Carlo e Licia

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mercoledì 7 dicembre 2022

Ventennale dalla morte di Gian Lorenzo Mellini.



Riscontrando la corrispondenza intercorsa tra me e Gian Lorenzo Mellini, conte Bezzi, come scoprii senza sorpresa dal suo "centiloquio” del 1991 (Petra Mala), e ritrovando il necrologio della sua precoce dipartita, vedo che questa avvenne il 7 dicembre 2002. Sono quindi passati venti anni esatti da quel triste accadimento, col quale cessava la mia sincera amicizia nei suoi confronti e veniva a mancare uno degli studiosi più acuti e originali della sua generazione.

Certamente Gian Lorenzo è stato tra le personalità di maggior spicco della “scuola” e dell'entourage pisano di studiosi e “scholari” di Carlo L. Ragghianti. Per di più, conseguenza non scontata egli non l'ha mai tradito, perché affrontava gli eventuali dissensi di ordine metodologico o accademico a viso aperto, senza infringimenti ipocriti; e pagandone coraggiosamente le ripercussioni negative.

Come amico leale sento il dovere di ricordarlo ancora una volta, perché a lui si pensi non solo con un fugace ricordo ma valutandone il giusto merito nell'ambito della storia dell'arte.

Rimando al post del 23 luglio 2021 (Arte in Italia 1915-1935 – Critici: Mellini, n.28) nel quale ho tracciato il rapporto intrecciato tra di noi, soprattutto nell'Ufficio de La Torre del Gallo quali redattori di Arte in Italia (editore Casini). Nel presente post, invece, propongo quattro sezioni dell'attività e della personalità dello studioso veronese.



Non riporterò il carteggio tra di noi, non tanto perché contenesse talora epiteti forti e “sconvenienti”, quanto perché ritengo ancora prematuro diffondere giudizi su persone ormai defunte per lo più o tutt'ora miserabilmente esistenti.


1. Tratteggio per sommi capi (i dettagli si possono riscontrare per lo più nel carteggio presso l'Archivio di Lucca e nel “controcanto” - talora un po' tendenzioso – che ne fa G.L.M. nel cit. Petra Mala) una sorta di cronistoria dell'attività di Gian Lorenzo Mellini collegata a quelle del maestro Carlo L. Ragghianti.

Cominciando dagli studi sul Boschini (1961), passando a questioni veronesi (“Architetti Verona”) e a rapporto di entrambi con Licisco Magagnato. Seguono varie “raccomandazioni” per incarichi “eduli” intorno al 1966; redazione di “Critica d'Arte” discutibile: “però quel lavoro di editing si rivelò di scarso interesse” (effettivamente – devo con mestizia rilevarlo – per G.L.M. l'umiltà era un valore praticamente ignorato). Nel 1968: Concorso Università di Chieti e relative segnalazioni (Pallucchini, Grassi, Argan, Bettini); quindi incarico a Genova, burrascoso; poi, 1969, incarico a Magistero di Firenze (Spini, Barbieri); quindi – 1970 – Concorso Università di Messina, del quale sussiste, e sotto riporto, il giudizio scritto da C.L.R.:




Esempio della vis polemica di G.L.M. (che io ho, sia chiaro, ammirato, essendo presente alla telefonata) è la lettera del 11 aprile 1969 con la quale egli relaziona C.L.R.

della rottura con l'editore inadempiente Gherardo Casini. La riproduco qui di seguito:

Ancora del 1970 è un altro caso del suo tipico stile polemico. Si tratta della lettera al direttore della rivista “Arte illustrata” (n.34-36, 1970) nella quale G.L. Mellini

stigmatizza il comportamento di Giovanni Previtali (lo stesso personaggio che tre anni prima aveva vilipeso C.L.R.

Sempre nel fatidico 1970 sono i rapporti con l'Università Internazionale dell'Arte di Firenze e l'inizio del tormentato rapporto pluriennale di Gian Lorenzo Mellini con Torino (Università e città) e Aldo Bertini, ordinario di Storia dell'Arte in quell'Ateneo.

Nel 1972 si verifica la triste querelle circa il Catalogo del Museo di Prato per conto dell'Editore Calderini. Polemica dura (e … un tantino esagerata) che si concluse con l'anonimato del libro. Praticamente questa vertenza rappresenta la rottura dei rapporti personali con C.L. Ragghianti. Naturalmente anch'io, che allora ne avevo pochissimi con G.L.M., interruppi la frequentazione assai saltuaria, quasi casuale. Ciò durò fino a quando cercai Gian Lorenzo per la sconfortante (mea culpa, vedasi il citato post

del 23 luglio 2021) edizione del Caravaggio di C.L.R. su “Labyrinthos”.

Naturalmente questo regesto è soltanto approssimativo e parziale della vicenda (escluse quelle strettamente accademiche riguardanti l'Università di Pisa e la Normale) tra mio padre e Mellini. In conclusione: C.L.R. patì non tanto l'aspetto riguardante la volontà di distacco da lui per consolidare la propria autonomia anzi, tacendo ne approvò l'intento, non la forma cosa che lo ferì abbastanza, anche se molto meno che in altri casi nei quali si operarono veri e propri tradimenti metodologici e filologici. Il distacco di Mellini fu da R. accolto più con rammarico che con sorpresa: l'unica cosa che gli ho sentito dire al riguardo si riferiva al “caratteraccio” di G.L.M.



2. Mellini in e per morte di C.L. Ragghianti.

Nel n.11 della rivista “Labyrinthos” sottotitolata “Ermeneutica delle arti figurative dal Medioevo al Novecento”, fondata da Gian Lorenzo Mellini, fu pubblicato il necrologio di C.L.R., defunto il 3 agosto 1987. Questo testo non fu pubblicato nel fascicolo speciale di “Luk” (vedi post del 31 dicembre 2017), perché successivo alla sua stampa, né fu accolto nel post del 31 dicembre 2018, perché lo reputai necessitante di precisazioni non pertinenti in quella sede. Precisazioni implicite nel post cit. del 23 luglio 2021 e qui sopra al punto uno. Necessarie premesse sul carattere di Mellini vanno adombrate, 

in modo da così comprendere che il suo necrologio non volle essere negativo ma rifletté peculiari caratteristiche dell'autore, alcune delle quali gli hanno varie volte complicato la vita.

Successivamente lo scritto fu ripreso, con modifiche marginali (comportamento analogo a quello del maestro, il quale non riusciva a rileggere un proprio testo senza intervenirvi nuovamente) e pubblicato nel volume Petra Mala (Ed. Bolis, pp.118-136) col titolo Il capo. Prima di riportare questo testo definitivo, riproduco qui di seguito il soppresso primo paragrafo della prima stesura:

Chiude questa corposa sezione dedicata agli scritti di Gian Lorenzo Mellini su Carlo L. Ragghianti, la poesia La parte migliore (non datata) pubblicata nel libro Simulazioni, edito da Polistampa, maggio 2000. Questi versi, in un certo senso, rappresentano la sintesi 

del necrologio precedente. Come talora avviene nelle composizioni poetiche, l'essenzialità stilistica comporta l'evidenziarsi di sentimenti d'affetto, stima e rispetto nei confronti di un personaggio altro da sé.

3. In generale la definizione di “ermeneutica” è: in filosofia e filologia, la metodologia dell'interpretazione dei testi scritti”. Gian Lorenzo Mellini estende questa definizione e la focalizza nel proprio metodo circa l'interpretazione delle arti figurative, con la ferma convinzione di averne

dato un impulso e un indirizzo nuovi e determinanti. Riproduco perciò la “prima giornata” delle conversazioni che lo studioso ebbe nel 1998 con Loredana Laucci, filosofa di provenienza, riguardo “l'ermeneutica delle arti figurative”. 

4. L' “Autoritratto” di Raffaello.

Riporto questi estratti di giornali dell'epoca circa la vexata quaestio se l'Autoritratto autografo di Raffaello sia quello tradizionalmente esposto agli Uffizi, oppure l'altro dipinto dello stesso soggetto che G.L. Mellini individuò in una qualificata collezione privata.

Si tratta di un aspetto marginale rapportato alla “carriera” di studioso e di filologo visivo come Mellini, però anche di una vicenda di grande impatto emotivo nella vita dello storico veronese, che fu anche contestato aspramente e in termini incivili e offensivi.

Carlo L. Ragghianti sull'argomento non si espresse, anche perché agli inizio del 1986 era stato particolarmente sofferente nell'ambito polmonare e aggredito da manifestazioni diabetiche agli arti inferiori particolarmente dolorose. Non escludo, però, che non volesse soffiare sul fuoco della polemica attributiva, stante la dolorosa, e nel suo caso particolarmente ingiustificata, vicenda delle teste labroniche attribuite a Modigliani. Comunque, ricordo, che mentre era così mal messo dai podromi di ciò che poco dopo l'uccise, egli si estraniava da tutto ciò che non lo costringesse a concentrarsi sul proprio lavoro 

(conclusione, ad es., del complesso volume La critica della forma. Ragione e storia di una scienza nuova, serie Panini di “Critica d'Arte”, ecc.). 

Di mia madre posso dire che conversando durante una delle sue degenze a letto, già divenute frequenti, gli mostrai le foto dell'estratto di “Oggi”, qui riprodotto. Dopo averle ben osservate, chiese la lente di ingrandimento che teneva sul tavolo da lavoro, poi sentenziò che Mellini gli sembrava fosse nel giusto. Parere certo non influenzato dalla simpatia, giacché lei conosceva poco Gian Lorenzo, il quale le era rimasto sgradito per la strafottenza quale redattore di “Critica d'Arte”.

Io, per quel che può valere, propendo sulla pertinenza delle osservazioni di Mellini, anche perché, confrontati i dipinti con l'indubitabile Autoritratto della “Scuola di Atene” in Vaticano, la tesi di Gian Lorenzo Mellini mi sembra rafforzata.

Il bello è che, alla fin fine, non ricorso se ci siano stati sviluppi determinanti su questa attribuzione, importante soltanto per la fama del pittore e per la sede di uno dei due quadri.

F.R. (24 novembre 2022)




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