La
scelta per l'inizio di questa mia rubrica è stata ben ponderata, ho
preso in considerazione anche le possibili recriminazioni derivanti
dal recensire un'opera meritevole sì ma non popolare né
prevedibile. Non solo onestà intellettuale, ma anche personale
interesse per i temi trattati e apprezzamento per lo stile e la
scrittura dell'autrice mi hanno fatto scegliere per questo primo
articolo l'opera poetica Citizen, una lirica americana della
professoressa jamaicana Claudia Rankine, tradotta in italiano nel
2017 e pubblicata da una delle case editrici indipendenti italiane
che preferisco, quanto a titoli e scelte, la romana 66thand2nd.
Temi
pesanti caratterizzano questo libro di poesia magnifica e
terrificante al contempo, eventi noti e di cronaca intessuti con
esperienze giornaliere, senza nome eppure tanto comuni da poter
appartenere a chiunque. Beh, non proprio a chiunque purtroppo.
L'autrice
Claudia Rankine, nata a Kingston nel 1963 è una poetessa e
scrittrice statunitense da sempre impegnata nel dare voce ai problemi
legati al razzismo e alla discriminazione negli Stati Uniti in
particolare. Lo aveva già fatto ad esempio con la performance
teatrale White Card in cui mette in scena in modo provocatorio il
dialogo tra bianchi e neri esemplificandolo attraverso la
conversazione tra un'artista nera ed un ricco collezionista d'arte
bianco che affronta i temi del creare, comprare e collezionare
immagini di “black death” cioè scene di morte di persone di
colore.
E'
tra le più riconosciute ed acclamate intellettuali degli Stati Uniti
ed ha curato varie antologie poetiche tra cui American Women Poets
in the Twenty-First Century: Where Lyric Meets Language
(Wesleyan, 2002) e American Poets in the Twenty-First Century: The
New poetics (2007), è drammaturga (Provenance of Beauty: A
South Bronx Travelogue) ed ha collaborato con John Lucas a vari
video d'autore. A suo nome cinque raccolte di poesia: Don't Let Me
Be Lonely (Graywolf, 2004); PLOT (2001); The End of the
Alphabet (1998); e Nothing in Nature is Private (1995),
raccolta d'esordio alla quale viene assegnato il Cleveland State
Poetry Prize; collabora inoltre con le maggiori testate americane
(“New York Times”, “Guardian”, “Washington Post”), è
rettore dell'Accademia dei Poeti Americani e insegna poesia
all'Università di Yale.
Citizen
è stata definita una sua personale, moderna versione di Spoon
River per il modo crudo ed estremamente efficace con cui racconta
l'esperienza della comunità di origine africana degli Stati Uniti
d'America.
Quest'opera irregolare, volutamente “aggressiva” dipinge con ritmo incalzante e singhiozzato gli orrori della realtà razzista americana nelle sue declinazioni quotidiane silenziose e inosservate, quelle di cui pochi parlano e che nessuno ascolta, che non fanno scalpore nei telegiornali e di cui tanti bianchi si sentono in diritto di ignorare l'esistenza.
Quest'opera irregolare, volutamente “aggressiva” dipinge con ritmo incalzante e singhiozzato gli orrori della realtà razzista americana nelle sue declinazioni quotidiane silenziose e inosservate, quelle di cui pochi parlano e che nessuno ascolta, che non fanno scalpore nei telegiornali e di cui tanti bianchi si sentono in diritto di ignorare l'esistenza.
Denuncia
quel che significa essere neri in un Paese, ma anche in un mondo, che
pretende nel suo privilegio di mantenersi sordo e cieco all'evidenza
di una disparita' sistematica, sottile, costante che attacca la
comunità di colore in modo diretto, ma che di conseguenza degenera
l'umanità intera e la possibilità di ottenere vera libertà,
uguaglianza per ogni essere umano. A prescindere.
Rankine
sceglie di usare scandali noti come le reazioni della tennista Serena
Williams (considerate dall'opinione pubblica violente ed “eccessive”,
in realtà più che legittime) conseguenti al trattamento
discriminatorio da lei subito sul campo; le atroci colpe dietro
l'uragano Katrina abbattutosi su Haiti in cui il benessere dei
soccorritori bianchi fu messo al primo posto rispetto alle migliaia
di vite locali perdute; o gli epiteti razzisti che scatenarono le
azioni del calciatore Zinedine Zidane in quel famoso Mondiale; ma
anche ingiusti fermi di polizia, casi di profiling, “generiche”
sfumature di quel che significa sentirsi diverso negli States. Perché
c'è fondamentalmente una sola grande crepa che divide volutamente la
società americana, così da potervi imperare...ed è ancora il
colore della pelle, per quanto inconcepibile dovrebbe sembrare.
Con
una lirica scomposta dallo stile moderno e graffiante insieme a foto
d'autore e riproduzioni di opere d'arte che
si stagliano prepotenti sulla pagina bianca patinata, Claudia
Rankine ci insegna che nessuno di noi è immune dal razzismo
involontario, inconscio e che noi bianchi abbiamo la responsabilità
– nei confronti sì della popolazione di colore ma anche nei
confronti di noi stessi, della nostra umanità – di porci domande
scomode. Darci risposte altrettanto fastidiose ma che sono il primo
mattone nella ricostruzione dei tanti perché dietro alla presente e
passata condizione di oppressione degli uni verso gli altri, il primo
passo verso una soluzione che deve essere trovata sì ai piani
alti...ma che come quasi sempre accade inizia nelle piccole
insignificanti interazioni tra individui. La scelta di una parola, il
cogliere noi stessi sul punto di esprimerci o agire sulla base di un
pregiudizio inculcato che diventa automatismo, lo sviluppare
cosciente di una curiosità positiva e costruttiva nei confronti del
diverso, dello sconosciuto che ci porti ad arricchirci anziché
lasciarsi nudi con il nostro odio.
Non
è la prima opera a cui mi sono avvicinata in questo mio percorso
personale di crescita e di scoperta – intellettuale ed umana –
della questione del razzismo e delle voci degli oppressi, ha la eco
sommessa di capolavori come le opere di Toni Morrison, James Baldwin
con il taglio giornalistico dei saggi di Ta Nehisi Coats. La lirica
di questa formidabile poetessa si è intrufolata con urla silenziose
a toccare corde sensibili e personalmente credo sia un'esperienza che
non abbastanza persone si concedono.
Irene Marziali Francis
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