Carlo e Licia

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martedì 28 novembre 2017

Ponte a S. Trinita 4 - Appendici



Con il quarto “capitolo” si conclude la riproposta del “Ponte a Santa Trinita” (1948) di Carlo L. Ragghianti. Si tratta della Appendice “Ricostruzione del Centro di Firenze” (pp. 107-112), cui seguono l'Indice dei Nomi e quello Generale. Il dibattito sulla ricostruzione fu ampio ed articolato e C. L. Ragghianti ne fu un esponente precipuo, com'è ampiamente noto. In anni recenti sono stati pubblicati due studi su questo argomento o che lo comprendevano come elemento basilare, nonché fondamentale per i successivi sviluppi dell'urbanistica in Italia. Nel 2010 Felici editore in Pisa ha stampato Carlo L. Ragghianti. Il valore del patrimonio culturale. Scritti dal 1935 al 1987, un volume di 340 pagine che arricchisce l'antologia dei testi dello studioso con ampie note introduttive eccellenti ed esaurienti, a cura dei benemeriti Monica Naldi (di cui esiste – ancora inedita! – un'accuratissima, fondamentale ricerca sulla formazione di Ragghianti) ed Emanuele Pellegrini, il quale è certamente lo studioso accademico più edotto su molti aspetti di mio padre come studioso. A questo utilissimo volume – indispensabile per chiunque cerchi di intervenire nella disastrata e disorientata situazione attuale – che riproduce testi di difficile accessibilità, si affianca il libro Il contributo di Carlo L. Ragghianti nella ricostruzione postbellica di Elisa Panato (Pacini Fazzi editore, Lucca 2013). E' uno studio di ampio respiro, molto utile per districarsi nella complessità delle norme inerenti le realtà del dopoguerra, documentato e con ricerche d'archivio originali, concluso da una vastissima bibliografia di stampo accademico, nella quale annega il riferimento alla ricerca Naldi-Pellegrini, che per altro sarebbe stato opportuno citare anche nell'elencazione degli scritti di Ragghianti, dato l'analitico contenuto antologico. Comunque in questa sede ci pare opportuno ricordare gli interventi di Ragghianti direttamente collegati al Ponte a Santa Trinita, riservandoci di riprendere in seguito quanto in essi espresso. Citiamo, allora, Guerra per la Liberazione, lavoro per la ricostruzione (La Nazione del Popolo, 30.8.1944), Lettera sulla ricostruzione urbanistica di Firenze (L'Arno, febbraio 1945), Come fare la ricostruzione urbanistica (Il Mondo, n.7, luglio 1945), La distruzione dei Ponti di Firenze (Belfagor, vol. I, pp. 613-619), I problemi della ricostruzione urbanistica (La Nuova Città, n. 6-7, pp. 3-27). Ci sono inoltre alcune lettere di R. sull'argomento delle quali occorre verificare se già pubblicate. Riteniamo quindi di presentare una seconda Appendice nella quale tracciare un sommario profilo delle vicissitudini ricostruttive del Ponte attraverso alcuni documenti e alcune fotografie, ricordando per inciso due personaggi 
che furono cari ai genitori Ragghianti e al sottoscritto. Si tratta di Luigi Bellini, famosissimo antiquario di livello internazionale, e di Riccardo Gizdulich, architetto funzionario della Soprintendenza ai Monumenti e partigiano valoroso ed imperterrito che operò anche in Mugello nella Brigata Rosselli. Lo ricordo anche con gratitudine perché fu il primo tecnico ad intervenire sulle fondamenta “instabili” della nostra nuova abitazione del Gioiello alla fine del 1954, con sottomurature in mattoni piuttosto semplici e non profonde, epperò le uniche che hanno funzionato senza ritocchi nei successivi quarantacinque anni di permanenza di tre-quarti della famiglia Ragghianti. Gizdulich era un “mulo” giuliano-dalmata d'aspetto tipicamente slavo (si vedano nel post “Ragghianti e Pieraccini – Arte e politica”, 2 Giugno 2017, le foto 3 e 5) e appariva piuttosto imponente, con un volto espressivo che poteva facilmente mutare da simpatia a dura ostilità. Comunque negli anni successivi quando lo incontravo (per motivi politici un paio di volte e mi accompagnava Giovanni Francovich) era sempre molto cordiale. Soffrii quando un maligno pettegolezzo lo accusò (a sua insaputa) di una pecca professionale. Però capii subito dopo che quella donna spargeva veleno proprio perché la sovrintendenza le aveva negato la possibilità di commettere una irregolarità urbanistica. Luigi Bellini mi è caro qui ricordarlo in effige bonaria tramite una fotografia – l'unica che conosco – pertinente la sua qualità di Presidente del Comitato (di cui fu anche l'ideatore) per la ricostruzione del Ponte a S. Trinita. I rapporti di Carlo L. e Licia Ragghianti con lui furono abbastanza frequenti, soprattutto in occasione delle grandi mostre in Palazzo Strozzi dove l'antiquario forniva, oltre alle proprie opere, utili contatti con il mondo dei grandi collezionisti e dei mercanti d'arte. Inoltre questa relazione fu sempre cordiale e improntata a stima e rispetto. Buoni anche i rapporti con i suoi due figli, sebbene meno frequenti. Invece col nipote omonimo, Ragghianti – che accettò la collaborazione proprio nel ricordo del nonno – rimase deluso ed anche un po' amareggiato dal suo comportamento. Siccome in una ricerca collegata a Manzù, proprio prima di licenziare questo post ho trovato una lettera del 6 Aprile 1976 di Carlo L. Ragghianti a Glauco Pellegrini (regista cinematografico, autore di un curioso volumone agiografico sullo scultore) nella quale mio padre lo informa di una “situazione incresciosa” collegata al Bellini nipote, mi sembra opportuno riportarla integralmente per la parte inerente Manzù, col quale i rapporti a quel tempo erano stati deteriorati dai soliti noti.
Per quel che mi riguarda ho due ricordi gradevoli ed affettuosi. La prima volta della quale ho memoria fu quando, dopo una visita a Palazzo Strozzi, invitò la mamma e me (che nel frattempo giocavo ai pellerossa nel luminoso e “immenso” loggiato del secondo piano) ad andare con lui a Marignolle dove voleva mostrarmi delle armi e armature antiche. Non ricordo con che mezzo ci andammo – avevo sì e no 7/8 anni – e l'Oltrarno allora era per me Terra incognita, salvo un paio di accessioni domenicali con la classe elementare del maestro Marcacci, a cui ero molto affezionato perché fu il primo insegnante che “accettò” il mio essere ateo, a Palazzo Pitti e alla Specola. La visita al villone-castello di Marignolle fu un'esperienza entusiasmante. Vedere tante armature, alabarde, spadoni e arredi “rinascimentali” ammassati in ambienti monumentali, specialmente in una sala che mi parve enorme (ed ero abituato a Palazzo Strozzi!) mi sbalordì molto più della prima visita al Museo Stibbert. Poi per un po' giocai in un parco, anch'esso degno di Boboli, con un paio di bambini sconosciuti e più o meno coetanei.
Qualche tempo dopo, nel 1950 o inizi 1951, con la mamma lo incontrammo per caso sul Lungarno che da Ponte alla Carraia porta alla Galleria Bellini (non so ora, ma allora certo molto prestigiosa e di notorietà internazionale). Durante i vari convenevoli si rivolse anche a me chiedendomi da nonno benevolo cosa stessi leggendo e cosa mi piacesse leggere. Fresco dei digeriti Tre Moschettieri (forse in edizione non integrale ma magnificamente illustrata, invano nella maturità ricercata e mai trovata) ero fervorosamente alle prese con Salgari e il Verne dell'Isola Misteriosa. Palesemente divertito dal mio entusiasmo l'imponente signore, già piuttosto anziano, mi dette un po' di “spago” e quindi, elogiandomi, mi consegnò in regalo un libro, incartato e massiccio, dicendomi che mi sarebbe certamente piaciuto. Certamente il volume era destinato al nipote chiamato Fanfanicchio, che ne avrà ricevuto in seguito un altro esemplare, penso. E fu così, davvero mi piacque immensamente Il Capitano Hornblower di C.S.Forester, da poco pubblicato negli Omnibus Mondadori. Divorai con passione il libro, che non fu per niente offuscato dalla visione del bel film con Gregory Peck e Virginia Majo (1951). Ho poi visto la pellicola diverse volte, però altrettante volte ho riletto il libro con diletto anche da adulto e ho letto anche tutti i volumi della “saga” compresi alcuni in francese, perché non tradotti in italiano. Tornando alle origini del discorso (e scusate la lunga parentesi, forse di poco interesse per gli altri, e un po' senile; ma vecchio 
lo sono) come documentazione appendicolare propongo una nota di Gizdulich a Ragghianti – all'epoca a Roma quale Sottosegretario “autonomo” alle Belle Arti e Spettacolo – che già nel 1945 rivendicava per la Soprintendenza i lavori di ricostruzione. Segue un biglietto di Enrico Vallecchi a C.L.R. (9.1.1947) in cui l'editore cerca di giustificare il forte ritardo della pubblicazione del libro (pronto dal 1946!). Interessante l'accenno del libro consegnato al notaio perché attesti questo ritardo a tutela di “tutti i suoi (di R.) diritti, morali e materiali”. Evidentemente serpeggiavano sciacallaggi.
A questo punto si ripropone la recensione di Bruno Zevi al Ponte a S. Trinita di C.L.Ragghianti, pubblicata su “Metron”, 1948.
Passando alla successiva fase della ricostruzione vera e propria del Ponte riporto la lettera di C.L.R. a Riccardo Gizdulich riguardante il restauro (20 aprile 1952), cui fanno seguito estratti dal libretto Comitato per la Ricostruzione del Ponte a S. Trinita (Firenze, 1957) sia l'intervento dell'Ingegner Emilio Brizzi (pp. 26-30) sia quello di Gizdulich (pp. 31-38), i quali illustrano il loro progetto, vincitore del Concorso, e le modalità di attuazione della ricostruzione effettiva dell'opera.
Le fotografie 1 e 2 documentano la fase della ricostruzione del ponte Bailey, cominciata già nel 1944, e una veduta del Ponte (come l'ho calpestato più volte e percorso anch'io in bicicletta nonostante fosse proibito) visto da Piazza S. Trinita. Unisco anche una breve poesia di Eugenio Montale (11.8.1944), forse non una delle migliori però consona allo squallore di quell'utilissima costruzione “provvisoria”.
Le due illustrazioni che seguono riguardano fasi ricostruttive avanzate; la prima le volte in filoretto di pietra forte, l'altra (pubblicata in “SeleArte”, n.27,1956, p.19) mostra le arcate già ridisegnate in maniera conforme al progetto di Michelangelo e Bartolomeo Ammannati. Seguono due pagine (da “Newsweek”, 22.10.1956, e da “Time” 31.3.1958) che comprovano l'attenzione e la risonanza all'estero per la ricostruzione della città. Delle cinque immagini conclusive, le prime due costituiscono un accostamento sentimentale per ogni abitante di Firenze perché documentano le due recenti tragedie patite dalla città: la distruzione del 1944 e l'alluvione del 1966 quando la popolazione reagì eroicamente e compostamente alle gravi evidenti perdite. Le ultime tre immagini mostrano come – banalmente – appare oggi il Ponte a S. Trinita, com'era nel contesto sociale del 1882, come fu l'Alluvione del 3 novembre 1844 col Ponte quasi sommerso dalle acque.  
F.R.








Post Scriptum (11.9.2017)



Post Scriptum (11 settembre 2017) – Alla prima parte di Ponte a Santa Trinita (postata in questo blog il 3 agosto 2017) ci piace aggiungere una lettera significativa. Si tratta del ringraziamento per il lusinghiero riconoscimento al partigiano Vittorio-Alberto Predieri del suo eccezionale contributo alla Liberazione di Firenze. La lettera è scritta con calligrafia di discendenza 
dannunziana con quella ironia un po' blasée che a quei tempi il giovane avvocato amava ostentare. Inoltre, la data 10/10/1946 dimostra il libro era già dattiloscritto e probabilmente in bozze, anche se fu pubblicato dall'editore agli inizi del 1948.

F.R.

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