La
responsabilità, ed intendendo la responsabilità nel senso più
ampio e più profondo della parola, quindi “la responsabilità per
il mondo”, è una delle caratteristiche umane più interessanti e
al contempo più misteriose. Tutti sappiamo cosa significa questa
parola e nessuno sa da dove proviene. La responsabilità non è una
caratteristica qualunque tra le caratteristiche umane. La psicologia
o le altre scienze non sono sufficienti in questo campo. Essa infatti
li eccede, non si riferisce solo al nostro ambiente circostante, non
è quindi un mero riguardo a cosa penserà la gente.
Ma è
fatalmente legata a ciò che è “oltre” ogni “oltre”:
all'assoluto, all'intera memoria dell'esistenza, all'ultimo e supremo
giudizio, al senso di tutto ciò che esiste. La sola cosa importante
per la nostra responsabilità è quale traccia lasceremo. Tutto il
resto è superfluo.
Quando ero
in carcere e molti mi chiedevano perché mi ci trovavo, quando
bastava così poco per non esserci, ho riflettuto molto sulla
responsabilità e le ho dedicato molta attenzione nelle mie lettere a
casa. Finalmente di ritorno, ho scritto un saggio intitolato
Responsabilità come destino. […]
Cosa posso aggiungere oggi all'idea che la responsabilità per il mondo è semplicemente un pezzo del destino umano, indifferentemente da come ognuno di noi la percepisce o la assume?Mi sento tuttavia di aggiungere e sottolineare altre due cose.
In primo luogo: esiste un confine molto labile tra forzata responsabilità per il mondo e ossessione. E talvolta, molte volte troppo tardi, l'ammirazione per l'immensa volontà altruistica di aiutare il mondo si trasforma nell'orrore di uno strano bagliore che spunta dagli occhi dell'ammirato. E'
l'orrore delle catastrofi, ove il bisogno dell'ossessionato di
compiere il bene può far precipitare l'umanità alla luce di ciò
che lui stesso intravede in questa parola, “modellare” il mondo.
In
secondo luogo: come evitare che un ammirabile altruista diventi uno
spaventoso maniaco? C'è un solo modo: la leggerezza. Quanto più gli
obiettivi che persegue l'uomo sono impegnativi, tanto più dovrebbero
essere visti da una prospettiva più alta. L'uomo dovrebbe essere in
grado di percepire le dimensioni grottesche delle proprie azioni,
saperci riflettere e valutare con distacco, ironia, scetticismo, con
la consapevolezza di fondo, che comunque tutto è assurdo. Il mondo
deride sempre gli eroi, gli idealisti, i sognatori, gli operatori
umanitari o gli attivisti sindacali (termine orribile). L'importante
è che sotto tale pressione essi stessi non diventino troppo seri,
non comincino a commuoversi per l'ingratitudine del mondo, per la
loro difficile sorte e, di conseguenza, a rinchiudersi in se stessi,
tra se stessi, ad imprigionarsi nella sensazione di un'eccezionalità
incompresa e a scivolare così dal mondo degli altruisti al
pericoloso mondo dei maniaci.
Credo
semplicemente che gli altruisti, avvertendo la responsabilità per
tutto il mondo e gettandosi ripetutamente, accompagnati dalle beffe,
nelle proprie avventure donchisciottesche, nell'interesse proprio e
in quello generale, dovrebbero saper ridere di se stessi. D'altronde,
quando l'ironia del deridente viene confrontata con quella del
deriso, spesso dal volto si spegne il sorriso per lasciar posto alla
smorfia.
Vàclav
Havel
Questo
testo, esemplare, dell'eroico oppositore alla dittatura sovietizzante
esercitata in nome del popolo sui popoli ceco e slovacco, è tratto
da un più ampio saggio comparso nelle pagine culturali de “La
Repubblica” quasi dieci anni fa (13 novembre 2007). Mentre noi lo
abbiamo letto, ritagliato e conservato, ci sembra che invece coloro cui principalmente era
diretto, cioè i membri della classe politica, divenuta già casta politica, non lo abbiano fatto; se sì non ne hanno tratto argomento di riflessione. A maggior ragione, perciò, è opportuno riproporre queste acute osservazioni che hanno diritto ad essere presenza costante in chiunque eserciti “responsabilità” verso il prossimo suo.
Profilo
biografico.
Vàclav
Havel, nato a Praga nel 1936, morto a Hràdecec nel 2011, è
stato scrittore, drammaturgo, poeta e politico ceco. Di famiglia
borghese osteggiata dal regime comunista, subì ostacoli durante gli
studi. Comunque riuscì a frequentare i corsi serali dell'Università
Tecnica di Praga fino al 1957. Lavorò poi come macchinista teatrale,
studiando drammaturgia per corrispondenza. Del 1963 è il suo debutto
in scena con La festa in giardino,
cui seguirono altre opere tra cui Largo
Desolato, la più nota in Occidente. Il
contenuto dei suoi drammi vuole “provocare
l'intelligenza dello spettatore, appellandosi alla sua fantasia,
costringendolo a riflettere su questioni che lo toccano direttamente
in maniera da vivere intimamente il messaggio teatrale”. Per il suo comportamento durante la gloriosa insurrezione della “Primavera di Praga” nel 1968, venne
bandito dal teatro. Nelle maglie della precaria tolleranza che il regime comunista riaffermato dai carri armati sovietici fu costretto a concedere, Havel iniziò un'attività politica vigorosa il cui culmine fu il Manifesto “Charta 77” (redatto con altri intellettuali cecoslovacchi) per il quale patì cinque anni di carcere. A seguito della “Rivoluzione di Velluto” del 1989 che abbatté pacificamente (Havel era un non-violento) il regime comunista, fu eletto Presidente dell'Assemblea Federale. Dopo la secessione tranquilla dalla Slovacchia e la creazione della Repubblica Ceca, Havel ne fu eletto Presidente (26 gennaio 1993). Sostenitore dell'economia di mercato, e dell'ingresso nella N.A.T.O. del suo paese e nonostante gravi problemi di salute, egli fu rieletto nel 1998. Si dimise alla fine del 2003 per motivi di salute congiunti a difficoltà dovute ad un diverso orientamento politico e sociale del Paese.
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