Carlo e Licia

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sabato 24 agosto 2019

Ricordo di Licia Collobi Ragghianti nel 30° Anniversario (2019), con testo del 2004.

Avevamo già programmato per questo 24 agosto un post con testo di Licia Collobi nostra madre, in ricordo del trentesimo anniversario della sua morte e del centocinquesimo dalla sua nascita. Poi oggi, rovistando tra carte da tempo appartate in un cumulo disordinato con l'intento di fare un po' d'ordine e di trovare qualche input per futuri post, ho trovato la cartelletta intestata “Francesco per Licia 2004”. Avevo del tutto rimosso questo contributo, salvo una indeterminata ricordanza di rabbia e pena per Vittorio Fagone e di delusione cocente mista a tristezza nei confronti di Leonardo Baglioni, nostro rappresentante nel Comitato Scientifico della Fondazione Ragghianti di Lucca fino alla sua prematura morte nel 2010. Infatti mi era stato chiesto di contribuire su “Luk”, la rivista della Fondazione, al ricordo di Licia Collobi nel quindicesimo anniversario della sua morte in una commemorazione a più voci. Riluttante lo feci, e mi costò anche una certa fatica perché da anni ero in rotta di collisione col Consiglio di Amministrazione dal quale ero uscito sbattendo la porta e facendomi sostituire da santa Rosetta. Ero già fortemente deluso dalla Direzione di Vittorio Fagone assai dispendiosa e poco rilevante qualitativamente, il quale con l'intento di rabbonirmi mi aveva già insistentemente fatto chiedere di collaborare alla rivista. (E infatti consegnai un breve scritto su R. e i fumetti). Mandai quindi il 6 settembre 2004 un fax allo Studio di Leonardo Baglioni, che realizzava la rivista, con un testo manoscritto di sei pagine, quello che – ritrascritto dalla bozza a stampa di “Luk” piena di errori – proponiamo oggi nel trentesimo anniversario della morte della mamma.
Questo intervento, nel quale mi ero sforzato di encomiare il Fagone, comunque meno inerte e dannoso del suo predecessore, fu messo in bozze. A pubblicazione avvenuta della rivista vidi alle pp. 101, 102 col titolo “Anniversari di Licia Collobi Ragghianti” che ella era stata ricordata con 14 righe redazionali anonime (in cui si diceva del 90° dalla nascita, in attesa di ristampare alcuni degli studi più significativi”!) e una breve traccia autobiografica accompagnata da una bella fotografia scattata da Edoardo Detti, caro amico dei genitori e di noi figli (c. 1954, Monte Matanna, Alpi Apuane).  Rimasi basito, non solo e non tanto per l'evidente e totale censura operata, ma quanto soprattutto per lo sgarbo  
eclatante e inaspettato da parte di un signore già piuttosto anziano e sedicente autorevole (ma pavido sia che avesse preso l'iniziativa lui, sia che la subisse per imposizione), e da parte di un caro e vecchio amico (dal 1970) non poco beneficiato da C.L.R. e, modestamente, anche dal sottoscritto e familiari dandogli l'onore (importante per i risvolti pratici e sul piano del suo prestigio professionale) di essere nel Comitato Scientifico della Fondazione, nonché indulgenti (ma invece presi per fessi?) sul suo evidente conflitto di interesse per il lavoro retribuito come designer per l'Istituto. Comunque smacchi e delusioni che capitano, alle quali si risponde soltanto procedendo per la propria strada e flaubertianamente pensando che “mon cul vous contemple”.
Quindi parce sepultis per chi ha sfregiato il ricordo della mia povera mamma; povera non perché defunta, ma perché bistrattata in quella che ormai è la sua dimora, il suo indirizzo. Comunque i rapporti della Famiglia Ragghianti con la Fondazione di Lucca dopo l'increscioso episodio suddetto sono via via sostanzialmente migliorati, nonostante qualche notevole recriminazione per l'imperdonabile realizzazione del Medioevo di Carlo L. Ragghianti, intitolato Prius Ars, come lui voleva, ma tradito soprattutto nella veste grafica difforme da come l'autore avrebbe voluto fosse eseguita (e nonostante le nostre indicazioni precise al riguardo). Apprezzammo e condividemmo, invece, la manifestazione per il Centenario della nascita di Licia Collobi (2014), organizzato dalla Fondazione presieduta da Giorgio Tori e diretta da Teresa Filieri. Consapevoli come siamo che il trascorrere del tempo può indurre a voler cambiare l'orientamento di una istituzione, siamo qui come gli ultimi giapponesi, anche se adesso la conduzione attuale della Fondazione Centro Studi – Alberto Fontana Presidente; Paolo Bolpagni Direttore – non ci dà motivo di stare in allarme in vista di un combattimento.
Dunque, in conclusione, per chi le ha voluto bene il ricordo di Licia Collobi dimora nel cuore, sia che si tratti di chi l'ha conosciuta di persona, sia che si tratti di chi l' abbia conosciuta indirettamente e stimata come studiosa. Infine per noi figli Ella è ricordo imperituro, costante occasione di commozione e quotidiano rimpianto.
F.R. (27 luglio 2019)






Ricordo di Licia Collobi Ragghianti nel 30° Anniversario (2019), con testo del 2014 
Proprio in questi giorni di fine agosto nasceva, novanta anni orsono, Licia Collobi nella Trieste irredenta e fremente di italianità. Così sono ormai trascorsi quindici anni dalla sua prematura e dolorosa morte (27 luglio 1989). 
In questo frattempo un pesante e, più che ingiusto, indecoroso silenzio ha riguardato la sua umanità eccezionale, il suo acume intellettuale, il suo intrepido coraggio nella cospirazione antifascista e nella guerra partigiana e last but not least la sua molteplicità (non eclettica!) di storico e critico d'arte.E' quindi con rammarico che proprio io, il suo figlio maggiore e confidente dei dolorosi ultimi anni, debba ricordare la sua esistenza agli amici e alle Istituzioni che leggono “LUK”. E' chiaro che circa questa situazione non c'è responsabilità alcuna del Direttore prof. Fagone e del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Ragghianti, e che quanto deploro riguarda invece studiosi, addetti ai lavori, collaboratori, “amici” di famiglia e quanti hanno avuto confidenza e larga accoglienza e affettuosa comprensione in Casa Ragghianti. Tanti, purtroppo, sono nel frattempo morti, però non pochi sono vivi e persino vegeti e di tutto si sono occupati e si occupano piuttosto che rendere un debito tributo non solo e tanto di riconoscenza, quanto di riconoscimento.
Altrettanto non consola il fatto che tanti studiosi di storia dell'arte siano giovani o estranei alla smilza cerchia ragghiantiana; e che quindi si debbano ritenere assolti dal doversi occupare di Licia Collobi. Costoro, assieme ai precedenti, si occupano professionalmente di tanti aspetti dello scibile e da tanti punti di vista, anche metodologici. E' possibile di conseguenza che in quindici anni nessuno di costoro abbia avuto la curiosità (taccio circa l'esigenza) di indagare la formazione della Collobi, la sua cultura, il suo metodo di lavoro ecc.: ciò per di più da nessun punto di vista, né estetico, né filologico, né iconologico, né strutturale, né semiologico...? Vedo onorati, sceverati autentici giganti della mediocrità, non solo nel campo della storia dell'arte (“nous les oranges nous allons à la mer”) perché tra omologhi è più facile tenersi bordone. Magari con l'alibi: “tanto per la Signora Licia sarà il tempo a renderle giustizia”, come ebbe a dirmi Alfredo Righi, interpellato per dare una testimonianza, lui che la conobbe nel 1945. Nel frattempo è defunto.
Basta con l'amarezza e col pubblico rimpianto mio e dei familiari: resta lo struggimento privato per la perdita della Mamma, sempre comunque presente nel pensiero e sempre ispiratrice delle scelte di vita.
La Fondazione Carlo L. e Licia Ragghianti aveva previsto di onorare entro il 2004 l'anniversario della propria intestataria con la riproposta del libro “La sedia italiana nei secoli” (Milano, La Triennale, 1951), che competenti mi dicono è stata opera archetipo della consapevolezza storico-critica del Design, così importante nel e per il nostro Paese. Alcune oggettive difficoltà un po' sottovalutate e, secondo me, la necessità di individuare un “presentatore” che al meglio tramitasse storicamente l'originale ricerca della Collobi, hanno comportato un inevitabile ritardo della pubblicazione. Però un progetto concreto c'è, c'è una volontà di dargli esito positivo, con convinzione.
Così, sempre il Centro Studi Fondazione Ragghianti sta realizzando un DVD che riproduce l'intera serie della “mitica” rivista “seleArte” (1952-1966), di cui Licia Collobi fu magna pars, con tutte le possibilità tecniche di una utilizzazione attuale. Carlo L. Ragghianti sognò qualcosa del genere in tempi non consentanei e oggi sarebbe entusiasta dell'iniziativa, cui avrebbe certamente accluso qualche originale ritrovato, così come fece nella cinematografia dei propri “critofilm” inventando marchingegni tecnici di ripresa, di illuminazione e di altri specifici aspetti.
Una più che benemerita iniziativa di Vittorio Fagone, Direttore della Fondazione che sta dando al Centro Studi una nuova fisionomia al contempo più propulsiva e più aderente al lascito morale e metodologico del Ragghianti, è quella di aver voluto associare alle altre attività quella di un Centro Editoriale, di una casa editrice in proprio. Ovviamente ignoro i dettagli e i programmi di massima di questa sigla editoriale, però – tornando a Licia Collobi – propongo alle nasciture edizioni di voler prendere in positiva considerazione (magari per il ventennio della scomparsa) l'edizione di “Una mamma racconta”. Insieme ad “Appunti per un lessico familiare” si realizzerebbe un vero e proprio libro in cui Licia Collobi, tramite i ricordi tramandati a figli e nipoti, illuminerebbe la vicenda dei coniugi Ragghianti.
Inoltre, dall'Archivio sarà possibile editare i più significativi carteggi con le più insigni personalità degli studi e della società italiana del Novecento. Ed in primis quel che resta – causa le vicissitudini belliche – del carteggio tra gli sposi, toccante testimonianza di un legame strettissimo oltre che sul piano degli affetti su quello della reciproca stima e considerazione.
In conclusione, voglio sperare che qualcuno dei “rampognati” in precedenza, rivolga anche a Licia Collobi l'attenzione nell' ambito della propria attività professionale e della propria memoria, di modo che una così significativa personalità non venga relegata nel “Limbo” della storia.
D'altra parte non credo di aver esagerato nell'indicare la statura di Licia Collobi, madre e “maestra” insostituibile, esempio di rettitudine serena, e di encomiabile comprensione nei confronti del coniuge, dei figli, del prossimo suo, suffragata dall'amore, dalla devozione, dalla stima di quanti la conobbero di persona. 
Francesco Ragghianti

In attesa di approfondire con apposite pubblicazioni la conoscenza della personalità e dell'opera di Licia Collobi, riportiamo la conclusione di “Appunti per un lessico familiare” (seleArte monografie, 1994). Qui la studiosa, a poche settimane dalla morte, dà una sommessa lettura del suo intensissimo rapporto col marito. A fare pendant la poetica testimonianza di Carlo L. Ragghianti (1963), lucidamente consapevole del futuro.

23 aprile 1989
Ho concluso queste pagine che avete voluto voi, e soltanto ora mi sono concessa il lusso di leggere i quadernetti che il babbo ha scritto quando era in clinica a Montecatini Alto. Non volevo che sue parole e pensieri senza dubbio importanti per la gravità del momento e della sua situazione mi portassero a mia volta su un piano di approfondimento, di riflessione che non sarebbe stato spontaneo. Mi rendo conto, e vi prego di perdonarmi, di aver scritto queste molte pagine di corsa, per lo più in momenti di carenza fisica, quando cioè non avevo abbastanza forza per lavorare sul serio. D'altra parte il tempo stringe, volevo mantenere la promessa fatta a voi ma vorrei anche portare a termine i Fiamminghi. Più che delle inevitabili lacune o del tono generalmente scherzoso e superficiale, mi scuso perché temo proprio che nonostante l'affetto costante, la dedizione assoluta, l' immensa stima e la fortunata coincidenza di convinzioni e ideali (intendiamoci, svegliate da Carlo, però in me saldamente latenti), temo, dicevo, che ben poco risalti della figura di questo uomo col quale abbiamo condiviso per mezzo secolo esperienze le più varie e molto numerose che per la sua presenza diventavano eo ipso quasi sempre fondamentali. Temo, insomma, che questo Ragghianti sia quello visto dal suo cameriere, piuttosto che da un compagno di lotta e di ideali. Ho portato con me, scrivendo, sentendola più esplicita nella memoria, quella curiosa “ in dipendenza” che mi sembra caratteristica non comune nei rapporti fra Carlo e me. Le parole che scrive lui sono poche e astratte, non riferite, come le mie, ad un rendiconto seppure schematico. Come sempre, centra perfettamente il problema, e la spiegazione è semplicissima. Fermo restando, come credo anch'io, la consuetudine di vita che si è formata sempre più in una reciprocità di abitudine che aveva come soggetto solo noi stessi (verissimo)...questa unione continua non è stata opera della volontà, una costruzione consapevole, ma si è fatta ed è cresciuta di se stessa fino alle cose minime e imprevedibili. E' vero, certamente il Ragghianti di quando ci siamo conosciuti a Roma, ma nemmeno io, a quel momento, eravamo lontanissimi dal pensare di “costruire un'unione” né con altri né fra noi; se ci siamo cercati, guardati, studiati è stato solo per un istinto irrazionale e vicende e cose si sono svolte via via sempre quasi al di fuori della nostra volontà. Carlo, nelle sue condizioni, era per forza contrario ad ogni legame e responsabilità, e tutti i miei (platonicissimi) rapporti col babbo fino al matrimonio non contemplavano certo responsabilità e legami. E' vero, è stata una costruzione consapevole, quando ci siamo trovati a dover prendere atto che volevamo stare insieme. 

Per Licia 

Anima mia,
quel che abbiam fatto insieme
parlerà per noi.
Sarà lungo il nostro durare,
finché un'azione
sarà incentivo o nostalgia o ricordo,
finché una parola
susciterà,
finché l'amore
sarà il sangue dell'essere,
finché la verità
manderà oltre il tempo. 

Carlo L. Ragghianti (1963) 

Lo scritto pubblicato su “LUK” (n.4-5, 2004), in luogo di quanto convenuto sia con altri interpellati, cioè la breve introduzione e lo stralcio della lettera-testimonianza che Licia Collobi inviò dodici giorni prima della propria morte alla laureanda Laura Dugoni. Il testo fu poi pubblicato su “SeleArte” (n.4, autunno 1989, 10-12).
Pur ripetendomi sostanzialmente intendo sottolineare che la descritta mia indignata reazione non è dovuta tanto all'adozione della soluzione su “LUK”, perché concordo che sia diritto del direttore di una testata rifiutare la pubblicazione di un testo anche se concordato con l'autore.  
Ciò però non giustifica la censura che si palesa evidente in caso di non comunicazione preventiva delle ragioni del rifiuto. Questo caso è infatti di per sé ingiurioso, uno schiaffo in piena regola. Purtroppo la risposta istintiva, cioè il duello, è una soluzione ridicola, incivile ed illegale. Resta cocente l'umiliazione del “pesce piccolo” – soprattutto economicamente – che non può nemmeno adire alle vie legali se non supportato da mezzi cospicui o da insensata vanagloria.
In conclusione la soluzione scelta per quell'anniversario di Licia Collobi è stata comunque inadeguata, misera.

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