Carlo e Licia

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martedì 12 novembre 2019

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 5/I. Fortunato Bellonzi. (BOCCHI, D'ANTINO).



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4. MARCELLO AZZOLINI (GUERRINI, CHIARINI, VESPIGNANI). 6 ottobre 2019


In questa quinta uscita della sezione “Schede dei critici” il protagonista è Fortunato Bellonzi (1907-1993). Grazie al volume Fortunato Bellonzi e Pisa (2003, CLD libri) – comprato su Internet dove l'ho individuato – sono riuscito finalmente a vedere alcuni dipinti di questo amico di famiglia. Ne sapevo l'esistenza grazie a mio padre che li rammentava, così come hanno fatto amici come Emilio Greco. Però non li avevo mai visti in formato decente e a colori, né nella notevole fototeca del babbo, che riordinai nel 1962-63 e alla quale ho sempre atteso, sia pur saltuariamente, fino all'invio dell'intera Fototeca alla Fondazione Ragghianti di Lucca, non c'erano riproduzioni leggibili.
Capisco adesso perché non fossero presenti, penso – cioè – che il caso Bellonzi come pittore sembra sostanzialmente analogo – con i debiti e molteplici distinguo – a quello dei Carracci (si veda il post del 7 luglio 2019). Quindi la pittura di Bellonzi è più espressione culturale, critica in quanto prevalentemente di ricostruzione e analisi interpretativa dei movimenti vigenti nella sua contemporaneità, da Futurismo a Lorenzo Viani (di cui il giovanissimo Bellonzi ricevette amicizia e riconoscimento paritetico), al “richiamo all'ordine”.
Non va scordato però che Bellonzi, come molti intellettuali di quella generazione formatasi prima del fascismo, fu anche scrittore e poeta di qualità, nonché evidentemente critico d'arte. E' per questo specifico aspetto che – secondo me – B. abbandonò la pittura proprio perché consapevole che l'esercitarla confondeva la propria razionalità volta a capire l'arte più che esprimerla, perché convinto della tesi espressa circa la prosa figurativa dall'amico Carlo L. Ragghianti, suo giovane condiscepolo alla scuola di Marangoni, elaborata proprio in quegli anni. Ciò non toglie che alcuni dei dipinti superstiti di Bellonzi siano anche espressivamente poetici, composizioni originali commoventi e commosse. In definitiva, quindi, in questo caso della nostra rivisitazione della Mostra Arte Moderna in Italia 1915/1935, il curatore delle schede critiche è anche lui per molti aspetti un pittore degno di considerazione e di collocazione storiografica.
Bellonzi, “Fortunatino” fin dai tempi delle elementari e poi dell'Università a causa della statura forse di poco superiore a quella di s.m. il re, paragonava spiritoso sé stesso alla gallina livornese (“che ha un anno, e par c'abbia un mese”), cosa che a Pisa denotava sana strafottenza, o a volte anche quella mugellana, anch'essa “nana”.
Inoltre F.B. è stata tra le tante persone notevoli o illustri che ho incontrato una delle più autenticamente dotte e che comunicava agli altri con leggerezza e spirito il suo sapere senza pedanterie o alterigia: un intrattenitore profondo e al contempo leggero.









Amico di Carlo L. Ragghianti, per certi versi fraterno, nonostante il cattolicesimo praticante di B. e la sua frequentazione con Marinetti ed altri esponenti culturali collusi col fascismo nell'anteguerra, mentre C.L.R. già era dichiaratamente e attivamente antifascista. Nel dopoguerra B. si legò ai democristiani. Sia ben chiaro, però, che l'incarico alla Quadriennale era più che meritato, perché era Bellonzi a darle il lustro che ebbe, anche se la nomina era discrezionalmente collegata all'orientamento politico. Un avvicinamento personale, professionale e familiare tra Bellonzi e Ragghianti si ebbe alla fine degli anni Sessanta, scaturito proprio da questa Mostra del 1967. Di conseguenza la famiglia Ragghianti conobbe anche la compagna di Bellonzi, Marussia Manzella, giornalista e scrittrice con la quale mia madre Licia strinse un'autentica amicizia. Non sarò certo io a tracciare un efficace profilo biografico di Bellonzi, il quale – come molti dei più autentici e illustri intellettuali, tra cui C.L.R. – è “maltrattato” e sottostimato nelle biografie diffuse, ufficiali o “popolari” (tipo Wikipedia) che siano. Anche nella breve biografia contenuta nel citato volume del 2003 constato un profilo piuttosto carente nel quale si privilegiano le onorificenze ricevute (utili in vita per le relazioni sociali, forse) anziché una disamina esauriente del profilo intellettuale del critico, poeta e pittore Fortunato Bellonzi. Migliore risulta l'ampia bibliografia che segue la Biografia. Comunque in quel libro si trovano molte informazioni in pagine spesso affettuose e criticamente rilevanti da parte di Enzo Carli e Tristano Bolelli (altri amicissimi di R.), di Vania di Stefano, Giorgio Di Genova, Nicola Micieli, Gino Agnese, Corrado Guzzi, Alberto Zampieri; quindi Renzo Galardini, che rende omaggio a B. con la riproduzione di un'incisione a vernice molle. Infine voglio ricordare la toccante pagina (75) dedicata “A Fortunato” da Marussia Manzella con quattro brevi poesie.
Insisto nel sottolineare che Bellonzi è stato scrittore, poeta e curatore letterario (es. Proverbi toscani, Martello 1968) non prolifico ma incisivo. Come studioso, cioè storico e critico d'arte, invece la sua produzione è stata cospicua e di alta qualità, anche su temi meno noti e curiosi. Da non confondere, poi, il taglio “divulgativo” (nel senso ragghiantiano esplicitato in “SeleArte”) dei tanti saggi pubblicati in prima battuta sul quotidiano “Il Tempo” di Roma. Non si tratta infatti di mera informazione giornalistica ma di storia e critica impostata con “canoni” derivanti dal maestro Matteo Marangoni. Ricordo, per inciso, che F.B. ha collaborato a “Critica d'Arte” (n.117, mag.-giu. 1971) con un saggio che riproduciamo qui in appendice. Comunque ritengo opportuno ricordare l'attività di Bellonzi anche con le parole di Giorgio Di Genova (“Terzoocchio”, n.108, 2003): 




Concludo con il ricordo, indirettamente collegato a Bellonzi, di Salvatore Pizzarello (1906 Sarajevo – 1969, Pisa) ritratto, con gli amici pisani della fine degli anni Venti e inizio Trenta, più volte nel volume citato. Pittore proveniente da Pirano (terre legate alla memoria di Licia Collobi e dei suoi antenati Domazetovich e De Franceschi) giunto a Pisa nel 1928 dove divenne amicissimo di Bellonzi, pittore a differenza sua ancora futurista. Pizzarello infatti, era invece pittore tradizionale non eccelso però degno di considerazione per la coerenza e la costanza affettiva nel riprodurre aspetti di Pisa e dintorni. 
(Si veda qui il dipinto donato dall'a. al costituendo Museo d'Arte Contemporanea di Firenze nel 1967, in seguito all'alluvione del 4.11.'66). Rammento volentieri questo personaggio perché presenza partecipe ed assertiva, ma non invadente, a tutte le manifestazioni e inaugurazioni di Mostre promosse da mio padre e dalle sue collaboratrici e collaboratori universitari nei locali dell'Istituto di Storia dell'Arte in Piazza San Matteo a Pisa.
F.R. (3,4 settembre 2019).










Non fui l'unico collaboratore alla preparazione e all'allestimento della Mostra 1915-1935 che rimase affascinato dalla freschezza cromatica e dalla monumentalità priva di retorica irradiata dai dipinti di Amedeo Bocchi. Già in fotografia ne rimasi colpito, così come i membri della Commissione esecutiva che dovevano accogliere o respingere la proposta “neutrale” dei preparatori del materiale disponibile e reperibile (magna pars la Fototeca di C.L. Ragghianti alla quale allora accudivo), in modo da poter poi procedere alla richiesta di prestito da parte dei proprietari. Persino il commissario specializzato in futuristi e astrattisti si spese in parole lusinghiere nei confronti di Amedeo Bocchi. Non sono, però, del tutto certo che lo facesse perché convinto o, invece, per solidarietà “romanesca”. Comunque l'entusiasmo per l'artista fu reciproco a quello di Bocchi per il riconoscimento e per essere stato “riesumato” dell'oblio. Egli, infatti, donò al costituendo Museo d'Arte Contemporanea di Firenze (ideato anche in pratica come iniziativa collaterale alla Mostra 1915-1935) il bellissimo dipinto La convalescente del 1922.
Il contributo di C.L. Ragghianti alla critica e alla conoscenza di Amedeo Bocchi si è sviluppato nel tempo in maniera alquanto drastica, però in un percorso di osservazione e riflessione che configurò proprio nella Mostra di Palazzo Strozzi del 1967 il radicale cambiamento di opinione. Nel saggio sulla Terza Quadriennale d'arte di Roma (“La Critica d'Arte”, a.V, XXIII, gen.-mar. 1940, 2a parte) C.L.R. liquida seccamente l'artista “... dalla offensiva schiavitù ottica e realistica del Bocchi”.
Maturare, quando il processo avviene realmente in modo probo e intemerato (cosa non troppo frequente), può comportare anche cambiamenti di giudizio vistosi. Ciò può accadere specialmente quando l'opinione precedente non può non essere legata a un certo grado di pre-giudizio 


dovuto al tempo storico in cui si vive. La ripulsa (ricordo ancora una volta la chiara e sincera Nota postuma a p.101 de Il caso de Chirico, Critica d'Arte, Firenze 1979) di certi giudizi e di certe affermazioni affrettate a causa del detto pre-giudizio, in questo caso di un antifascista bastonato, perseguitato, emarginato, compatito (atteggiamento di fatto altamente lesivo per chi è onestamente e giustificatamente orgoglioso di sé e dei propri risultati acquisiti con fatica e sofferenza), la ripulsa – dicevo – è più che legittima, inevitabile quando non è praticamente possibile distinguere il bene dal male trionfante e declamante, per dirla “politicamente” : i buoni dai cattivi. Insisto su questo aspetto perché ho avuto modo di notare che in tanti, troppi, studiosi –soprattutto di materie umanistiche nelle quali è impossibile non storicizzare – che non si pratica lo stesso metodo di analisi nei confronti delle ambiguità, delle contraddizioni, dei voltafaccia, stendendo invece veli pietosi e operando omissioni anche cospicue. Certo i cambiamenti vanno scevrati accuratamente, valutati per quel che sono e accettati e circoscritti solo quando sono metodologicamente ed eticamente irreprensibili. Altrimenti bisogna dire il vero senza giustificazioni. Heidagger, per es., è una persona riprovevole. Punto. Ha contribuito a chiarire certi problemi. Altrimenti ha “seminato zizzania” (Matteo 13: 24-30).
Tornando all'ottimo Bocchi – che sembra, oltretutto, uno dei pochi artisti dell'epoca fascista completamente, estraneo ai dettami del regime –, di Carlo L. Ragghianti riproduco in questa sede non solo il testo introduttivo alla elegante monografia su (De Luca, editore, Roma 1970) ma anche la lettera che lo studioso indirizzò all'artista il 23 marzo 1970. Sempre dal medesimo libro riporto il saggio di Fortunato Bellonzi, “illuminante” secondo C.L.R.
F.R. (3 settembre 2019)












In analogia con quanto avvenuto con Bocchi, non soltanto per me, anzi direi per tutto lo staff della Mostra, Nicola D'Antino fu uno degli artisti allora ormai “misconosciuti” più coinvolgenti, avvincenti. Purtroppo ciò non poté avvenire per il numeroso pubblico che visitò la Mostra perché le sue splendide figure femminili non poterono essere esposte. Questo grande artista, infatti, fu costretto a subire una ulteriore esclusione dalla circolazione risiva perché le sue sculture furono bloccate nel magazzino dell'Ufficio de La Strozzina (dove rimasero per molti anni, sconsolando di ambasce il pavido Nino Lo Vullo) da una ingiunzione del Tribunale in seguito alla litigiosità degli eredi. Le sculture di D'Antino erano state consegnate ancora vivente l'artista a fine ottobre, pochi giorni prima della prevista inaugurazione della Mostra, rimandate al successivo 26 febbraio 1967 a causa dell'alluvione di Firenze del 4 novembre 1966.
Questa curiosa circostanza diciannove anni dopo convinse Carlo L. Ragghianti a rendere nota la sua opinione su questo artista nel breve saggio Nicola D'Antino, chi l'ha visto? (nel quale sono riprodotte tutte le opere da esporre nel 1967) pubblicato in “Critica d'Arte” (IV s., n.6, lug.-sett. 1985, pp. 33-37) che qui di seguito riproduciamo integralmente.
Nel frattempo l'artista, di cui era andata smarrita la memoria del dopoguerra, era rimasto praticamente ignorato. Finalmente nel 1987, grazie agli studi di Maria Grazia Tolomeo Speranza (in “Tempo presente”, n.82/83, 1987 e nella monografia, esauriente, edita nello stesso anno da De Luca) la fama di D'Antino fu rinverdita meritevolmente. Da questo libro riproduciamo anche la Presentazione di Fortunato Bellonzi.

F.R. (5 settembre 2019)

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