeronautiche e astronautiche, in grandi opere di ingegneria ispirate alla riuscita della Tennessee Valley Authority voluta da F.D. Roosevelt, e via dicendo. Questo ottimismo romanticamente discendente da visionari del secolo XIX e degli inizi del XX, pubblicizzato da scrittori come Verne e Robida – e in Italia ricordo Salgàri e Yambo – e esaltato dallo scientismo positivista era assai diffuso. Anche l'ammirazione per i grandi tecnici, a volte veri e propri artisti come Eiffel, faceva seguire con vivo interesse i progetti e la costruzione dei grattacieli, dei ponti, della direttissima Firenze-Bologna, dei canali (Suez, Panama), dei tunnel realizzati o progettati (per quello della Manica sono documentati vari progetti piuttosto interessanti). Oltre a questo clima c'era praticamente ovunque l'esigenza di ricostruire (e in Europa soprattutto intere nazioni erano 
state gravemente devastate) sulle macerie della guerra con criteri spesso avanzati o nuovi. Si ricordi che nel 1953 in Italia la progettazione dell'Autostrada del Sole era una realtà di prossima costruzione. Questi argomenti sono importanti per la comprensione di chi allora viveva ed operava con tecnologie già consapevoli dei problemi ed in grado di affrontarli con alti standards di sicurezza (penso soprattutto ai sismi che a Reggio-Messina sono stati frequenti e possono di nuovo essere devastanti).
Però l'elemento dirimente per cui l'uomo del 1953 poteva serenamente essere favorevole ad un Ponte sullo Stretto è dovuto ad un fattore che allora rendeva solidamente e politicamente possibile affrontare il problema contestualmente per risolverlo. Si tratta, in fondo, di un uovo di Colombo: nel 1953 l'Italia non era oberata dal colossale, mostruoso deficit monetario che oggi l'affligge e la impegna costrittivamente nei confronti dei creditori, soprattutto stranieri. Quindi nel 1953 laddove ci fosse stato bisogno di apertura di credito eccezionale per il Ponte, le risorse occorrenti sarebbero state trovate o sottoscritte tramite obbligazioni sane e garantite.
Perciò Carlo Ludovico Ragghianti non era impazzito o irresponsabile: era un uomo consapevole del suo tempo, un cittadino critico (tanto, se necessario) ma costruttivo.
F.R.


P.S. - Circa un anno e mezzo dopo il testo soprapubblicato sullo Stretto di Messina, nel n.17 di "SeleArte" (mar.-apr., p.53) C.L.Ragghianti torna sull'argomento ponti pubblicando la nota seguente sui problemi collegati alla elasticità delle ardite costruzioni dell'epoca e la illustra con un rendering riguardante uno dei progetti sul Ponte sullo Stretto.



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