Carlo e Licia

Carlo e Licia

Archivio

Cerca nel blog

giovedì 15 aprile 2021

Licia Collobi Ragghianti e la “Mesoamerica,1” - culture di Tlatilco, olmeca e zapoteca.

Coniato nel 1943, col termine Mesoamerica si indica l'area geografica che comprende il Messico, il Guatemala, il Belize, l'Honduras, il Salvador fino al Costa Rica e le civiltà precolombiane ivi esistenti.

Licia Collobi, grazie a “SeleArte”, alla conoscenza delle lingue, alla solida metodologia e alla propria infinita curiosità scientifica, è divenuta una specialista autorevole della storiografia critica derivante dalle campagne archeologiche di quel complesso coacervo di stratificazioni avvenute nell'arco di un paio di millenni precedenti la genocida colonizzazione spagnola. La studiosa triestina ha anche indagato le civiltà preincaiche e il successivo “splendore” degli Incas e del resto dell'America Meridionale.

Mi pare opportuno cominciare a riproporre questi scritti di mia madre (nel caso specifico in collaborazione con mio padre Carlo L. Ragghianti, il quale diresse la scelta delle illustrazioni e suggerì alcune precisazioni sulle schede) con le analisi delle principali opere esposte al “Museo Antropologico di Città del Messico”, pubblicate in volume (1970) nella collana “Musei del Mondo”, coedizione internazionale concepita e stampata da Mondadori editore.

L'opera è importante perché innovativo per il pubblico messicano e per quello di altri paesi coinvolti nell'iniziativa è il metodo di analisi critica dei coniugi Ragghianti. Infatti l'impostazione è, se non proprio estranea, difforme da quella degli studiosi messicani, centrata sull'Antropologia (scienza che indaga i tipi e gli aspetti umani da un punto di vista morfologico, fisiologico, psicologico) disciplina ben lontana sia dall'archeologia che dalla critica e storia dell'arte, la quale è ricostruzione del fare dell'uomo come espressione visiva originale.

Carlo L. Ragghianti, direttore della collana “Musei del Mondo”, quando vide il materiale del Museo di Città del Messico, memore – come ricorda la moglie Licia nel contributo Mesoamerica a Palazzo Ducale (Critica d'Arte, V, n.8, 1988, p.32) – della grande impressione e stimolante occasione già nel 1962 fornita agli studiosi dalla mostra romana con 866 “oggetti precolombiani in missione di cultura” decise di riservare a loro la stesura dei testi del libro, dal quale li riproponiamo con le immagini corrispondenti.

Ricordo che, come in altre occasioni di collaborazione col coniuge (ad es. in “SeleArte”), la scrittura dei testi e il loro coordinamento è di Licia Collobi. Il contributo di C.L.R. è presente in alcune schede che richiedevano particolare definizione storico-critica. Personalmente non mi sento in grado di indagare; spero – ma lo reputo improbabile – che in Mondadori esistano ancora le pagine dattiloscritte dai Ragghianti separatamente. Ripeto però che è più verosimile che tutto il dattiloscritto sia di Licia che ingloba le osservazioni di Carlo.


In questa prima parte, dopo l'Avvertenza degli autori che indica i criteri e i problemi cronologici inerenti, e successivamente le due tavole sinottiche con le popolazioni e i luoghi, si riporta la prima sezione del Museo: Le culture di Tlatilco, olmeca e zatopeca (1110 a.C. - 200 d.C., pp. 17-44).

Il Messico era idealmente caro ai miei genitori perché prima e durante la guerra Mondiale fu antifascista e democratico. Per mio padre poi di prima formazione socialista non leninista il Messico era speciale accanto ad altri speciali avvenimenti. Egli infatti fu precoce ammiratore di Rosa Luxemburg, dei moti rivoluzionari germanici, del socialismo anarchico della “Commune” di Parigi, della rivoluzione russa in chiave trotzchista. [Fu perplesso sui moti armati di Torino – Gramsci – perché leninisti e immaturi]. Fin da bimbetto seguì l'epopea di Pancho Villa e quella di Emiliano Zapata, stigmatizzò il bieco imperialismo francese che impose al Messico uno strampalato impero cui si contrappose il mitico indigeno Benito Juàres. Nel 1948 con la mamma mi portò in un dopocena estivo in un cinema all'aperto (grande novità!) di Via Faenza a vedere Pancho Villa con Wallace Beery. Il Messico sostenne e accolse i profughi della Repubblica di Spagna, i combattenti apolidi e spagnoli franchisti rifugiati in Francia e lì campoconcentrati e liberati (1941) dallo sfacelo del Paese. Leo Valiani fu tra loro: in Messico scritte la Storia del socialismo del XX secolo, che mio padre fece stampare dopo la guerra dalle Edizioni U(omo) di Firenze, di cui era il direttore editoriale.

Infine un aneddoto inedito: negli anni Sessanta, per l'amore del Messico, per la simpatia riconoscente C.L.R. sequestrò una grande bandiera del Paese, quella con l'aquila ad ali aperte che uccide il serpente (in vigore dal 1916 al 1968). All'esterrefatto astante Pier Carlo Santini dichiarò: “Questa deplorevole sede (una mostra alla Triennale di Milano) non è degna di contenere la presenza di un simbolo nobile come questo!”. Rosetta ed io tuttora conserviamo il cimelio con sacro rispetto.

F.R. (21 marzo 2021)





Nessun commento:

Posta un commento