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giovedì 15 agosto 2019

Razzismo (4) in Italia: ieri e oggi.

Ieri (1944-1945):





L'autorevole testimonianza qui sopra riportata è stata scritta da Giorgio Spini (1916-2006), uno dei più illustri storici che dal dopoguerra proseguirono la tradizione di alta qualità storiografica del nostro Paese, coniugandola alla promozione di concetti come libertà, democrazia, eguaglianza, riforme sociali. Giudizio che posso confermare di persona avendo seguito per due anni le sue lezioni all'Università di Firenze, studiato nei suoi eccellenti manuali fin dal ginnasio, letto alcune delle sue opere. Il testo riguarda l'intervento che lo storico tenne in qualità di già ufficiale di collegamento alleato al Convegno La Resistenza e gli alleati in Toscana, Atti, p.242. Firenze, 


29-30 settembre-1 ottobre 1963, Palazzo Medici Riccardi. Da questa opinione emerge l'atteggiamento e il comportamento degli italiani – segnatamente centro-settentrionali, contadini e abitanti di piccoli centri – nei confronti dei militari alleati di colore durante gli anni 1944-45. La popolazione allora è evidente non era razzista, salvo la frange fasciste in via di sconfitta e dissoluzione e comunque, in termini di percentuale contenuti rispetto al totale della popolazione (considerando anche che nelle città, più evolute delle campagne, c'era ancor meno razzismo). 
Oggi (2019):





Se pensiamo all'atteggiamento e al comportamento odierno di una maggioranza di italiani nel loro vivere quotidiano nei confronti degli esseri umani di colore (anche leggermente più scuro di molti magrebini e sudamericani) presenti e “smarriti” nel nostro Paese, per di più quasi sempre loro malgrado, bisogna domandarsi con tristezza e vergogna: che cosa ci è successo? Quello che fino a poco tempo fa era inimmaginabile perché ritenuto impossibile sta sviluppandosi senza “vere” ragioni, sia pure aberranti. Gli schiavisti sudafricani e prima gli statunitensi del sud difendevano con sfrontato egoismo un capitale concreto, fonte di un loro evidente benessere. Solo nel caso di Hitler la follia di una persona era – fino ad ora – riuscita a contagiare un popolo civilizzato. Quell'episodio è stato duramente punito. Oggi, per di più, non si vedono all'orizzonte nazionale (ma nemmeno in quello internazionale) statisti degni del nome, capaci di rovesciare la 
situazione. Va premesso che il disgustoso caso sopra riportato è stato scelto casualmente e soltanto perché avvenuto nel giorno in cui si era deciso di utilizzare la testimonianza di Giorgio Spini. Un caso orrendo quello milanese, un'ignominia che ogni giorno la cronaca nera ci fornisce di episodi di razzismo abietti, vili, assurdi se non fossero troppo spesso tragici. Questo fatto, purtroppo, non rappresenta un episodio eccezionale: è l'espressione, l'esempio di quotidianità, esaltata dal martellamento di un propagandista becero ed irresponsabile ai vertici del governo del Paese. Il sacrosanto sdegno in risposta, oltre a sembrare assai minoritario, emarginato mediaticamente, non è più replica adeguata. Sembra invece una manifestazione di impotenza. Allora, oltre che subire e vivere nell'avvilimento, parafrasando Lenin (che però poneva una domanda retorica a cui sapeva e voleva rispondere) oggi di fronte al razzismo dilagante: che fare?
F.R.

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