Carlo e Licia

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giovedì 19 settembre 2019

Arte Moderna in Italia 1915-1935 - Testi dei Critici, 3. - Umbro Apollonio (Nathan, Birolli).



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1. RAFFAELE MONTI ( I ) - 16 giugno 2018
2. IDA CARDELLINI (LORENZO VIANI) - 28  settembre 2018 


Umbro Apollonio
Nato a Trieste il 20 aprile 1911, morto a Bassano del Grappa il 22 aprile 1981, Umbro Apollonio dal 1949 al 1972 è stato dirigente dell'Archivio Storico e Direttore della rivista della Biennale di Venezia. Successivamente è stato docente di Storia dell'Arte contemporanea presso l'Università di Padova.
Quando incontrai per la prima volta Apollonio ero a Venezia con i genitori nel settembre 1953 in premio dopo l'esame di riparazione in latino (o in matematica?) della Terza Media. Ero momentaneamente stato affidato al Bepi Mazzariol, col quale divenni subito amico grazie al suo savoir faire anche con i bambini. Di Apollonio mi divertì molto l'aspetto un po' clownesco, cioè inelegante, mesto, col naso grosso venato di rosso: poi mi venne in mente umbratile, gioco di parole tipicamente preadolescenziale. In effetti schivo, introverso, solitario perché scansato e malfidato, cioè ombroso, umbratile appunto (leggevo molto) lo era certamente come ebbi modo di constatare in quei tre giorni di permanenza.
Di questo studioso, oltre al poco scritto nel post del 29 maggio 2019, posso soltanto aggiungere alcune osservazioni derivanti dalla corrispondenza con Carlo L. Ragghianti la quale, non a caso interrotta agli inizi degli anni '60 (cioè quando R. si interessò alla Biennale solo giuridicamente e statutariamente), anche se la frequentazione – 



specialmente nelle cene e dopocena inter pocula che festeggiavano R. a Venezia – continuò assieme a coloro che erano ospiti fissi come Bepi Mazzariol, Alberto Viani, Carlo Scarpa e altri assidui come Samonà, Trincanato, Pignatti, Bassi, ecc. 




Nei confronti di Apollonio, suo coetaneo, C.L.R. mi sembra di poter dire avesse all'incirca lo stesso atteggiamento riservato ai suoi allievi universitari più promettenti come studiosi: li stimolava con l'esempio, li incoraggiava con spunti storici e critici da sviluppare e perfezionare, li coinvolgeva in progetti formativi esemplari, li responsabilizzava nelle attività dell'Istituto di Pisa (e prima nello Studio di Storia dell'Arte di Palazzo Strozzi a Firenze), li promuoveva con la “Critica d'Arte” ecc. Non escluderei, poi, che mio padre avesse per A. un riguardo particolare (oltre alla naturale propensione simpatetica verso chiunque fosse concittadino di sua moglie Licia, triestina) perché si sentiva in debito morale verso i fratelli giuliani in quanto la Resistenza e il dopo guerra politico non erano riusciti a difendere loro e l'identità risorgimentale di Patria. Lo dico perché ricordo che per lui, la missione, assieme a Ferruccio Parri in Friuli e a Trieste (1945) fu una esperienza particolarmente toccante, incisa nella memoria. La considerazione nei confronti di Apollonio ha, comunque, altri riscontri, persino in Decio Gioseffi, al di là della autentica stima per lo studioso e l'amicizia per l'uomo.
Nel 1949, in occasione del Premio Einaudi istituito dallo Studio di Firenze, C.L.R. scrisse ad Apollonio il 7 gennaio (non 1948 come nell'intestazione: accadeva che R. i primi 10/15 giorni dell'anno nuovo continuasse a datarlo con il vecchio millesimo):

Nella lettera del 10 settembre 1954, R. deve giustificarsi con Apollonio perché una frase da lui scritta ed estrapolata era stata inclusa nella divertente rassegna di parole in libertà pubblicata su “seleArte” (n.12, mag.-giu. 1954, p. 2; si veda anche la nostra riproposta Artemanti alla Biennale nel blog del 21 giugno 2018). In proposito posso testimoniare che R. nella lettera non scarica una sua responsabilità sui collaboratori, ma argomenta un errore da essi 
effettivamente compiuto. Ero presente, infatti, al “cazziatone”, per altro anche troppo cortese che subì Pier Carlo Santini (segretario di redazione della rivista) al quale aveva dato l'incarico di terminare - sull'esempio dei due terzi già preparati – la rassegna di brani “ermetici”, incomprensibili, astrusi nell'ultimo catalogo della Biennale di Venezia, dato che lui doveva fare non ricordo quale relazione urgente e inderogabile per il Rettore.

Il 23 maggio 1956 R. scrive ad Apollonio una lettera che reputo molto significativa ed importante su Picasso, che pubblico integralmente in appendice a questo testo redazionale. Illuminante per la personalità
di Apollonio mi sembra, infine, la lettera- che riproduco – inviata a Ragghianti (senza data, ma del sett.-ott. 1957:

Nella scheda Birolli, qui pubblicata dopo quella su Arturo Nathan, riproduciamo integralmente un testo manoscritto (inedito) di Apollonio sull'artista, In origine esso era destinato alla rivista

“Emporium”, circa la quale nel 1942 i coniugi Ragghianti erano stati incaricati di editare con una nuova impostazione.
F.R. (14 luglio 2019)

Appendice su Picasso.



Ricordo che all'incirca un mese prima della prevista inaugurazione (poi rimandata a causa dell' Alluvione del 4 novembre 1966 a Firenze) della Mostra in Palazzo Strozzi, in segreteria c'era una certa agitazione perché non si erano ancora reperiti un numero di dipinti di Nathan sufficiente, nonostante le accurate indicazioni del curatore della “scheda critica”. Sulla scia del revival fiorentino, nel 1992 vidi che nella antologica di Aosta furono esposte ben 256 opere di Arturo Nathan. Il caso di questo pittore triestino non fu l'unico, specialmente tra i Maestri nati 10/20 anni prima del secolo XX. L' oblio critico e collezionistico della loro opera aveva comportato la loro “scomparsa” dal mercato e dalla attenzione degli studiosi e dei critici. L'aver costituito l'effetto trainante per rintracciare e riproporre questi artisti è uno degli indubbi meriti della Mostra “Arte Moderna in Italia 1915-
1935”. Giorgio De Chirico, suo sincero amico, ha detto di Arturo Nathan: “era un uomo intelligente, mite, giusto e buono....; e lo fu tanto da non prendere le opportune precauzioni dopo le Leggi razziali del 1938 – emanate proprio da Trieste – e di farsi catturare dai nazifascisti che lo assassinarono nel Campo di sterminio di Biberach. Non è stato difficile da parte della critica vedere nella sua pittura – in cui è abbastanza evidente una vena tragica – una premonizione della morte dell'artista. Al di là di risvolti psicanalitici, la formazione del pittore da Wildt, dalla Metafisica e da alcuni surrealisti assimila un indubbio e costante riferimento alla classicità – anche troppo declamata nel Paese  ; ma Nathan declina in una inesorabile malinconia, che può essere intesa premonizione della sua tragedia. Quel che mi pare evidente nella sua pittura è il riflesso di un mondo fantastico, però intriso di solitudine.
F.R. (7 luglio 2019)










Pittore ben inserito nell'ambiente, soprattutto a Milano, e uomo mentalmente intraprendente e coraggioso (partecipò alla Resistenza), Birolli all'inizio degli anni Trenta fu coinvolto da Edoardo Persico, il quale intendeva far uscire dalla cappa ideologica del cosiddetto “Novecento” la cultura artistica attraverso una radicale riflessione sull'arte moderna, fino a diventare uno dei protagonisti di questo intervento liberatorio e addirittura uno dei pittori più attivi e propositivi.
Carlo L. Ragghianti, che lo conobbe e lo frequentò da allora fino alla prematura scomparsa, ha lasciato poche testimonianze dirette su questo artista, sparse quasi sempre in contesti piuttosto articolati: tra queste brevi osservazioni riporto da La Galleria dell'Arcobaleno a Venezia (“La Critica d'Arte”, IV, n. 1, gen. - mar. 1939) queste righe:

Negli anni Quaranta Renato Birolli nei dipinti ribadisce la propria essenza di pittore con il coinvolgimento di istanze etiche intendendo intensificare la qualità reale. Così aderisce al P.C.I. ed è attivo nei raggruppamenti artistici ad esso collegati; conosce e si lega al pittore-mecenate Guglielmo Achille Cavellini. Birolli quindi descrive l'asse portante delle sue convinzioni in questo modo: “ Una tecnica dissociata dall'espressione, è inesatta e vive solo una inutile vita propria, che è morte propria. Una tecnica dissociata dalla funzione artistica, non è verità”.
Concordo nel pensare che i viaggi e i soggiorni a Parigi 1947 e '49 (successivi al primo del 1936) abbiano anche il senso e diano valore a voler sfuggire al pericolo di perdita di autonomia della ricerca artistica, come invece si sta affermando nella cultura ufficiale della sinistra. Di questo disagio si trova riscontro nella collaborazione con Cavellini, tra l'altro promotore di una significativa collezione di arte “astratta” nella quale l'opera di Birolli è tra i dipinti fondanti, i concetti primari. Si veda in proposito, oltre alla sottostante lettera a Ragghianti, il saggio Pittori contemporanei che C.L.R. pubblicò su “seleArte” (n. 38, 1958) di prossima postazione in questo blog.


E' del 1954 la breve recensione alla monografia su Birolli, curata da Giuseppe Marchiori, pubblicata in “seleArte” (n. 14, sett.-ott., p. 9) 
nella quale Ragghianti sottolinea “...l'umanità inquieta, la tensione morale che hanno dato carattere al suo fare”.
Però C.L.R. in una lettera (30 luglio 1963), di quattro anni posteriore alla morte dell'artista, indirizzata all'amico fin dalla cospirazione
antifascista e storico dell'arte Licisco Magagnato, non può esimersi dal considerare:

Si tratta di un evidente giudizio riduttivo, controcorrente nei confronti della consueta corsa alla ri-valutazione post mortem dell'artista, spesso e volentieri congiunta con la speculazione al rialzo sulle opere del defunto. D'altra parte queste righe rappresentano anche un richiamo al fare storiografia rigorosa, senza indulgere alle comode “mitologie” (così diffuse e comode sostituzioni alle considerazioni storico-critiche e formali che dovrebbero contraddistinguere i singoli “manufatti” di ogni artista, anche ai fini della valutazione economica) sugli artisti. Il citato saggio di prossima postazione nel blog sulla collezione Cavellini dal titolo Pittori contemporanei (“seleArte”, n. 38, 1958, pp. 35-55) è importante riflessione di puntualizzazione sul fenomeno internazionale dell'arte astratta – che si stava diffondendo con l'invasività tipica delle mode in quegli anni – inquadra la problematica partendo proprio dai 16 taccuini e dagli altri scritti di Renato Birolli. Si tratta, infatti, di una testimonianza “ideologica” dove 
Birolli “ritrova in queste pagine, più maturatamente, lo stesso scrittore impegnato, sensitivo, in perpetuo fermento di immagini e di pensieri”. Si conclude la rassegna sull'opera di Renato Birolli riproducendo integralmente un manoscritto di due pagine allegato alla minuta della lettera che Licia Collobi scrisse (facendo le veci del coniuge detenuto per antifascismo) nel febbraio 1942. Essa è indirizzata a Umbro Apollonio e ad Attilio Podestà e comprende due allegati su quattro fogli. Il manoscritto di due fitte pagine (3,4) intitolato Birolli è un testo originale di Umbro Apollonio, certamente inedito, probabilmente rifuso in altra sede. Il testo era stato inviato a Ragghianti perché lo pubblicasse sulla nuova serie della storica rivista “Emporium”, affidata a R. perché la “rifondasse”. Certamente per Carlo L. Ragghianti quel progetto del 1942 è stato antesignano della successiva “seleArte” (1952).
F.R. (6-8 luglio 2019)














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