Carlo e Licia

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lunedì 27 luglio 2020

Pittura fiamminga, 1.

Questo libro (Pittori Fiamminghi, Mondadori, Milano, 1962) è un tipico prodotto della disinvolta editoria degli anni del Boom economico e della crescita dei corpi redazionali editoriali, infarciti anche di nomi ragguardevoli, però con effettivi esecutori abbastanza raccogliticci di cultura prevalentemente generica ed orecchiante. Il testo critico – volutamente “divulgativo” sulla scia di quello che caratterizzò “seleArte” (1952-1966) – è rigoroso concettualmente.
Purtroppo le superfetazioni redazionali fecero sì che il materiale illustrativo in b/n e a colori stravolgesse quanto indicato dall'autrice Licia Collobi, la quale aveva fornito elenchi illustrativi e testi relativi di sicura qualità ed omogenei al progetto.
Dato che acquisire certe illustrazioni comportava lavoro (sono osservazioni che faccio con cognizione di causa essendo stato redattore) di corrispondenze in inglese e complicazioni singolari da risolvere caso per caso – stante anche una responsabilità editoriale incompetente e debole – fu seguita la linea di minor rigore e di facile soluzione. Le molte proteste e proposte alternative della Collobi furono ora sì ora no accolte, in parte sì e in parte no modificate ulteriormente o rifiutate. Così passò del tempo, fino a quando o si procedeva subito o non se ne faceva di niente. Naturalmente l'editore procedette.
In conclusione: le didascalie delle illustrazioni , come la scelta e il taglio delle immagini sono stati operati dalla redazione dell'editore utilizzando in modo arbitrario quanto fornito dall'autrice.
Nonostante tutto ciò, il libro non è da scartare, anzi – data anche la alta tiratura – ha contribuito alla migliore conoscenza di questi pittori, quasi tutti meno noti e presenti alla nostra cultura.
Il testo di Licia Collobi è tuttora valido e di lettura affabile.
Pittori fiamminghi, libro che compare nelle bibliografie “a cura di Giuseppe Argentieri”, non vede citato il nome dell'effettiva autrice Licia Collobi Ragghianti in nessun luogo.
Licia Collobi è stata una “negra” (come si dice in gergo editoriale di un autore effettivo assente, sostituito da un impostore, in inglese il termine è ghost-writer)? Sì ma per un caso curioso, anomalo, per certi versi divertente. In primo luogo non le fu mai richiesta nessuna clausola capestro restrittiva e di riservatezza, come avviene di solito (come posso per quel che mi riguarda testimoniare).
Il contratto, riprodotto qui di seguito, infatti riconosce all'autrice il suo operato; le viene soltanto richiesto di consentire “che la pubblicazione esca senza il suo nome e con la menzione a cura di Giuseppe Argentieri”. Il compenso di £ 650.000 equivale oggi a almeno 7 o 8 mila euro. Non male, soprattutto nel 1962!
Va detto anche perché e come si sia presentata questa occasione, dovuta al caso non al bisogno impellente. Sul come si è presentata la faccenda posso testimoniarlo perché ero presente.
Alfredo Righi allora era impiegato alla Mondadori, che per altro stava lasciando perché già si stava concretizzando l'ingresso di Pampaloni come direttore della Vallecchi, anche grazie ad Alfredo che gli faceva da segretario e promotore di immagine. Quando veniva a Firenze, spesso ci veniva a trovare, così come fece all'inizio del 1962, in una giornata tersa e solatia come a volte la detestata capitale toscana regala.
Arrivò verso mezzogiorno e, dato che il babbo era occupato nello studio, lo portai dalla mamma nel suo salotto-ufficio. Parlando del più e del meno mia madre chiese a Righi se conosceva Tiziano Palandri, partigiano pistoiese tra i più fedeli comandanti e compagni di Parri e Ragghianti. Certo rispose Alfredo, che chiese il perché della domanda: la risposta fu che il povero Tiziano era in testa alla mamma perché a breve la nostra famiglia gli avrebbe dovuto una cifra corposa per la fornitura di nafta per il riscaldamento di casa, cosa che le creava un momentaneo e imprevisto problema economico. Dopo un po' l'Alfredo – esuberante come spesso era – declamò che aveva lui la soluzione per questo fastidio economico. Quindi raccontò che un dirigente della cerchia familiare di “Arnoldo” (confidenzialmente) cercava un autore affidabile cui far scrivere un testo agile sui pittori fiamminghi, molto ben pagato. Fu così che mia madre divenne ghost-writer, o “nègre” o “negro” che dir si voglia, anche se il politically orripila al suono italiano e francese.
Giustamente mia sorella Rosetta mi fa notare che ho dimenticato una precisazione più che opportuna. Nel 1962 Licia Collobi era già considerata nell'ambiente professionale come una specialista affermata della pittura fiamminga e olandese. Va ricordato che nella importante, e per certi versi criticamente innovativa Mostra d'Arte Fiamminga e Olandese dei secoli XV e XVI (Palazzo Strozzi, Firenze, maggio-ottobre 1947), la studiosa triestina non fu soltanto determinante collaboratrice al montaggio dell' Esposizione, fu anche la redattrice unica (assieme ai contributi di Carlo L. Ragghianti) del Catalogo scientifico (Edizioni Sansoni, Firenze, 1948), di veste modesta come imposto dai tempi ma prestigioso. E da allora si occupò sempre dell'impresa avviata da C.L.R. – ma presto trascurata – del thesaurus fiammingo dal 1946 nello Studio Italiano di Storia dell'Arte.
Va infine tenuto presente che al 1962 numerosi erano già i contributi pubblicati da Licia Collobi su “Critica d'Arte” e “seleArte”, come si può riscontrare nella sua bibliografia pubblicata per cura di Rosetta Ragghianti e poi anche in questo blog (vedere il post del 2 novembre 2016). Attività specialistica poi proseguita sempre con studi e ricerche fino alla morte avvenuta il 27 luglio 1989 quando aveva dato il si stampi al suo libro postumo Dipinti fiamminghi in Italia (1420-1570). Catalogo (Calderini, Bologna 1990).
F.R. (9 giugno 2020)











TAVOLE




























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