Carlo e Licia

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giovedì 28 dicembre 2017

Un gesto incivile

Cinquant'anni or sono Carlo L. Ragghianti subì l'ennesima gratuita e insolitamente grave aggressione mediatica originata dalla solita matrice. In questa occasione – però – c'erano evidenti erroneità e menzogne che davano adito a ricorrere alla magistratura per poter tutelare la propria estraneità a quanto addebitato falsamente. Documentiamo questo grave episodio di malcostume accademico e intellettuale, qui di seguito, con la riproduzione del rendiconto finale, che fu pubblicato in “Critica d'Arte”, n.90, novembre 1967.
Per C.L.R. la propria integrità morale, coniugata all'onestà, erano elementi portanti della costruzione etica di se stesso (e dell'esempio da dare agli altri) ed erano – guarda caso – i più evidenti tratti distintivi dello studioso lucchese nei confronti di tanti colleghi storici dell'arte, di tanti intellettuali, di tanti artisti, di tanti politici d'ogni schieramento, di tante persone che era inevitabile incontrare. Altro importante tratto distintivo era ovviamente, l'orientamento singolare ed innovativo della sua metodologia di analisi e di ricerca storico-critica. Queste qualità scientifiche, naturalmente, non possono essere pretese come accettazione aprioristica dagli altri addetti, soprattutto quando costoro differiscono in buona fede. Tanto meno può essere richiesta l'adesione a principi e metodi da parte di chi, per i più disparati e leciti motivi, ha avuto una formazione differente o insufficiente quando gestita senza fideismi identitari o settari.
E' però opportuno riportare oggi la verità di quei fatti e sottolineare l'accettazione del responsabile di questa inusitata aggressione e del di lui riconoscimento della propria fallacia. Tutto questo ha una certa attualità perché anche recentemente – su “La Repubblica” - un noto giovane ordinario di Storia dell'Arte ha trovato, in un contesto non inerente, il modo di citare questa calunnia e di offendere la memoria di Ragghianti, quasi che egli fosse stato l'aggressore anziché l'aggredito. L'occasione dà adito di ricordare l'Eugenio Luporini fino allora e di allora, vale a dire una sorta di gemello di R., un Polluce nella realizzazione dell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Pisa,
poi cattedratico (anche per l'indefesso sostegno di R.) a Genova ma ansioso di ritornare alla sede iniziale del suo percorso di studioso. Eugenio, non solo per mio padre, era più di un amico, per me era un fratello maggiore, consentaneo persino in politica, data la comune – e critica – adesione al P.S.I.. Nel 1967, checché ne abbiano detto in precedenza comuni amici, fu sua l'iniziativa di un pubblico Appello in difesa di Carlo Ludovico R. e di coinvolgere per la pubblicizzazione un organo terzo come “L'Astrolabio” di Ferruccio Parri. Suo, e qui sono ancora come testimone diretto a smentire le bubbole blaterate – a posteriori – persino da Alfredo Righi (in vero sovente sconsideratamente pettegolo) che Ragghianti fosse l'ispiratore dell'Appello e Luporini il braccio esecutivo. Non è vero, semplicemente. D'altra parte chi conosceva o conobbe mio padre non può non riconoscergli che tra le doti del suo difficile carattere c'era quella di affrontare sempre (e quasi sempre da solo) le avverse circostanze personali, senza preventivamente coinvolgere altri, tanto meno manipolarli.
Purtroppo per chi concepisce la vita come lotta di potere, di prevaricazione sugli altri, invece la passione fine a se stessa, il dovere come motore etico della propria esistenza, sono comportamenti e sentimenti incomprensibili. E per molti, i più sembrerebbe – soprattutto in politica – sono virtù che vanno estirpate.
Sta di fatto, e non ho mai capito come e perché (anche se sospetto non possa essere estranea al suo cambiamento la concomitanza in Università a Genova di Enrico Fenzi – allora ancora “estremista” soltanto – e che so per certo fu “cattivo maestro” del mio povero amico Giovanni Francovich) Eugenio Luporini tornò a Pisa radicalizzato politicamente, cambiato nel carattere e – con nostra infinita tristezza – ostile a Ragghianti con tanta acrimonia, quella propria che in un fanatizzato religioso si scatena per cancellare i propri passati convincimenti e sentimenti, anche quelli etici e affettivi.
F.R.  (22.11.2017)





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