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lunedì 1 marzo 2021

C.L. Ragghianti e il detenuto Aurel Spachtholz.

Nel penultimo periodo della lettera del 19 ottobre 1962 inviata a questo curioso personaggio, detenuto meritatamente in carcere (in relazione al fatto di aver compiuto azioni che costituiscono reato), Carlo L. Ragghianti spiega perché gli risponde (con a parer mio un'importante descrizione del proprio carattere e della propria moralità). D'altra parte era costume di R. rispondere a chiunque gli rivolgesse una corrispondenza significativa e problematica.

Nell'ultimo paragrafo quindi, lo storico ribadisce concisamente il suo atteggiamento nei confronti del falso e del falso d'artista (o autofalsificazione) nelle arti figurative. Noterei anche che l'ultimo biglietto dello S. (o almeno conservato) è datato 14 febbraio1963 ed è una richiesta incongrua. Il che mostrerebbe soltanto maleducazione vuoi per la specificità, vuoi per il tono paritario, inammisibile non per lo stato di detenuto, ma per la mancanza di misura per la sproporzione “accademica” tra i soggetti. Io vi adombro un ego “renziano” (tanto per restare in attualità), R. probabilmente accantonò semplicemente la lettera, dimenticandosene, come era uso fare quando un colloquio epistolare , nato perché centrato su temi e argomenti “professionali”, deperiva o scadeva.

Questa breve corrispondenza mi è parsa interessante comunque, perché investe un aspetto poco conosciuto ma reale coinvolgente la nostra società. Certo allora lo scontare in carcere una condanna poteva capitare anche ai “colletti bianchi” e agli addetti alla politica.

Oggi, invece, l'essere detenuto riguarda soltanto poveri cristi, stranieri indigenti e incolti, “perseguitati” per reati d'opinione soprattutto, persone non legate a potentati. In questo caso mi riferisco, soltanto per fare un esempio, alla signora Nicoletta Dosio e agli altri contrari alla TAV. Beh, certo anche mafiosi e camorristi, ndranghedisti ecc. talora sono detenuti. I veri capi quasi mai, però.

C'è poi un fenomeno direi unico, in un regime retto da Costituzione democratica, gestita contro lo spirito della legge: si assiste infatti a inspiegabili, misteriose impunità (trasversali nella scala sociale) nei confronti di personaggi, oberati da condanne – anche decine, forse centinaia – per tanti tipi di fattispecie penali che riescono a non scontare pene, o a scontarle soltanto in modo “simbolico”, per così dire.

Data la cattiva qualità delle copie d'archivio di cui dispongo, abbiamo trascritto la lettera del 19 ottobre 1962 scritta da C.L. Ragghianti perché il contenuto non fosse letto con fatica.

In Appendice alla corrispondenza aggiungo una notizia da Internet

riguardante il già detenuto Spachtholz. Qui dico soltanto che egli – nato nel 1915 – morì nel 1978, un mese dopo aver dichiarato a “Paese Sera” (benemerito quotidiano romano filocomunista particolarmente attento alla cronaca culturale) “conosco l'ubicazione della prigione di Moro”.

F.R. (29 gennaio 2021)



Appendice


Riporto dal blog “Osservatorio” la p. 2 su 3 riguardante la dichiarazione resa a “Paese Sera” da Aurel Spachtholtz circa l'ubicazione della prigione di Aldo Moro, rapito e in seguito assassinato dalle Brigate Rosse famigerata organizzazione clandestina eversiva di stampo leninista, sicuramente infiltrata, in parte eterodiretta.

Riporto anche l'intestazione dell'articolo Aldo Moro delitto di Stato che contiene una testimonianza di Giovanni Gennari

nella quale è coinvolto Aurel Spachtholtz, il quale nel biglietto da visita si presenta come “pittore e grafico internazionale, membro dell'Accademia Goncourt di Parigi, senatore dell'Accademia Burckhard di Zurigo”. Meno male che il S. non poté – essendo detenuto – spedire a mio padre un biglietto da visita così o similare: C.L.R. avrebbe cestinato la lettera immediatamente.

Nel terzo documento riporto uno stralcio della deposizione del Gennari alla Commissione Parlamentare di inchiesta della Camera dei deputati istituita per far luce sull'omicidio di Moro.

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