Cinque
sono stati i post con argomento unico e determinante con l'idea di
cultura.
Per la
precisione: 1. Concetto di cultura (Huizinga), postato il 2
febbraio 2017; 2. Cultura, libri e società (Salleneuve), 15
giugno 2017; 3. Attualità culturale 1984 (C.L. Ragghianti),
30 agosto 2017; 4. Radiotelevisione e cultura, 2 giugno 2018;
5. Classe politica e classe culturale (A. Moravia), 31gennaio
2019.
Già
da questi titoli si deduce che cultura
è un termine con più di un significato, il quale può dar adito a
contraddizioni. I sinonimi del lemma sono grosso modo i seguenti: 1.
erudizione, sapienza, dottrina, istruzione, sapere, conoscenza; 2.
civiltà, civilizzazione; 3.
(che esula dal nostro contesto) coltivazione, coltura.
Valido,
seppure circoscritto alle sue specificità, è il primo significato
del vocabolario che esprime “il complesso del sapere letterario,
artistico o scientifico proprio di un popolo o di un'epoca”
Specialistico
– e generico – il secondo significato che comprende l' “insieme
dei valori delle tradizioni e dei costumi che caratterizzano la vita
sociale di un popolo o di una civiltà”.
Indispensabile,
in riferimento alle altre accezioni principali, il terzo significato
lessicale che comprende “il patrimonio specifico di conoscenze e
nozioni organicamente legate tra loro che un individuo possiede e che
contribuiscono in modo sostanziale alla sua personalità.” In altre
parole necessario strumento per cui un individuo può procedere alla
realizzazione della propria “costruzione morale”, secondo la
convinzione e l'insegnamento di Carlo L. Ragghianti.
Nel
presente post riportiamo tre altre interpretazioni con risvolti
definitorii del termine cultura.
La
prima analisi è una incisiva citazione di Carlo L. Ragghianti,
riportata nel 1992 dal quotidiano di Roma “Il Messaggero”.
La
seconda interpretazione del complesso concetto è una
riflessione del filosofo malgré-soi Guido Ceronetti (1927-2018). Già la proposi nel domestico “seleArte” (n. 23, gen. 1996, pp.76-78), oggi la ripropongo perché il suo pessimismo ben si coniuga con la violenza (tanto, ma tanto volgare) dilagante in questo disastrato Paese e nel resto di questo piccolo pianeta.
Una
sfera, una biglia vorticosa e indissolubile nella sua rotazione
annuale intorno al sole, il quale consente la sintesi vitale che ci
caratterizza. Una dipendenza inscindibile, assoluta dal sole che
possiamo, o meglio sembra vogliamo interrompere con un assurdo
suicidio collettivo.
Il
terzo intervento è un articolo (da “Il Giornale”, 2 sett. 1987)
nel quale François Fejtö
analizza la proposta culturale di Alain Finkielkraut, piuttosto
confusa e contraddittoria ma con il merito indiscutibile di
respingere “il relativismo morale e culturale...alla moda”.
Fejtö
(1909-2008), di cui C.L.R. seguiva gli interventi pubblici e politici
con partecipazione, per me è stato un punto di riferimento,
fidandomi delle sue opinioni
ricche
di spunti su cui riflettere. Già nel 1955 lessi la sua Storia
delle democrazie
popolari
(Vallecchi), un pilastro su cui ho fondato il mio fervido
anticomunismo europeista, di cui era allora politicamente un faro il
grande Mendes-France. Vedo, e concordo, che Fejtö
“viene considerato uno dei maggiori intellettuali
del XX secolo”. Nel 1957 C.L.R., poi quindi io, lesse Ungheria
1945-1957, nella
traduzione di Carlo Fruttero (che faceva Lucentini?) per i “Saggi”
Einaudi, anziché nell'originale in francese pur di evitare le
elucubrazioni di J-P. Sartre, prefatore di quella edizione.
Alain
Finkielkraut (1949) è un “filosofesso” (copyright di C.L.
Ragghianti) francese lambiccato e supponente, in perenne ricerca di
visibilità ed onori. Purtroppo oggi va difeso perché ha subito
un'indecente aggressione antisemita e fascistoide da parte dei “gilet
jaunes” che imperversano a torto contro un governo che ha torto.
F.R.
(24 dicembre 2019)
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