L'autorevole
testimonianza qui sopra riportata è stata scritta da Giorgio Spini
(1916-2006), uno dei più illustri storici che dal dopoguerra
proseguirono la tradizione di alta qualità storiografica del nostro
Paese, coniugandola alla promozione di concetti come libertà,
democrazia, eguaglianza, riforme sociali. Giudizio che posso
confermare di persona avendo seguito per due anni le sue lezioni
all'Università di Firenze, studiato nei suoi eccellenti manuali fin
dal ginnasio, letto alcune delle sue opere. Il testo riguarda
l'intervento che lo storico tenne in qualità di già ufficiale di
collegamento alleato al Convegno La Resistenza e gli alleati in
Toscana, Atti, p.242. Firenze,
29-30 settembre-1 ottobre 1963, Palazzo Medici Riccardi. Da questa
opinione emerge l'atteggiamento e il comportamento degli italiani –
segnatamente centro-settentrionali, contadini e abitanti di piccoli
centri – nei confronti dei militari alleati di colore durante gli
anni 1944-45. La popolazione allora è evidente non era razzista,
salvo la frange fasciste in via di sconfitta e dissoluzione e
comunque, in termini di percentuale contenuti rispetto al totale
della popolazione (considerando anche che nelle città, più evolute
delle campagne, c'era ancor meno razzismo).
Se
pensiamo all'atteggiamento e al comportamento odierno di una
maggioranza di italiani nel loro vivere quotidiano nei confronti
degli esseri umani di colore (anche leggermente più scuro di molti
magrebini e sudamericani) presenti e “smarriti” nel nostro Paese,
per di più quasi sempre loro malgrado, bisogna domandarsi con
tristezza e vergogna: che cosa ci è successo? Quello
che fino a poco tempo fa era inimmaginabile perché ritenuto
impossibile sta sviluppandosi senza “vere” ragioni, sia pure
aberranti. Gli schiavisti sudafricani e prima gli statunitensi del
sud difendevano con sfrontato egoismo un capitale concreto, fonte di
un loro evidente benessere. Solo nel caso di Hitler la follia di una
persona era – fino ad ora – riuscita a contagiare un popolo
civilizzato. Quell'episodio è stato duramente punito. Oggi, per di
più, non si vedono all'orizzonte nazionale (ma nemmeno in quello
internazionale) statisti degni del nome, capaci di rovesciare la
situazione. Va
premesso che il disgustoso caso sopra riportato è stato scelto
casualmente e soltanto perché avvenuto nel giorno in cui si era
deciso di utilizzare la testimonianza di Giorgio Spini. Un caso
orrendo quello milanese, un'ignominia che ogni giorno la cronaca nera
ci fornisce di episodi di razzismo abietti, vili, assurdi se non
fossero troppo spesso tragici. Questo fatto, purtroppo, non
rappresenta un episodio eccezionale: è l'espressione, l'esempio di
quotidianità, esaltata dal martellamento di un propagandista becero
ed irresponsabile ai vertici del governo del Paese. Il sacrosanto
sdegno in risposta, oltre a sembrare assai minoritario, emarginato
mediaticamente, non è più replica adeguata. Sembra invece una
manifestazione di impotenza. Allora, oltre che subire e vivere
nell'avvilimento, parafrasando Lenin (che però poneva una domanda
retorica a cui sapeva e voleva rispondere) oggi di fronte al razzismo
dilagante: che fare?
F.R.
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