Carlo e Licia

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sabato 3 aprile 2021

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 23. FRANCO MANCINI (PANSINI, NOTTE, BRESCIANI, CRISCONIO, CIARDO, GATTO, VITI).

  


Post Precedenti:

1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 
3. UMBRO APOLLONIO (NATHAN, BIROLLI) - 19 settembre 2019
4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019
5/I. FORTUNATO BELLONZI (BOCCHI, D'ANTINO). 12 novembre 2019
5/II. FORTUNATO BELLONZI (MORBIDUCCI, SAETTI). 28 dicembre 2019
6. ALDO BERTINI (CREMONA, MAUGHAM C., PAULUCCI). 22 gennaio 2020.
7. ANNA BOVERO (BOSWELL, CHESSA, GALANTE). 5 febbraio 2020.
8. SILVIO BRANZI (SCOPINICH, BALDESSARI, NOVATI, SPRINGOLO, RAVENNA, KOROMPAY, ZANINI). 23 febbraio 2020.
9. GIOVANNI CARANDENTE (COMINETTI, MARINI). 4 marzo 2020.
10. ITALO CREMONA (REVIGLIONE). 7 maggio 2020.
11. ENRICO CRISPOLTI, I (BALLA, EVOLA, ALIMANDI, BENEDETTA). 2 aprile 2020.
12. ENRICO CRISPOLTI, II (COSTA, DIULGHEROFF, DOTTORI, FILLIA). 6 aprile 2020.
13. ENRICO CRISPOLTI, III (ORIANI, PANNAGGI, PRAMPOLINI, MINO ROSSO), 10 aprile 2020.
14. RAFFAELINO DE GRADA I (BOLDINI, ANDREOTTI). 22 giugno 2020.
15. RAFFAELINO DE GRADA II (BERNASCONI, CARPI, CARENA, FUNI). 6 luglio 2020.
16. ANTONIO DEL GUERCIO (MAZZACURATI, MENZIO, RICCI). 8 agosto 2020
17. TERESA FIORI (INNOCENTI). 1 settembre 2020.
18. CESARE GNUDI (FIORESI, PIZZIRANI, PROTTI). 2 ottobre 2020.
19. VIRGILIO GUZZI (MANCINI, CAVALLI, MONTANARINI, PIRANDELLO). 19 novembre 2020.
20. MARIO LEPORE (DEL BON, LILLONI). 21 dicembre 2020.
21. LICISCO MAGAGNATO (NARDI, PIGATO, FARINA, TRENTINI, ZAMBONI, BERALDINI, SEMEGHINI). 21 gennaio 2021.
22. CORRADO MALTESE (GERARDI). 4 marzo 2021.


L'architetto Franco Mancini (n. 1930) divenne titolare della cattedra di Scenografia (Venezia, dove fu determinante l'intervento di R. – da documento con lettera del 7.12.1963 – e Napoli dove nel 1984 diventa Direttore) ed è stato un prolifico studioso e operatore culturale, come ci mostra la sua dettagliata Biografia ufficiale (www.scenotecnica.com). L'esordio è brillante, non a caso a Napoli si svolse a lungo l'insegnamento di Emilio Greco e, soprattutto, quello di Vincenzo Ciardo, i quali non credo fossero estranei alla scelta metodologica di vicinanza di Mancini con Ragghianti, allora molto attivo e presente tramite la IFAS, i critofilm, nel mondo dello spettacolo visivo. In seguito Mancini si limiterà a essere una presenza costante nell'ambiente culturale ed artistico napoletano grazie ad una attività intensa ma circoscritta. Fu collaboratore di “Critica d'Arte”, ricordando nella propria bibliografia il saggio Scenografia: un rapporto da precisare (n. 62, maggio 1964) e con Un'esperienza scenografica. L'Isola di Arturo (n. 69, marzo 1965), che riproduciamo in questa sede, il secondo specialmente perché riguarda un film (da un libro di Elsa Morante, che mio padre mi indicò quale suo capolavoro) di Damiano Damiani, opera meno fortunata di quel che meriti sia all'epoca, sia tanto più oggi. Nella nostra rivista Mancini partecipò con altri articoli di storia della scenografia romantica. Riporto anche la lettera del 4 aprile 1968, nella quale C.L.R. coinvolge M. nella trasformazione della sezione 

“Spettacolo” di “Critica d'Arte”. Nel 1966, nell'ultimo fascicolo di "SeleArte" (n. 77-78) fu pubblicata la recensione al libro di Mancini Scenografia napoletana dell'Età Barocca (pp.50-51).  Questo progetto non ebbe poi pratica esecuzione giacché il redattore Cesare Molinari nel frattempo colse le sirene del '68 e si inconchigliò nell'Università di Firenze. Questa lettera risulta essere l'ultima del carteggio con lo scenografo.

Lo studioso ed operatore culturale, forse a causa anche della “freddezza” intervenuta nei rapporti tra Morisani e C.L.R., ma soprattutto perché imbozzolato nella “napoletaneità”, illustre e già “nobilissima” ma certamente dopo Benedetto Croce precipitata “assai” di livello. Vedo, infatti, più con sorpresa che con rammarico, che la partecipazione di Franco Mancini alla “Mostra Arte moderna in Italia 1915-1935” non è nemmeno citata nelle 5 fitte pagine della ricordata Biografia. Nella sezione “collaborazioni a cataloghi” vedo: “1966, un pretesto e qualche idea in “Il Presepe Ciciniello”, cui segue: “1970, La produzione nel periodo borbonico in figure presepiali...”. Ora: tacere, anzi nascondere, di aver collaboratoto in un consesso nel quale erano praticamente presenti i più illustri critici e storici dell'arte moderna, in una Mostra definita generalmente originale e innovativa, è un fatto inspiegabile...triste.

F.R. (4 febbraio 2021)


da "SeleArte" n.77-78, 1966:

Nato in Sicilia nel 1886, approda a Napoli nel 1904 ed ivi muore nel 1963, Edoardo Pansini come praticamente tutti gli artisti meridionali dell'epoca presenta difficoltà nell'esser documentato con le opere (o almeno la loro riproduzione). L'Industria culturale è generalmente situata al Centro-Nord, e l'isolamento mediatico in realtà locali sacrifica anche gli artisti più originali e fattivi. Pansini, come mostrano soprattutto le opere illustrate dal Catalogo 1915-1935, è un pittore di grande qualità stilistica e di originalità compositiva.

Lo posso documentare soprattutto con quadri appena precedenti il 1915. Dall'insieme dell'opera, oltre a quel che scrive il presentatore Mancini, si può dedurre che ”interprete principale dei dipinti di P. è la figura femminile di cui l'artista sottolinea tutte le sensualità e la carica erotica: la

scelta e l'interpretazione del soggetto, nonché l'accentuato espressionismo delle figure rimandano ai secessionisti viennesi come Klimt e Schiele”, scrive Lavinia Brancaccio.

Mi piace ricordare che nel 1922 Pansini fu fondatore e direttore della rivista “Cimento” “dalle cui colonne conduce con chiarezza ed entusiasmo la sua battaglia per un'attività artistica realmente liberale e libera”. Purtroppo non conosco questo periodico che dalle righe che gli dedica la citata L. Brancaccio (di cui ho perso la segnatura) sembra un organo molto interessante, dal punto di vista degli ideali sociali.

Pansini partecipò alla lotta armata di Liberazione delle gloriose Quattro Giornate di Napoli (1943) durante le quali gli morì in combattimento il figlio Adolfo, giovanissimo.

F.R. (4 febbraio 2021)






Di questo personaggio non trovo altro da dire a proposito dell'opera che quanto ha scritto nella scheda del Catalogo Franco Mancini. Vedere questa pittura mi deprime, sono vecchio, stanco,



fragile, non vedo perciò perché ne devo dare un giudizio per forza...oltre al fatto che costui mi pare uno di coloro che a Napoli sono innominabili.

Nato nel 1902, Antonio Bresciani attraversa praticamente tutto il Novecento morendo nel 1998. Il che in sé significa soltanto che si può definire senz'altro pittore del Ventesimo secolo. Però mi pare di poter riscontrare parallela alla uniformità temporale, una continuità stilistica

indubbiamente ancorata alla raffigurazione e alla glorificazione del corpo femminile e della femminilità in generale. E' pittore comunque valido al di là del rassicurante contributo critico di scrittori dell' opera come Orio Vergani e Leonardo Borgese.


Il Catalogo della retrospettiva allestita nella Villa Comunale di Napoli alla fine dello scorso anno, che raccoglieva ben 221 dipinti di Luigi Crisconio (1893-1946), è stato curato da M. Autiello e presentato da P. Ricci (Napoli, 1964, 92 pp., 221 tavole f.t. in nero e a colori). L'ampia rassegna, ottimamente illustrata, ricca di dati, documenti e giudizi,

vuole riproporre all'attenzione della critica la feconda opera di “un pittore semplice, perciò difficile”, che quindi “al nostro occhio moderno può passare inosservato” (R. Guttuso). Da “seleArte”, n. 75 (1965, p. 57). La monografia citata è introvabile o è troppo costosa.

Uomo amabile, ironico e sagace, coltivò le amicizie, selezionate e differenti tra di loro però di confronto in cui la distinzione per ottenere l'equilibrio del maestro nei confronti delle personalità dei discenti. Per ciò che riguardava il proprio lavoro fu invece artista di rara coerenza nella costante ricerca di elaborare i propri paesaggi in soluzioni originali di inconfondibile matrice stilistica individuata e coltivata con una costanza – mutatis – morandiana.

Tra gli amici eletti, quelli prescelti come stimolo e paragone intellettuale, ci fu Carlo L. Ragghianti col quale la conoscenza si strinse in amicizia nelle settimane spalmate in alcune annate della Giuria del Premio del Golgo della Spezia. Lì convennero Felice Casorati, Carlo Carrà, Mino Maccari, Renato Guttuso e altri artisti e critici riuniti in rara armonia intellettuale e sociale, che mia madre ricordava come le più belle “vacanze” della sua vita e dii più ovviamente – che da noi hanno spesso sofferto isolati per le loro ferite, per le loro perdite.

quella di Carlo L. Ragghianti. Vacanze mitiche lontane dalle necessità quotidiane, al contempo eccitanti e riposanti.

Come in altri casi di questa serie rievocativa della Mostra “Arte moderna in Italia 1915-1935” circa il rapporto tra C.L.R. e, se coinvolta, la sua famiglia con un determinato Maestro o una personalità ricorrerò ad un apposito post per illustrarlo. Qui mi limiterò a riportare lo scritto di C.L.R. su Ciardo e il paesaggio (in dattiloscritto, perché non riesco a trovare la trasposizione tipografica) e la pagina che “seleArte” (n. 12, 1954) dedicò al pittore in occasione della Biennale di Venezia.

Propongo, a seguire, il ricordo cordiale di Garibaldo Marussi (1909-1973) in occasione della retrospettiva di Ciardo a Lecce alla fine del 1972. Ciò per rammentare – con uno dei suoi ultimi articoli su “seleArte” (gen.-feb. 1972), periodico da lui diretto, prima della morte prematura – Marussi (figlio di Giovanni, irredentista, scultore titolare all'Accademia di Brera) chiamato non a caso col nome di Garibaldo. Egli fu profugo dopo la Guerra Mondiale dalla natia Fiume, esule in patria mutilata di quella terra dove i titini gli uccisero il fratello. I fascisti nostrani urlano per le vittime delle Foibe; tutti scordano che tra quelle vittime e 

gli esuli c'erano innocenti non fascisti – i più, ovviamente – che da noi hanno spesso sofferto isolati per le loro ferite, per le loro perdite.

Ripropongo quindi uno scritto di Casorati sulla pittura del giovane amico Ciardo, accompagnato da un ritratto inedito del Maestro piemontese, piuttosto corrucciato, eseguito durante una seduta della Giuria del Premio Golfo della Spezia. Seguono due disegni inediti eseguiti in quella occasione: uno di Guttuso che ritrae Ciardo (funereo e poco somigliante), uno di Mino Maccari che, invece, coglie appieno una espressione, sbarazzina, “napoletana” che talora il pittore assumeva (per es.: divertire noi figli Ragghianti ragazzi tra i 12 e i 6 anni d'età).

Propongo anche l'elenco delle pubblicazioni di Ciardo (scrittore fine, elegante) allegato al volume rievocativo di Antonio Cassano (Capone, editore nel 1979), nel quale non sono ricordati gli articoli che Ciardo scrisse per “Il Mondo” di Pannunzio e che, comunque, sono quasi tutti riportati nei libri ivi elencati. Prima della panoramica di dipinti di Don Vincenzo, riproduco due disegni tra di loro antitetici: uno giovanile, l'altro un notturno e, per finire, una delle caratteristiche pagine nelle quali l'artista univa ad un ritratto (o Autoritratto) uno scritto, generalmente notissimo, in versi rimati. In questo caso si tratta di Giovanni Brancaccio (1903-1975) pittore, incisore, scultore, scenografo, collega all'Accademia di Napoli. Il foglio è datato 25 gennaio 1954. Questo suo modus operandi è in Ciardo frequente, tanto che nei confronti di Carlo L. Ragghianti assume la corposità di un opuscolo che ci ripromettiamo di illustrare nel successivo post Ciardo e Ragghianti.protagonisti della prima metà del secolo scorso,

Come per molti artisti – praticamente quasi tutti - anche per Vincenzo Ciardo nel mondo d'oggi e l'attenzione e l'apprezzamento sono scarsi, la memoria è attenuata, il mercato depresso, salvo isole locali (per lui il Salento). Ciò avviene con legittimità (forse eccessiva stante la “qualità” dell'offerta) nel mondo d'oggi e ne sono tramite potenti circuiti mediatici e sociali, grandi interessi finanziari che speculano sulle arti figurative.

F.R. (7 febbraio 2021)

Da "SeleArte", n.12, mag.-giu., 1954. XXVII Biennale di Venezia.




Al di là dei mitologici racconti che talora, ben repleto, magnificava suo nipote Alfonso Gatto (1909-1976) grande amico di Alfredo Righi e tramite lui mio e di Rodolfo Ceccotti, nonché definito “poeta civile” per eccellenza, Saverio Gatto (1877-1959, stessi dati anagrafici del nonno Francesco Ragghianti) è stato un eccellente scultore, soltanto in parte sacrificato dalla tradizione di Gemito da un lato e da Wildt dall'altro.

Per dirla col sottostimato e dimenticato Sergio Ortolani (caro a C.L.R.) riporta M.S. De Marinis “notevole nella composizione, la presenza di una profonda vena di ellenismo nostrano che, a suo parere, riusciva a purificare qui il fondo veridico e naturalistico dell'immagine, con tanto mondana eleganza. L'effetto pieno ed agile non fa pensare al giovane Donatello?”

Riproduco soltanto due disegni dalla cospicua ma non reperita produzione di pitture e disegni, molto apprezzata dai contemporanei. Raggiunta la notorietà negli anni Venti, Saverio Gatto indulse vieppiù a funzioni di carattere ufficiale. Così “tra le due anime di S.G. proprio quella anticonvenzionale...venne sacrificata, rispetto all'altra, più tradizionalista, negli anni successivi al 1923”. Peccato.

F.R.(5 febbraio 2021)






Certe situazioni non si modificano nemmeno nei decenni: nel post Misconosciuti (11 novembre 2018) mi riferivo a coloro i quali nella Mostra “Arte moderna in Italia 1915-1935” già nel 1966 furono più o meno danneggiati per il difficoltoso recupero di dati, riproduzioni di opere d'arte e notizie critiche. Quindi alla rarità dei materiali si univa l'ignoranza del passato.

Proprio a proposito di Eugenio Viti lamentavo che non ebbe riscontro mediatico perché privo di sufficienti pezze d'appoggio per un discorso critico motivato. Le situazioni sono pressoché identiche e all'epoca l'unica novità riguardante parecchi Maestri fu la “scheda” e la loro presenza in Mostra.

Certamente avendo mezzi economici in antiquariato si

trovano volumi, anche lussuosi, monografici o settoriali, però sono di scarso peso scientifico in quanto pubblicazioni praticamente pubblicitarie delle opere riprodotte di provenienza privata (o da Gallerie specializzate). Libri, oltretutto spesso assenti nelle biblioteche pubbliche più attrezzate e prestigiose. Comunque esse non sono accessibili da una persona anziana e, tra l'altro, con disturbi prostatici. D'altro canto non intendo spendere cifre irragionevoli per scarso o nullo risultato. Di conseguenza, sia pur con rammarico e dispetto, devo abbandonare anche il povero Eugenio Viti, che per quello che posso vedere è un validissimo pittore di stampo direi meritatamente europeo.

Se ne avrò l'inaspettata opportunità tornerò su questo testo, riscrivendolo da capo a fondo.

F.R. (5 febbraio 2021)



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