Carlo e Licia

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domenica 25 marzo 2018

L'Arte Moderna in Italia, 1915/1935 – 4. Bacci, Dudreville, Gola, Magri, Paresce, Rambelli, Bartoli, Guidi.


Post precedenti:
1. 30 dicembre 2017
Presentazione di Carlo L. Ragghianti.
Criteri del Catalogo, Bibliografia generale. Comitato d'onore; Comitato esecutivo; Comitato tecnico; Comitato di consulenza nazionale; Consiglio A.T.T. di Firenze; Consiglio de “La Strozzina”;  organizzatori percorso museografico; segreterie; fornitori dell'esposizione.
2. 31 dicembre 2017
Criteri assegnazione schede critiche; criteri per la consultazione del Catalogo e quelli distintivi di questa rievocazione.
Artisti: ALCIATI, Nino BARTOLETTI, Pasquarosa BARTOLETTI, BIASI, BONZAGNI, BOSIA, BUCCI, CHECCHI, COSTETTI, FERRO.
3. 28 febbraio 2018
Artisti: GALIZZI, GEMITO, GRAZIOSI, Piero MARUSSIG, OPPI, PENAGINI, PRENCIPE, SPADINI, WILDT.


In un primo tempo nella serie di artisti presenti in questa quarta puntata di “Arte in Italia 1915-1935” era previsto anche Massimo Campigli, perché per quanto pittore assai stimato e considerato da Ragghianti ed anche per quanto simpatizzassero (come risulta anche dalla magra corrispondenza) non ci pareva di disporre di una quantità di materiali sufficienti a giustificare un post a sé stante (come per Boccioni, Morandi ed altri). Però predisponendo fotografie, testi ecc.
dell'artista mi sono accorto che occorrevano ulteriori accertamenti e riscontri. Ne consegue che o si ritardava la postazione collettiva di questo capitolo, data l'impostazione generale di seguire le sequenze cronologiche del Catalogo, o si ricorreva alla postazione singolare, considerando che alla fin fine il materiale già individuato lo può consentire.
F.R.



Principi estetici di Leonardo Dudreville, 1914.
Lettere di C.L. Ragghianti a Dudreville, 1960.
Con l'opera di questo pittore Carlo L. Ragghianti ebbe un rapporto oscillante tra considerazione e fastidio. Un atteggiamento irresoluto che, posso testimoniarlo grazie alla lunga consuetudine con lui, era davvero inconsueto, soprattutto perché il saper distinguere il grano dall'oglio nello stesso artista di solito gli risultava congenito, immediato. Perciò nella fattispecie penso che R. fosse infastidito dal dover nutrire riserve anche severe nei confronti di una persona civile e cortese, come risulta dalla pacata lettera manoscritta di rimostranze che Dudreville gli inviò il 14 marzo 1953. In questa missiva (ritrovata in un incartamento estraneo e che manderò all'Archivio di Lucca) l'artista si doleva di essere stato citato nell'articolo L'arte in Russia oggi (“SeleArte”, n.3, nov.-dic. 1952, p.7), tra altri, come esempio di “realismo socialista”, anche se “talora veramente eccellenti professionisti della rappresentazione ottica di cose reali od in sé od a vari fini politici, religiosi, sensuali e via dicendo”, precisa Ragghianti. Evidentemente mio padre aveva sviluppato una sorta di ripulsa verso personalità repentinamente convertite dal “futurismo” alla più opaca e spesso volgare acquiescenza di “richiamo all'ordine” fascista. (Vedasi l'orrenda parabola di Balla disprezzato anche come persona da R., così come Dalì o Magritte e certo Surrealismo abile, astuto, ammiccante ma espressivamente inesistente). Nell'opera di Dudreville questa dicotomia è però manifesta, ma non maliziosa perché se (come vedo
nella documentazione che Paolo Thea fornisce nell'affettuosa monografia Leonardo Dudreville a Griffa, Vangelista, Milano 1988) il pittore è persona in buona fede nelle scelte anche sbagliate. Così nella seconda parte della vita professionale di Dudreville constatiamo un operatore diligente, atono e con cadute illustrative alla Achille Beltrame, come si può vedere nel sopra illustrato Bozzetto per manifesto (1921). Si riportano i Princìpi Estetici (1914) del pittore, espressi nel pieno della sua adesione futurista. Le lettere che nel 1960 Ragghianti gli invia mostrano nella prima che il critico considerava la sua pittora futurista a pieno titolo degna di essere coprotagonista nell'originale, approfondita ricostruzione di quel fenomeno artistico che il critico stava approntando per la Biennale di Venezia. Nella seconda lettera, invece, si assiste ad uno degli effetti conseguenti la sconcia operazione di intolleranza, alla aggressione intellettuale inaudita fino ad allora ed evidentemente resa possibile dalla recrudescenza fascista (non neo!) espressa dal Governo Tambroni, da tanta DC, da troppa borghesia. Da notare, e temo di non sbagliare, che verso R. non ci furono significative manifestazioni di solidarietà, tanto meno dai “colleghi”. Comunque il progetto della mostra ostracizzata, vale a dire della Prima mostra storica del Futurismo, scritto nel luglio 1959 e realizzato per la Biennale di Venezia 1960 fu poi pubblicato in “Critica d'Arte”, n.172-174, lug.-dic. 1980, pp. 181-201.
F.R. (9 febbraio 2018)

Nel Catalogo della mostra di questo artista, la cui opera è distinta – come in altri casi – in due periodi della sua arte rappresentati da due schede ed esposizione in due diversi spazi di Palazzo Strozzi, si verifica l'unico caso di due critici compilatori delle due schede sul pittore. Siccome questo fatto non ha risvolti polemici o d'altro tipo (la morte del primo degli assegnatari prima della scrittura della seconda parte, ad esempio) resta solo la modesta curiosità per questa 
discrepanza. Considerando inoltre che questa rievocazione della Mostra 1915-1935 è basata sulla presentazione delle schede scritte da Ragghianti, mentre quelle scritte dagli altri membri del Comitato – almeno in questa nostra prima serie – non saranno postate, la scheda Gola 2 precederà quella di Gola 1 (di Raffaellino De Grada), in questa sede considerata come documento appendicolare.
F.R.

Ferimento di una bambina, 1908. Buenos Aires, coll. priv.
La vendemmia (part.), 1912-14. Carpenedo, Coll. Matter.
A sinistra: La casa colonica (part.), 1912. Carpenedo, coll. Matter.
A destra: Autocaricatura.

Dopo l'iniziale scheda di C.L. Ragghianti sono illustrati tre dipinti di Alberto Magri, il terzo dei quali – insieme ad altre immagini però già in questa sede riprodotte – proviene da Bologna cruciale 1914, libro nel quale il critico tra l'altro scrive: “per non parlare di Magri che fu una rivelazione e ammirazione anche da Boccioni ormai in crisi, nel 1916, e del Viani della protesta...”. Segue un testo redazionale (però di C.L.R.), pubblicato nel “SeleArte” rubrica di “Critica d'Arte” (n.3, ott.-dic. 1984, p.23) e qui sopra riportato, che oltre a considerazioni critiche riassume il percorso dell'opera di questo appartato e poco noto pittore di Barga dagli esordi a “La Strozzina” (1951) fino alla mostra presso il Castello di Volpaia (1984) con un saggio di Pier Carlo Santini che Ragghianti evidentemente lesse a Lucca e che noi non possiamo qui riprodurre perché la parsimonia dell'autore non ne fece spedire una copia alla redazione della rivista presso l'U.I.A. di Firenze. Della mostra del 1951 ricordo le apprensioni e il gran da fare di Alessandro Parronchi, concluso nelle poche righe del cataloghino (qui riprodotto in rapporto 1:1, erano ancora tempi di magra postbellica); poi il divertimento di Rosetta e mio (8 e 11 anni) per queste immagini terse 
ed evocative senza retorica di un mondo che conoscevamo perché era ancora vigente nella campagna che vedevamo. Segue la trascrizione (l'originale in fotocopia è irriproducibile) della lettera che C.L.R. inviò il 19 gennaio 1951 a Camillo Matter, il maggior collezionista della quantitativamente esigua produzione di Magri, già contattato il 5 dicembre 1950 per ottenere il prestito delle opere della sua collezione. Si tratta di un progetto editoriale un po' “garibaldino”, secondo una prassi non inconsueta in mio padre, il quale qualche volta dimenticava che gli altri non sempre (anzi) sono mossi da motivazioni e impegni sociali e, soprattutto, da disinteresse per un personale profitto. Quindi non so se il progetto finì nel nulla. Conclude questa rassegna un breve testo di Umberto Sereni sui disegni di Magri pubblicato su “Sinopia” un'originale e coraggiosa iniziativa editoriale diffusa gratuitamente in Versilia, ideata e diretta da Serafino Beconi, un pittore di cui conosco qualche ottimo disegno ma del quale ignoro la pittura che probabilmente meriterebbe di essere indagata e studiata criticamente e proposta all'attenzione del pubblico.

F.R. (5 febbraio 2018)

Collezione Alberto Della Ragione. Museo del '900, Firenze.


Simpatico e cordiale “omarino” romagnolo conosciuto all'inaugurazione (5 febbraio 1967) nel Salone dei Dugento in Palazzo Vecchio a Firenze della Mostra delle opere donate dagli artisti al costituendo Museo d'Arte Contemporanea promosso, contestualmente al Fondo Internazionale per Firenze, da Carlo L. Ragghianti immediatamente dopo l'Alluvione del 4 novembre 1966. Nella fotografia l'artista, mentre posa accanto alla propria scultura, tiene in mano il Catalogo dell'Esposizione, da me curato (da solo e gratuitamente) in tempi rapidissimi lavorando anche di notte, come per altro gli operai della tipografia alluvionata, in ambienti di fortuna tra i miasmi del fango ancora ammassato e in via di essiccamento. 
Considerando che la cosiddetta “Piazza della paura” costituisce per l'artista un momento epico per la collaborazione con l'ammirato Lorenzo Viani, riporto lo scritto di C.L.R. sul monumento di Viareggio anche se il Rambelli vi è soltanto citato. Da “Sinopia”, originale non conformista periodico realizzato coraggiosamente da Serafino Beconi, riporto un suo testo sul monumento e una pagina di Antonella Serafini (che per anni è stata nel Comitato scientifico della Fondazione Ragghianti ) su i disegni di Rambelli, quindi di nuovo sulla scultura un intervento di Umberto Sereni, anch'egli assiduo consigliere di amministrazione del Centro Studi Ragghianti, nonché apprezzato studioso di letteratura italiana e cultura stimato da C.L.R.
F.R. (5 febbraio 2018)

P.S. - Dato che il precedente materiale su Rambelli e la sua scultura non è stato ancora scannerizzato, aggiungo ora, anziché un domani sotto forma di “addendum”, quanto ho riscontrato scrisse su di lui Carlo L. Ragghianti nel 1939 in La III Quadriennale d'arte italiana (“Critica d'Arte”, a. IV, n.1, fasc. XIX, gen.-mar., p.1 e p.7). Dopo una importante introduzione metodologica sui compiti della critica, che riporto integralmente, C.L.R. implica in merito Rambelli:

Quindi, dopo aver citato i casi di Griselli, Messina, Severini, Gentilini e altri artisti, Ragghianti inizia a illustrate la sezione SCULTURA della mostra e riprende:





Bruno Caruso: Bartoli quando litigava con la moglie e passeggiava nervosamente sotto il letto.



Uno dei personaggi più noti dell'ambiente gravitante attorno a “Il Mondo” di Mario Pennunzio, Bartoli Natinguerra assieme a Nino Maccari – suo sodale per la bassa statura certamente, per il resto ignoro i loro rapporti – costituì la coppia di vignettisti della celebre ed ora mitica rivista la cui redazione Carlo L. Ragghianti frequentava assiduamente quando era a Roma (fino a metà anni '60 molto spesso e spesso a lungo quale Presidente dell'ADESSPI, associazione laica per la difesa della scuola pubblica). Le sue relazioni personali con R. erano quelle consuete per quel tipo di frequentazioni nella capitale, cordiali ma non impegnative, perciò fugaci. Se non al contrario, certo diversamente erano i rapporti, più o meno abituali, consueti ma stretti per opinioni intellettuali e politiche condivise, per trascorsi di dignità e sofferenza, con Flaiano, Pannunzio (anche lui lucchese come Arrigo Benedetti) De Caprariis, Ferrara padre ed altri collaboratori del settimanale più autorevole allora pubblicato in Italia.
Considerando che per ragioni anagrafiche sarà improbabile che io abbia l'opportunità di ricordarlo in futuro, apro una parentesi per rendere noto il rapporto tra mio padre e Ignazio Silone, allora se non proprio residente, spesso e a lungo presente in Roma. Riferisco ciò che Geno Pampaloni ebbe a raccontare con occhi lucidi di commozione circa una cena avvenuta a Roma tra loro tre nella quale lui si trovò estraniato testimone quanto Ragghianti e Silone presero a ripercorrere le loro esperienze di socialisti delusi, di antifascisti militanti nella cospirazione, le loro amarezze, le tremende trepidazioni e la sofferenza per le conseguenze delle loro decisioni operative. Il “Pampa”, sempre più commosso (e per lui esserlo genuinamente non era consuetudine; non era Ferruccio Parri), concluse il racconto descrivendo il momento apicale dello scambio intellettuale tra quei due “monumenti” dell'antifascimo proponente e costruttivo, cioè 
quando d'un tratto, spontaneamente si presero la mano proseguendo a parlare d'un futuro incerto e buio, come bambini in cerca di reciproco conforto. Considerando che probabilmente l'originalità creativa di Amerigo Bartali sarà individuata non nella pittura, ma sarà ricordata per il rilievo del suo disegno, una grafica elegante e sicura congiunta con graffianti, britanniche battute, riporto qui una documentazione prevalentemente di questo tipo. Due vignette C.L.R. le ri-pubblicò su “SeleArte” (n.4, gen.-feb. 1953, p.48 e n.9 sempre del 1953); l'Autoritratto, notevole, può far pensare ad un Brunetta corrucciato. La minuscola statura del Bartoli, inferiore persino a quella di Maccari o di Nane Spiombi (come Tono Zancanaro chiamava, in alternativa a “sciaboletta”, Vittorio Emanuele III), viene poi cordialmente derisa da un disegno di Bruno Caruso, il quale come artista deve molto al duo Maccari-Bartoli.
Va ricordato, concludendo, che C.L. Ragghianti nella seconda parte del saggio La III Quadriennale d'arte di Roma (1939) scrisse anche sull'attività pittorica di Bartoli. Prima della guerra questo aspetto del suo lavoro gli risultava più convincente di quello già allora noto di grafico. Il testo di La Critica d'Arte (a. V, n.1, fasc. XXIII, p.112) considera che: “fra i 'dilettanti' che vale comunque la pena di segnalare, per una tal quale serietà di riflessione e scrupolo di parlata stilistica, bisogna porre anzitutto il Bartoli, che ha sempre qualche sorpresa inventiva, e una dignità di dettato pittorico che non riesce mai o quasi mai a mantenere nella sua più larga opera grafica e cronachistica, più dozzinale, fiacca e scolorita, e molto spesso – gli gioverebbe in questo, come anche al Maccari, la lezione di Gavarni e delle sue pierres retardataires – quasi unicamente affidata al frizzo caduco della didascalia”.
F.R. (11 febbraio 2018)
Considerando il fatto che Ragghianti non indulgeva e mai ricorreva a psicologismi – salvo in casi di manifeste turbe mentali – per spiegare le realizzazioni artistiche, da lui non ho sentito dire che Virgilio Guidi fosse “pazzo”, parola invece blaterata con sicumera da tanti tra cui anche suoi allievi quali Raffaele Monti o, pur se tale si può definire, Alfredo Righi, i quali invece così demonizzavano soprattutto la produzione postbellica di questo artista però sicuramente importante per la storia della pittura italiana del Novecento. Certo è vero che una buona parte della sua produzione finale, incentrata su vedute di Venezia ed affinità, è inficiata da infinite repliche con minime varianti e che, come sospetto, la sua grafica litografica è stata prevalentemente realizzata senza il suo intervento diretto né di controllo. Io stesso recentemente ho acquistato in un'asta dell'amico Piero Pananti una litografia (ben incorniciata) per pochi euro; consapevolmente: mi occorreva una immagine “rasserenante”, emblematica. Andava bene per la bisogna anche una specie di poster. Però le idee di Guidi circa la propria poetica erano sostanzialmente chiare e definite, ovviamente molto personali e talora un po' confuse, come dimostrano le due pagine qui riprese dalla rivista “La Biennale di Venezia” (n.18, feb. 1954). Da questa pubblicazione riporto anche due pagine sull'opera del pittore di Diego Valeri, poeta caro a mia madre, a Tono Zancanaro ed a Aldo Salvadori e quindi nel novero delle mie acquisizioni intellettuali tramite sentimento dedotto. Il testo della scheda per la




mostra mi risulta essere l'unico intervento di Ragghianti scritto e pubblicato sull'artista. Anche la loro corrispondenza di cui ho conoscenza è relativa a questa mostra e risulta insignificante. Ho trovato soltanto una breve lettera di Guidi del 21.6.1970 che recitando: “Pier Carlo Santini mi ha detto di una possibile mostra in Palazzo Strozzi nel 1971./ Le dico semplicemente che sarei ben felice di una mia mostra di ampie misure realizzata da lei./ Sarà anche forse l'occasione per incontrarla con il desiderio di dire tante cose.” illumina un progetto, non soltanto da me ignorato, di Carlo L. Ragghianti. Ignoravo, invece, quanto mio padre ebbe a scrivere su Guidi nel 1939 e pubblicò l'anno successivo nella seconda parte del saggio La III Quadriennale d'Arte di Roma (“La Critica d'Arte”, a V, n.1, fasc. XXIII, p.112). Era previsto un terzo intervento, vedo, ma a causa della guerra la collaborazione di C.L.R. fu sospesa dall'editore. Trovando le parole su Guidi penetranti e illuminanti le trascrivo come degna conclusione di questa scheda sul pittore: “Il Guidi sembra fissato in quella sua dolente perseveranza e scrupolo di coerenza, che gli interdice ormai ogni flessione o moto troppo brusco o tanto meno passionale, e gli fa castigare le sue forme, pure inizialmente di una dubbia serietà di convinzione, in una sorta di autarchia remissiva e disciplinata, ma costosa e di scarso rendimento, cosicché spesso i suoi dipinti, più che di un risultato, piglian l'aspetto di una ben condotta dimostrazione”.
F.R. (8 e 25 febbraio 2018)

Coll. Alberto Della Ragione. Museo del '900, Firenze.



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