Carlo e Licia

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domenica 27 ottobre 2019

E.A. Poe & J. Verne.

Esattamente settanta anni fa, ricordo ancora i colori e i calori del tardo pomeriggio dovuto all'ora legale – che avevo sentito nominare ma di cui non avevo capito il meccanismo – mio padre, di ritorno da uno dei suoi numerosi viaggi, mi regalò un libretto tascabile con vistosa copertina disegnata con colori vivaci. Era uno di quei libri che avevo visto esposti nelle edicole semoventi della stazione, ed era intitolato Lo scarabeo d'oro e altri racconti di E.A. Poe (1809-1849) di cui ignoravo l'esistenza e di cui da quella introduzione poco più tardi lessi assiduamente l'opera omnia. Il fatto del regalo non era insolito, anche se non frequente, però normalmente si trattava di Salgàri o di qualche derivato dei Tre moschettieri. Oltretutto nel 1949, essendo lo Studio Italiano di Storia dell'Arte di C.L. Ragghianti in Palazzo Strozzi, le mie letture (salvo i fumetti) erano fornite dal coinquilino Gabinetto Vieusseux-Biblioteca circolante, nel quale il direttore Alessandro Bonsanti ogni tanto mi consigliava personalmente un libro, testato, (penso) su suo figlio mio coetaneo.
Lessi subito il racconto di Poe ma con qualche difficoltà, che superai tre anni dopo in una lettura entusiasmante.
Questo lontano ricordo mi è stato suscitato dal ritrovamento del prezioso e poco noto saggio di Jules Verne (del quale ho riletto l'Isola misteriosa almeno una decina di volte) che rendiconta i lettori della rivista “Musée des Familles” (aprile 1864) dell'opera dello scrittore statunitense, morto prematuramente e già assai noto e considerato anche (e forse 




soprattutto) in Francia. Il testo di Verne è illustrato con meravigliose incisioni, xilografie cioè opere grafiche diffuse e pregiate uccise di lì a poco dalla banalità della riproduzione fotografica, realistica ma quasi sempre non suggestiva.


Siccome in tempi diversi, che non ricordo, appurai che sia l'infanzia di mia madre Licia che quella del babbo Carlo erano state allietate dalla lettura delle opere dello scrittore di Baltimora, ritengo adesso appropriato riprodurre il testo di Verne accompagnandolo, a mo' di presentazione, con due pagine di Charles Baudelaire. Allego anche alcune poesie di Poe tradotte in italiano (la mamma le aveva, ovviamente, lette ma ignoro in quale lingua, propenderei per l'inglese).
Intendo anche riferire una curiosa coincidenza riguardante proprio lo Scarabeo d'oro. Ieri pomeriggio ho iniziato a leggere il libro Per ridere aggiungere l'acqua. Piccolo saggio sull'umorismo e il linguaggio di Marco Malvaldi, un impegno letterario difforme da quello suo abituale, trascinante, costruito con originalità e una freschezza che ancora dopo molti volumi 
riesce ad evitare la ripetitività. Per Rosetta e per me Malvaldi è ormai una simpatica presenza, una compagnia distensiva, comunque una lettura che lo fa andare a braccetto con Jerome K. Jerome e Woodhouse. Data poi la sua rigorosa formazione di chimico nella stessa Università di Carlo L. Ragghianti – curioso studioso di atipicità e dei linguaggi non convenzionali – penso sia un peccato che il divario generazionale non li abbia fatti incontrare.
Comunque a p. 28 Malvaldi ricorda che “in ciascuna lingua ogni singola lettera compare con una determinata frequenza, e tale conoscenza ha ispirato ben più di un romanziere”; quindi cita proprio Edgar Allan Poe, Jules Verne, Conan Doyle e il recente Georges Perec.
Avendo, infine, rinvenuto in Archivio un ritaglio a stampa che riporta giudizi di Poe su Machiavelli, Manzoni, D'Azeglio, Alfieri, lo riproduco a dimostrazione di quanto possono essere fuorvianti nel giudizio qualitativo le traduzioni dei testi letterari. In questo caso è evidente che a Poe sfugge del tutto l'importanza innovatrice linguistica di Manzoni, il cui italiano incide sulla contemporaneità e poi la rivoluzionerà praticamente come fece Dante a suo tempo. Massimo D'Azeglio, genero di Manzoni, al confronto ha un linguaggio faticoso, “arcaico”, e – letto in italiano – in un confronto viene letteralmente sbaragliato dalla limpidezza della prosa del padre di sua moglie. Così per certi versi l'Alfieri risulta di lettura faticosa, talora contorta.
F.R. (19 luglio 2019)



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