Senza avere
certamente la pretesa di accostare a Niccolò Machiavelli il
cittadino e politologo Carlo L. Ragghianti, rilevo una analogia tra
ciò che Alberto Asor Rosa ebbe a dire sull'autore de Il Principe
e mio padre là dove ha scritto:
“...dunque
è un signore che sta profondamente confitto nella realtà del suo
tempo e ricerca anche le più elaborate teorizzazioni politiche da
un'esperienza profondamente vissuta...è uno sconfitto...Arriva ad
elaborare...sull'Italia, e poi sul governo, sulla politica, da una
esperienza di sconfitta...che poi diventa una disfatta e poi una
catastrofe” (da Machiavelli. La catastrofe italiana.
Forum de “L'Espresso “ n.
13, p. 54 del 24 marzo 2019).
Per
inciso, sono anche convinto che l'affermazione categorica di Geno
Pampaloni a proposito della Traversata (che
ricordo è ripubblicata
integralmente in questo blog a partire dal 13 novembre 2017), è un'opera profetica, derivasse da un ragionamento analogo a quello che svolge su Machiavelli Asor Rosa. Ho
ripescato questa postilla, stesa di getto dopo aver letto
l'intervento dell'ormai anziano storico e critico letterario, già
operaista, nel Forum de
“L'Espresso”, perché si collega alla nota redazionale anteposta
all' Intervista per la
“Voce repubblicana” del 28-29 aprile 1984 a Carlo L. Ragghianti
curata da Paolo Bonetti. In questo post del 3
agosto 2019, oltre
all'intervista sono pubblicati una lettera di Ragghianti su
Benedetto Croce e l'intervento Ragghianti e il tempo del
disinganno che il filosofo di
Fano tenne al Convegno su C.L.R. (Cassino, 21-22 ottobre 2001),
pubblicato poi negli Atti editi
nel 2004 da Franco Angeli col titolo Ragghianti critico e
politico.
Bonetti
sottolinea in questo testo il disincanto
di R. per quella che lui stesso già nel 1946 (e prima del “tragico”
congresso del Partito d'Azione), soleva definire la sconfitta
della Resistenza, nonostante la
vittoria sul campo. Questa certezza non era umorale, era basata su
una lucida analisi della situazione italiana. A cui voglio accennare
con parole mie anche per dare sfogo alla amarezza da lui
patita per le incomprensioni e per i “tradimenti” (dico io) e per
la mia indignazione di fronte a quel terribile aborto che è stato il
Partito d'Azione, dilaniato da personalismi di alto livello ma anche
di basso e bassissimo standard come quello di certi ”fiorentini”,
magari anche illustri collaboratori dell' “autore” dei codici
fascisti, in parte ancora vigenti oggidì. Nel 1946, dopo il
referendum del 2 giugno, la situazione politica si può delineare
anche come segue. Nei fatti emerse la D.C., soggetta soprattutto a
Pio XII, e ancorata a concezioni retrive contenute a fatica da De
Gasperi. Quindi non si poteva contare sui cattolici per una
democrazia socialliberale. Il P.S.I. con una classe dirigente
ridicola (al livello delle donzelle e dei faccendieri del cerchio
magico) stava per scindersi da un lato nel P.S.D.I. di Saragat e
minoranza di dubbia cultura socialista, dall'altro lato seguaci di
Nenni abbagliati dal potere ottenuto da un patto di unità d'azione
col P.C.I., totalmente asservito a Mosca e insieme tatticamente
complice del mantenimento dei Patti Lateranensi del Duce nella
Costituzione repubblicana. Il P.L.I. di Benedetto Croce (era forse
l'unico che lo credeva idealista) conteneva una accozzaglia borghese
di individui talmente egoisti da non essere stati nemmeno fascisti (o
meglio fascisti “credenti”). C'era poi la destra vera e propria:
circa un quarto dell'elettorato composto dai Qualunquisti di Giannini
(una sorta di grillini di destra non fascisti per snobismo) che
scalarono anche il P.L.I. di Croce. I fascisti – amnistiati e
proteti come alibi per fare partire la “rivoluzione” comunista -
veri e propri e non pentiti, anzi, si associarono nel M.S.I.; i
monarchici (che non ci vuol molto a capire quanto fossero fedeli alla
Repubblica italiana) esplosero soprattutto tra le plebi retrive ed
analfabetiche meridionali. I repubblicani del P.R.I., che accolsero
il grosso dell'ala socialistaliberale del P. d'Azione,
erano divisi tra “progressisti” e democratici favorevoli alla nuova Costituzione e patriottardi ottocenteschi, massoni per lo più, quindi tiepidi verso uno Stato sociale e la difesa costituzionale. Perciò
è evidente che la situazione era disperata per chi era animato da
certi ideali e da certe convinzioni sociali progressiste. L'Italia si
salvò da una deriva iberica e da una “rivoluzione” comunista non
per lo “stellone” ma soltanto per gli osceni patti di Yalta e per
la fermezza statunitense di non farsi sfuggire l'occasione di
divenire la prima potenza del globo.
E'
per questi motivi, implicitamente denunciati e descritti nel libro,
che la Traversata fu
rifiutata e ignorata generalmente dai politici e dai politologi che
non avevano nessuna intenzione di lasciare il “compromesso
storico”, così comodo, così spartitorio, così congiungente nel
saccheggiare le risorse della collettività, e, soprattutto, esimeva
dal far fronte alle proprie responsabilità pregresse e all'
impegno per il futuro. Il libro era consapevole e denunciante
tutto ciò fornendo proposte operative con suggerimenti alternativi
per una seria soluzione riformista. R., comunque, non calcò la mano
nella parte destruens.
Però
la parte construens è
ancora lì, in attesa di essere considerata, di non finire
nell'utopia in seguito a reale “demokratura” o peggio; oppure di
rimanere in un limbo in attesa che il “pendolo” vichiano risvegli
la Traversata, la
vivifichi novella, si fa per dire, Biancaneve.
Un'ultima
considerazione: è chiaro che da una situazione politica del genere
sopradetto in termini sommari ma realistici, C.L. Ragghianti non
poteva che lasciare l'attività politica diretta e dedicarsi alla
propria vocazione interiore di insegnante e di studioso,
necessariamente rivolta agli altri. Certo si riservò la possibilità
di realizzare la propria eticità sociale nei casi di effettiva e
cogente necessità. Quindi C.L.R. nel 1946 non è stato – come
sperato e sostenuto – costretto alla emarginazione dall'azione
vincente di quei noti “...”. Ragghianti si è appartato
dall'attività politica perché così voleva e poteva svolgere
attività costruttive, innovative, culturali. Perché C.L. Ragghianti
credeva nel futuro dell'Umanità.
F.R.
(18 luglio 2019)
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