Carlo e Licia

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venerdì 18 giugno 2021

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 27. MICHELANGELO MASCIOTTA, 2. (DE PISIS, PEYRON, LEVASTI, CAPOCCHINI)

 


Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
15. RAFFAELINO DE GRADA II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI). 6 luglio 2020.
16. ANTONIO DEL GUERCIO (MAZZACURATI, MENZIO, RICCI). 8 agosto 2020
17. TERESA FIORI (INNOCENTI). 1 settembre 2020.
18. CESARE GNUDI (FIORESI, PIZZIRANI, PROTTI). 2 ottobre 2020.
19. VIRGILIO GUZZI (MANCINI, CAVALLI, MONTANARINI, PIRANDELLO). 19 novembre 2020.
20. MARIO LEPORE (DEL BON, LILLONI). 21 dicembre 2020.
21. LICISCO MAGAGNATO (NARDI, PIGATO, FARINA, TRENTINI, ZAMBONI, BERALDINI, SEMEGHINI). 21 gennaio 2021.
22. CORRADO MALTESE (GERARDI). 4 marzo 2021.
23. FRANCO MANCINI (PANSINI, NOTTE, BRESCIANI, CRISCONIO, CIARDO, GATTO, VITI).  3 aprile 2021.
24. GIUSEPPE MARCHIORI, 1 (ROSSI, LICINI). 3 maggio 2021.
25. GIUSEPPE MARCHIORI, 2 (SEVERINI, SPAZZAPAN). 28 maggio 2021.
26. MICHELANGELO MASCIOTTA, 1 (LEGA, VENNA LANDSMANN, CALIGIANI, COLACICCHI). 7 giugno 2021.


Questa sezione del post ha presentato alcuni problemi e differenze rispetto all'impostazione della serie rievocativa la storica esposizione “Arte Moderna in Italia 1915-1935”. Quando si consideri il procedimento pittorico particolare di De Pisis, decisamente non accademico, tendente semmai a reinterpretare il ductus di Seurat – costante per tutta la sua esistenza – mi è risultato impossibile contenere il numero delle illustrazioni degli anni formativi e giovanili. Di conseguenza sviluppare con esempi sufficienti la parte di attività successiva diveniva impossibile, senza eccedere vistosamente lo spazio equilibrato e comparativo per illustrare ogni artista.

Perciò ho stabilito che nel caso di Filippo De Pisis (1896-1956) in questo post riprodurrò soltanto le opere eseguite entro l'anno 1935. Al di fuori di questa serie 1915-35, quindi, cercherò di allestire altri post come ad esempio uno riguardante gli scarni scritti di C.L. Ragghianti su De Pisis; oppure un altro post dedicato soltanto a disegni e acquarelli. Ad ogni buon conto le relazioni di R. con De Pisis circa la corrispondenza furono poche prima della guerra, poi rare e solo tramite lo Studio Italiano di Storia dell'Arte ma disperse nel “saccheggio” di quell'Archivio. Quelle personali sono state – tenendo presente il fatto che De Pisis risiedeva più in Francia che in Italia, Ragghianti prima della guerra era semiclandestino nelle ordinarie vicende – abbastanza frequenti da suscitare un rapporto di stima e ammirazione reciproca. Ciò è dimostrato da un lato dai frequenti doni di disegni, dall'altro dalle opportunità dirette (schedatura dai Beni Artistici pubblici della provincia di Rovigo, con Polesine emiliano confinante) e le tramitazioni di Raimondi e Gino Magnani amici di entrambi.

Dopo la scheda di Masciotta – il quale è stato suo distinto collezionista – non riproduco il dipinto a colori n.1689 del Catalogo 1915-35 perché esso è qui riprodotto nella scheda della Mostra/Catalogo 1935-55. Seguiranno le fotografie dell'artista e i ritratti, poi questo testo redazionale. Ripubblico il saggio di Giovanni Paccagnini (1910-1977) storico dell'arte e pittore, laureato e poi assistente di Matteo Marangoni (1940-1946). 

Personaggio inquieto, questo studioso ha fatto tra ministero e sedi distaccate delle BB. AA. un giro d'Italia. Di ritorno a Pisa in Soprintendeza diresse il Gabinetto di Restauro. Nel 1948 su questo argomento relazionò al Convegno dei Critici d'Arte di Firenze (si veda nella serie Atti del Convegno il post del 27 marzo 2019). Nel 1949, C.L. Ragghianti lo fece nominare assistente volontario alla propria cattedra. In seguito alla promozione a dirigente delle BB.AA. nel 1952 Paccagnini divenne Soprintendente a Mantova, nel 1961 fu trasferito a Venezia dove concluse la carriera.

Pubblicato su “La Critica d'Arte” (V, 31, 1950, pp.383-395) lo studio Poesia di De Pisis, raro intervento dell'A. sull'arte contemporanea, è impegnato tra l'altro a chiarire che “In particolare sembra necessario reagire almeno alla più comune ma diffusa opinione di una facilità e felicità della vena poetica di De Pisis, perché soprattutto da essa nasce il sospetto di una caducità della sua arte, di una sua vita effimera quanto le delicate ali delle farfalle amate dal pittore”.

Sempre da “Critica d'Arte” (n.2, pp.144-160, Vallecchi 1954) Giuseppe Raimondi (1898-1985) – l'anno dopo una sua impegnativa monografia dell'artista – pubblica De Pisis–Cavaglieri tra il 1910 e il 1920. Riproduco intergralmente il saggio, escludendo le illustrazioni dei dipinti di Cavaglieri, che posteremo assieme alle parti di questo testo che lo riguardano.

Di Raimondi, fecondo scrittore bolognese, amico da sempre di Morandi, riporto anche la pagina pubblicata su “SeleArte” (Il ragazzo De Pisis, n.1, lug.-ago. 1952) e Omaggio a De Pisis dal catalogo della Galleria Gissi, Torino giugno 1966.

Essendo De Pisis uno dei pochi artisti italiani del Novecento di notorietà internazionale, forse mondiale, mi guardo bene dal dare io giudizi su un gigante della pittura, fragile uomo minato, artista comunque originalmente omogeneo nella sua lunga e molto intensa attività pittorica.

F.R. (23 maggio 2020)








E' stato per me un rammarico il non aver conosciuto di persona quest'uomo avventuroso, affascinante, un po' squinternato (“picchiatello”, secondo un film di Frank Capra, come si può dedurre dalle tre lettere riprodotte dopo questa nota redazionale) certamente, ma altrettanto e di più certo è che egli è stato un pittore eccellente. Ciò nonostante che in linea generale io abbia sempre sostenuto che i creatori, gli artisti figurativi specialmente, vadano giudicati senza pregiudizi, meglio anche senza averli conosciuti, perché questo fatto può essere (e quasi sempre è) fattore deformante nella loro valutazione critica.

Mio padre, invece, Peyron l'ha conosciuto abbastanza bene e ne ha avuto sempre stima e considerazione professionale, pur senza indulgenze, come si deduce da questa sua stringata – come era solito in quegli anni – osservazione: “Le esperienze d'arte cui si rivolgono sono della specie più varia e vanno dall'impressionismo e suoi conseguenti, fino a riaffermazioni di neo-classicismo, di semplificazione arcaistica medioevale o primitiva, ecc. Alla prima tendenza può essere riavvicinato lo spericolato, talvolta squisito, ma spesso lirico Peyron...”. (Da Indicazioni sulla pittura contemporanea, in “Leonardo”, n.3, 1936, p.77).

Comunque nella seguente Scheda n.47 (da “Mostre permanenti”. CLR in un secolo di esposizioni) Emanuele Pellegrini, scrupoloso ed eccellente biografo ed organizzatore di studi su Carlo L. Ragghianti, ricostruisce gli sviluppi del rapporto tra Peyron e mio padre dal nucleo di documenti riguardanti il corso della progettazione e dell'organizzazione della mostra personale del pittore presso “La Strozzina” (aprile 1954).

Passando dal colto al tritello, apprendo dalla scheda che mio padre fu dal grato Peyron omaggiato “di alcune sue opere” (1950). Di questi disegni non è giunta traccia in famiglia, dove hanno ornato le pareti il dipinto Stelle del cielo, 1950 (qui riprodotto nella Scheda del Catalogo/Mostra Arte in Italia 1935-55) e un piccolo olio con vaso di fiori. Perciò questi misteriosi disegni fanno parte del gruppo, direi nutrito, di doni degli artisti che gli sono stati trafugati in Palazzo Strozzi. Di queste opere, di fronte a manifestazioni altrui di apprezzamento, era lo stesso CLR a regalare a sua volta il disegno o l'incisione. Ma non quelli di artisti suoi amici personali o stimati per particolari “benemerenze” storiografiche.

Altri, invece furono bellamente sottratti, rubati nel corso degli anni, dato che R., soprattutto quanto abitavamo in Viale Petrarca (1952-54) dove il suo studio era di piccole dimensioni e stracolmo, lasciava in Palazzo Strozzi il suo archivio, atti, foto, studi e scritti nonché disegni e incisioni. Ciò finché di nuovo da adulto ripresi a frequentare l'ufficio de “La Strozzina” con occhio vigile (scoprendo – senza prove tangibili, però – anche almeno tre dei sottrattori) protessi gli interessi di famiglia e di R., recuperandogli anche incartamenti ora a Lucca. 

Fra parentesi: fin da bambino mi colpì il disinteresse reale di mio padre per il denaro e il possesso di cose (salvo di 

quelle inerenti ed indispensabili per la sua attività di studioso). Ogni gestione, ogni faccenda economica era affidata a mia madre. Quello di CLR non era un atteggiamento, era veramente disinteresse filosofico nei confronti della proprietà individuale, come dimostrano tanti atti della sua vita, volta al pubblico interesse, culminanti nella Fondazione Ragghianti di Lucca.

Dopo la Scheda di Pellegrini, riproduco il testo che Matteo Marangoni – maestro di R. – scrisse per l'opuscolo Mostra del pittore Guido Peyron, 28 gen.-11 feb. 1933 presso la Galleria di Palazzo Ferroni degli antiquari Bellini. Quindi il lungo, impegnato saggio di Sebastiano Timpanaro Sr., scienziato illustre nonché importante collezionista di grafica soprattutto moderna e uomo di vasta cultura e sensibilità umanistiche. Questo elegante libretto fu pubblicato in 355 esemplari nel 1943 da Parenti, editore in Firenze, per la collana di “Letteratura”, rivista ideata e diretta da Alessandro Bonsanti, direttore del Gabinetto letterario e biblioteca circolante Vieusseux. Dal catalogo della “Mostra retrospettiva del pittore Guido Peyron (1898-1960)”, tenutasi presso l'Accademia di BB.AA. di Firenze nel giugno 1966, riproduco Ricordo di G.P. di Giovanni Colacicchi; Incontro con P. di Baccio Maria Bacci, pittore; Peyron dipinge... di Michelangelo Masciotta; Il Gallo cedrone di Eugenio Montale, del quale si veda il ritratto operato da Peyron nella Scheda 1915-1935 scritta da Masciotta. Segue l'amicale e la commossa testimonianza del declinante ambiente fiorentino superstite alla morte del rimpianto Peyron (1960) – così vivace e spesso imprevedibile – fino ai pieni anni Ottanta. Conclude la documentazione critica la testimonianza affettuosa e sincera di Piero Pananti riguardante la sua formazione professionale e l'ambiente artistico fiorentino, dalla fine degli anni Cinquanta ai pieni anni Ottanta. Questa rievocazione è tratta dalla corposa (oltre 300 grandi pagine) e sontuosa monografia su Guido Peyron intitolata (come la contemporanea esposizione presso la Palazzina Mangani di Fiesole) I fantasmi di G.P. - Ritratti come nature morte ed è stata pubblicata nel 2003 proprio da Piero Pananti, nella sua veste di importante editore d'arte. Divisi in undici sezioni, i testi critici – molto accurati e di inconsueto approfondimento – sono di Francesca Cagianelli. Il suo studio determina una ricostruzione piuttosto originale della professionalità artistica di Guido Peyron. Come di consueto in questa serie di post sugli artisti presenti nella Mostra “Arte Moderna in Italia 1915-35” la panoramica dell'opera pittorica di Peyron si svolge in maniera il più possibile cronologica, con il focus dell'attenzione sul periodo determinato dall'esposizione del 1967 in Palazzo Strozzi a Firenze. Nei casi in cui ciò sia significativo la Scheda critica del Catalogo/Mostra “ Arte Moderna in Italia 1935-55” fa da apripista alla successiva attività dell'artista. In questo caso essa è stata scritta da Rita Selvaggi. Complessivamente la pittura di Guido Peyron è riccamente illustrata sia nei nudi, che nei ritratti e le nature morte, aspetti salienti della sua espressività.

F.R. (2 giugno 2021)


Fillide (per tutti Filli) Giorgi nata nel 1883, coniugata nel 1914 con il mistico Arrigo Levasti (1886-1973), morta nel 1966, è stata una pittrice tutto sommato trascurata dalla critica nonché sfortunata quasi quanto Lucio Venna per la perdita di parte del suo lavoro durante gli eventi bellici. La Levasti non è da considerarsi una pittrice naîve, benché sia evidente la sua adesione al Doganiere Rousseau e la sua ricerca per trovare punti di contatto con la sensibilità popolare espressi dagli ex-voto. Da non scordare il giusto e raro accostamento a Brueghel, cui aggiungerei anche stilemi di tradizione popolare orientaleggiante non lontani da quelli, a lei certamente noti, di Marc Chagall.

Dopo aver riprodotto la copertina della sotto citata monografia, riporto nel post la partecipe – e ricca di notizie – recensione al libro postumo riassuntivo dell'operato della Levasti (Biblioteca Marucelliana E S.P.E.S., Firenze, 1988) che Licia Collobi Ragghianti pubblicò su “Critica d'Arte” (V, n.19, gen.-mar. 1989) già allettata dalle infermità che causarono dopo pochi mesi la sua morte. Di mio padre riproduco dalla sezione intitolata “Arte contemporanea” (“SeleArte”, n.42, nov.-dic. 1959) la pagina 28 dedicata alla pittrice così caratterizzata: “Singolare fedeltà a una visione sincera, ingenua, umana, in uno stile fine e contenuto”. Si documenta poi il facsimile di una breve lettera a C.L.R. del 1962. Infine si ripropone il saggio, colonna portante del citato volume del 1988, scritto da Raffaele Monti, particolarmente esperto del periodo e ammiratore della Levasti.

F.R. (24 maggio 2021)


P.S. - Pubblico in questa sede, anche se non pertinenti l'arte di Filli Levasti, alcuni appunti estratti da abbozzi di vicende domestiche che implicano una connessione con i Levasti. I coniugi Levasti li intravedevamo spesso perché abitavano al n.15 di Viale Lavagnini che faceva angolo con via delle Mantellate, in un edificio attaccato a quello che faceva angolo con via Duca d'Aosta (n.17) dove abitavamo noi Ragghianti … Da bambino, fin dal '47 al '50, uscivo di pomeriggio per giocare sul marciapiede largo del viale o sull'asfalto delle strade affluenti, dove le poche automobili che transitavano ci scansavano, oppure si fermavano lasciandoci il tempo di fermare il pallone da calcio o di 

segnare sulla pista disegnata col gesso (fregato a scuola) il punto dove si trovava il nostro tappino di birra (le squadre più in avevano i tappi corona della stessa marca, meglio se straniera) … Siccome a Palazzo Strozzi in qualche occasione gli ero stato presentato, Filli Levasti mi conosceva, perciò quando – sempre in ghingheri – usciva per andare in centro e incontrava la nostra banda storceva la bocca per fastidio e disprezzo, il professore [Levasti] invece ci sorrideva e qualche volta ci ha anche strizzato l'occhio... Non è che io fossi come Machiavelli e mi “incanaglissi”: i ragazzi “borghesi” – figli di famiglie allora monarchiche ed ex fasciste, quindi DC, liberali per comodo... sia a scuola (salvo Mario Primicerio, Paolo Blasi e Sergio Moravia) che alla Fortezza da Basso o al Giardino dell'Orticultura, nei viali e lungo il Mugnone – mi evitavano ostentatamente, perché figlio di usurpatori e partigiani, il non plus ultra del loro ribrezzo … Ragion per cui restai isolato accolto soltanto (con qualche riserva e qualche rifiuto come quello della famiglia del Bongini – stalinista – che al figlio di otto anni proibì di frequentarmi) in ambienti proletari e “lumpen”.

Ciò fino alla fine del 1952 quando andammo in viale Petrarca 14 e quindi (1954) in Villa La Costa, grazie all'eredità di zia Bianca De Domazetovich … Il tenue legame con i Levasti riprese alle pendici del monte Morello, giacché fino alla morte di Filli e poi quella del vedovo Arrigo (1973) la domestica dei Levasti era la para-infermiera che faceva le punture (all'epoca frequente soluzione medica) a tutti i Ragghianti quando ammalati. Costei si chiamava Fedora Bargiacchi e abitava alla portineria del Parco Ritter, a 50 metri da noi al di là di via del Gioiello. Dopo il matrimonio della nostra cara resdaura carpigiana e tata di Anna (1954-1968) Maria Landi e dopo la morte di Arrigo Levasti, Fedora Bargiacchi (in assenza temporanea dell'altra “storica” collaboratrice di casa Ragghianti, Pina Giovannini) per qualche tempo fu domestica in casa nostra. Poi si trasferì per andare ad abitare con la sua famiglia in città. Comunque, borghesemente, in più di vent'anni di lavoro domestico e poi anche di accudimento vecchiaia, né i Levasti, né i loro eredi hanno, oltre le spettanze di legge, donato per ringraziamento e ricordo almeno un disegno alla Fedora Bargiacchi, che se lo aspettava.


Oltre che pittore e disegnatore di solida formazione e di fortunata presenza nel taccagno collezionismo toscano, Ugo Capocchini (1901-1980) è stato un personaggio assiduo nella socialità intellettuale, nonché famoso ed ammirato dicitore di battute alla “fiorentina” venate di humour britannico. Per rappresentarne un'immagine corale, recupero il fascicolo della rivista edita per volontà e passione da parte di Piero Pananti - “L'Indiscreto (a. X, n.2, ott. 1980) dedicato interamente al ricordo di Ugo Capocchini, uomo ed artista. Collaborarono a questa rievocazione Mario Luzi, Carlo Betocchi, Romano Bilenchi, Piero Bigongiari, Dante Giampaoli, Renzo Federici, Tommaso Paloscia, Alessandro Parronchi e Leonetto Leoni.

Segue, ed è con piacere che la riporto, la toccante, rievocativa testimonianza Mordace quotidianità di un artista scritta da Domenico Viggiano per introdurre la monografia Ugo Capocchini, Edifir, Firenze 2001. Scultore, fotografo eccellente e docente di fotografia, ordinario di incisione all'Accademica di BB.AA. di Firenze (di cui è stato Direttore dal 1983 al 2002), Domenico Viggiano, il quale tramite Leonardo Baglioni suo collega – che lo stimava molto – ho conosciuto sia pur superficialmente ma apprezzandone il dinamismo, è autore della fotografia di Capocchini di profilo nel chiostro dell'Accademia (1972) che riproduco assieme al conseguente Autoritratto del pittore.

Capocchini partecipò con opere grafiche a varie esposizioni de “La Strozzina” di Firenze e a quelle collegate con l'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Pisa, diretto da Carlo L. Ragghianti, circa la Raccolta Timpanaro. Nel 1962 c'è la prima importante personale antologica nella Galleria 

di Palazzo Strozzi con un bel catalogo presentato da Renzo Federici. La risonanza di questa esposizione e del catalogo vengono ricostruite nella scheda n.94, a cura di Rita Salis, tratta dal volume “Mostre personali”. CLR in un secolo di esposizioni. Fu in quell'occasione che i critici poterono verificare la difficoltà di reperire opere di Capocchini dipinte prima degli anni Quaranta; così, vedo, è stato anche per i cataloghi successivi. Di conseguenza, nell'allestire questo post sono riuscito a rintracciare soltanto poche opere di quel fecondo periodo – ben custodito dai proprietari e dai loro eredi – dell'attività dell'artista. Naturalmente è lecito pensare che la qualità di quei quadri sia quanto meno uguale a quella dei dipinti qui riprodotti.

Con Carlo L. Ragghianti e le sue pubbliche iniziative fiorentine Capocchini fu sempre simpatizzante e se necessario partecipe, piuttosto neutrale ma leale. Frequente era la sua presenza alle cene dopo le inaugurazioni delle mostre de “La Strozzina”: sempre dilettevole per i convitati a lui vicini di posto, allietati e divertiti dalle sue battute strafottenti, ironiche, come anch'io ho avuto modo di constatare in diverse occasioni.

Come si può vedere dalle illustrazioni del fascicolo de “L'Indiscreto”, Ugo Capocchini è stato assiduo disegnatore, con ripercussioni notevoli nell'incisione e nella litografia, dove aveva il conforto di interloquire in Accademia con talentuosi amici e colleghi come Rodolfo Margheri e Giuseppe Viviani. Per questo specifico aspetto della sua attività espressiva mi sono fatto persuaso – come direbbe il commissario Montalbano – che sarebbe opportuno affrontare un post apposito nel prossimo futuro.

F.R. (26 maggio 2021)







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