Carlo e Licia

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martedì 24 agosto 2021

"L.C.H. Hölty" di Licia Collobi (1934). A cura di Irene Marziali.

Il ritrovamento, puramente fortuito, di questo scritto giovanile di Licia Collobi – datato “Trieste, 13/11/1934” – è stato di particolare importanza e commozione per me nipote, avendo sviluppato nel corso degli anni un attaccamento e un senso di appartenenza, di affinità verso la figura di questa nonna sconosciuta – morta prima della mia nascita nel 1994 – e dalla quale mi rammarico spesso di non aver potuto imparare . . . assorbire più saggezza. I tanti racconti che mi sono stati riportati che riguardano la sua persona come studiosa, come moglie e madre, come professionista sono praticamente tutti, inevitabilmente direi, riferiti alla sua età adulta e dunque ad una versione matura della sua personalità già costruita, modellata consciamente e forse anche scolpita in parte dalle tante vicissitudini più o meno spiacevoli che ha superato sempre con grazia e forza d'animo.

Mi mancava tuttavia sentire la sua voce di ragazza, prima che la maternità, la guerra e gli impegni lavorativi comportassero in lei inevitabili mutamenti.

In questa tesina, scritta ad appena vent'anni probabilmente come esercitazione universitaria pre-tesi per il Prof. Arturo Farinelli, critico letterario e germanista che in quel periodo insegnava Lingua e Letteratura tedesca all'Università di Torino e per il quale Licia scelse proprio di proseguire gli studi a Torino anziché Trieste, ho trovato una voce ben diversa da quella che ero abituata a sentire dagli scritti della nonna già studiosa, già critica d'arte, già adulta.

A differenza degli scritti di mio nonno Carlo Ludovico, che come tutti i “geni” (ed uso il termine in modo improprio, forse) del proprio campo tendono ad esprimersi in modo complesso e specialistico, e che quindi ho sempre fatto più fatica a seguire da profana, la scrittura di mia nonna Licia mi è risultata da subito familiare, armoniosa, discorsiva e facilmente comprensibile anche laddove trattasse di argomenti di cui non avevo nessuna conoscenza.

Lo stile schietto, fluente, pulito da accademismo e ghirigori volutamente elitari si riconosce fin da questo testo universitario del '34 incentrato sulla figura del poeta tedesco del '700 Ludwig Christoph Heinrich Hölty, in cui tuttavia ho ritrovato una sensibilità critica e letteraria consapevole ma giovanile, romantica, un'empatia e simpatia per il personaggio al di là del poeta e per il sogno di una vita semplice, bucolica e ispirata che egli trasmetteva nei propri componimenti. Mi ha commossa, in poche parole.

Purtroppo è stato molto difficoltoso reperire informazioni esaurienti su questo poeta evidentemente apprezzato e studiato da mia nonna Licia Collobi, che amava molto la poesia ed in particolare quella germanica, e tanto meno una molteplicità di traduzioni dal tedesco, non avendo la possibilità di apprezzarle in lingua originale come invece poteva fare la nonna, triestina italiana ma madrelingua tedesca.

In italiano le testimonianze sul web relative a L.C.H. Hölty si limitano a poche righe sull'Enciclopedia Treccani e qualcuna in più su Wikipedia – ma non si sono sprecati. Privilegiando l'affidabilità della Treccani, riporto la voce nella sua interezza:

Hölty ‹hö´lti›, Ludwig Christoph Heinrich. - Poeta tedesco (Mariensee, Hannover, 1748 - Hannover 1776), figlio di un predicatore evangelico. Fu tra i fondatori del circolo poetico detto Göttingen Hain, in seno al quale si distinse per il suo autentico talento lirico. Dotato di vasta e squisita cultura, H. è debitore dei classici: riprendendo da Anacreonte e da Orazio, segue altresì moduli petrarcheschi e barocchi, il tutto però quasi sempre ben rifuso in un'espressione nuova priva di residui eruditi. Lirico di rara levità, più che nella ballata, in cui pure si cimentò con effetti singolari, meglio riesce nella lirica malinconica e sentimentale. Fra le sue composizioni, giustamente note soprattutto Aufmunterung zur Freude, Die Liebe, Mailied, Vaterlandslied (originale ripresa di un canto di Walther v. d. Vogelweide), Der alte Landmann und sein Sohn, e le ballate Adelstan und Röschen e Die Nonne”.



Trovo interessante, ma non sorprendente, notare che mia nonna Licia nel 1934 avesse intuito di sua spontanea sensibilità artistica e critica, la connessione stilistica tra, trascrivendo le sue parole “il tranquillo romano (Orazio), contento del suo genio come della vita, sereno con la sua filosofia pratica e la sua rotondetta persona e questo biondo giovane così sensibile e così caratteristicamente settentrionale” (Hölty). Ne individuò una comune indole forse nell' “accettare semplicemente la vita con tutte le sue complicazioni, forse il giudicare obiettivamente i propri sentimenti, tanto da non permettersi nessuna esagerazione”. Un obiettività, un “volgersi alle cose di fuori di loro per dedicarvi attenzione e amore” che fu anche alla base di quello che ho potuto conoscere della personalità di mia nonna Licia Collobi Ragghianti.


Dall'Enciclopedia Britannica riusciamo a raccogliere qualche informazione in più, già in parte riscontrabile nella tesina di Licia Collobi riprodotta. Oltre all'amicizia con poeti quali Johann Martin Miller e Johann Heinrich Voss, abbiamo modo di gettare un po' di luce sullo stile poetico di questo autore altrimenti pressoché sconosciuto in Italia e impossibile da leggere per i non conoscitori della lingua tedesca. La Britannica ci suggerisce che “influenzato da Elegy Written in a Country Churchyard di Thomas Gray, [Holty] introdusse un elemento di critica sociale nella sua poesia attraverso il confronto tra la vita di città e quella rurale di villaggio in Elegie auf einen Dorfkirchhof ed Elegie auf einen Stadtkirchhof (entrambi 1771; in italiano: "Elegia su un cimitero di villaggio" e "Elegia su un cimitero di città")” e ci conferma l'originale sensibilità della sua poetica indicata da Collobi, dicendo che “amava i Volkslied (canzoni popolari, anche tradotto impropriamente ballate) e il suo senso di vicinanza ai contadini, la gioia per la natura e il desiderio per la vita semplice e naturale trovano espressione sapiente nella sua poesia. I suoi testi sono caratterizzati da flussi di malinconia e di sincera fede religiosa. Fu in grado di fare un uso originale di tutti gli stili che lo influenzarono, mostrando la serietà di Klopstock senza la sua complicata solennità, la tenerezza e il sentimentalismo dell'epoca senza la sua affettazione e la leggerezza delle lodi all'amore e all'amicizia degli Anacreonti senza la loro superficialità”. [traduzione mia]


Riporto inoltre i pochi poemi che sono riuscita a reperire grazie ad una ricerca piuttosto approfondita sul web e su risorse bibliotecarie disponibili online. Le ballate riprodotte sono tratte dal libro Ballate di Schiller e D'Holty e brani dalla Messiade di Klopstoch di Sebastiano Barozzi, edito nel 1845 dalla Tipografia Crescini di Padova. Da notare che, a causa di una traduzione datata dei nomi tedeschi, nell'opera troviamo Holty con il nome di Cristiano, anziché Cristoforo che sarebbe stata l'opportuna traslazione del suo nome di battesimo. Ciò nonostante, è stato verificato che si tratti dello stesso personaggio.

Non essendo, sfortunatamente, in grado di dare un giudizio stilistico o una critica letteraria competente sulla poesia di questo autore, mi limito a sottoscrivere l'analisi, ben più puntuale redatta, di Licia Collobi che ne conferma l'ampiezza di spettro culturale, la sensibilità artistica e umana e la straordinaria capacità di cogliere l'essenza di un autore o di un argomento e restituirla in modo accattivante, professionale e accessibile.














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