Carlo e Licia

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venerdì 24 maggio 2019

Minima morandiana, 1.

 Lungi da fare allusioni, si può asserire però che di Giorgio Morandi non si può buttare via niente, nemmeno minuscoli particolari che lo riguardano. Questi, infatti, diventano ipso facto memorabili, data la statura - certamente non soltanto fisica – del pittore bolognese. Perciò in questo post, ed in almeno un altro che seguirà tempo permettendo, riporto alcuni fatti, di origine assai differente (editi ed inediti soprattutto) che reputo se non proprio degni di nota – degni di esere salvaguardati dall'andare perduti per l'usura del tempo e la scomparsa dei “testimoni”.
Va da sé che per noi figli di Carlo Ludovico Ragghianti e di Licia Collobi la memoria di Giorgio Morandi non può che essere cosa grata, riverente.
Banalmente se non altro perché grazie al valore estrinseco, cioè pecuniario, delle opere del Maestro la nostra personale mediocre sussistenza economica e sociale è risultata meno gravosa di quanto sarebbe stata per ciascuno di noi senza l'occasione “fortuita” di poter alienare il possesso – ricevuto, non acquisito – di opere del grande artista bolognese. Dato che non sono religioso, posso dire scherzosamente che almeno io riferendomi al grande pittore ed incisore intimamente lo rammento come “San Giorgio Morandi”.

1. Uno dei primati o records della mia vita penso possa essere anche il fatto di essere stato se non esattamene l'unico bambino visto da Morandi fin dalla clinica ostetrica, certamente l'unico che egli ha visto e rivisto per l'arco di un biennio (1940-41) quasi quotidianamente e in tutte le manifestazioni che riguardano un neonato fino a quando è in grado di camminare da solo. Comprese le mie “famose” (e credo da qualcuno anche descritte) scorribande per la casa di piazza Calderini seduto sul vaso da notte – sia chiaro, con le pubenda coperte/fasciate – le quali, dato che ancora non sapevo camminare, avevo adottato (forse addirittura inventato) come mezzo di locomozione. Così potevo assistere, senza disturbare, alle riunioni già clandestine degli amici e degli adepti del babbo.
Questo fatterello è significativo non di per sé ma come testimonianza dell'amicizia e del rispetto – certamente reciproco – del Maestro nei confronti dei miei giovani genitori: la circostanza, cioè, che Morandi li frequentasse in casa loro assiduamente, nonostante la presenza di un pupattolo, cosa per lui più che inusitata ed imprevista, direi non troppo gradita, comunque straordinaria, eccezionale. Di queste considerazioni sono certo sia perché lo so da mia madre che si era accorta del disagio di Morandi, sia da zio Cesare Gnudi che al ricordo ne era molto divertito ancora dopo una quindicina d'anni. Infatti me ne parlò, dopo averlo accompagnato in un suo incontro di “lavoro” col Maestro presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna, mentre mi faceva visitare la casa di Giosuè Carducci, poeta caro alla nostra famiglia.
La cosa mi è rimasta impressa perché la ragione per cui ero andato a Bologna


2. GAMELIN


da solo era che Cesare mi aveva chiamato perché la mia tata Rina stava morendo di cancro e gli aveva chiesto di vedermi, ormai adolescente, per l'ultima volta. L'incontro avvenne il pomeriggio e fu straziante per lei che mi considerava un suo “figliolo” e per me, il Cècco, è stato forse l'incontro più drammatico della mia ormai lunga vita.



Questo testo ritrovato, qui sopra scannerizzato, fa parte di una serie di aneddoti e ricordi che saltuariamente scrivevo dal 1994 chiamandoli, un po' pomposamente, “dramatis personae”.



3. Riservandomi di raccontare la cronistoria del Paesaggio di Grizzana (1942) dipinto dedicato in basso a destra da Giorgio Morandi a mio padre Carlo Ludovico Ragghianti, mi limito qui a narrare  un episodio marginale. Questa iscrizione sul davanti del quadro è eccezionale – unica, pare – perché associa l'artista al destinatario (non acquirente!) del dipinto. In questa sede voglio raccontare un episodio di mercato che lo riguarda, esemplare, temo, e comunque significativo della merde – per dirlo in francese – in cui galleggia il collezionismo nostrano di cui Morandi è stato vittima  perché la sua arte ne viene involontariamente involgarita. Sì non una m. che galleggia lungo un fiume o in mare, ma proprio del mare di m. che costituisce talmente spesso da essere considerato  l'ambito ordinario nel quale avvengono da noi le transazioni, anche formalmente legittime, sui manufatti artistici.
Dovendo traslocare dalla insostenibile casa “avita” nel 1999, per poter dare alloggio ai 20000 libri e ai 2000 faldoni del mio archivio (tranquilli, non si tratta solo di fogli importanti o di libri rari: ci sono libri gialli e cronache del mondo sempre più inutilmente superflue; però sono comunque oggetti cui si è affezionati), dovemmo Rosetta (che bontà sua volle ancora una volta condividere con il fratello maggiore l'imperscrutabilità del futuro) ed io cercare casa. Esclusa la città per i prezzi proibitivi, cercammo fuori Firenze un rifugio dignitoso, comunque costoso stante l'esigenza di spazio. Per poter pagare senza debiti – noi non ne abbiamo mai fatti – la soluzione fu finalmente individuata grazie a Roberto Lecca (cui sarò vita natural durante grato). Essa chiedeva comunque l'esborso di una cifra superiore al contante di cui disponevamo.
Per ricavare quanto mancante alla copertura dell'acquisto, decidemmo di consegnare a Piero Pananti – che stava organizzando la prima asta della sua Galleria, ancora in piazza Santa Croce – una serie di opere che ci appartenevano. Tra esse anche il Paesaggio di Grizzana, di cui un terzo era di proprietà di nostra sorella Anna.
Siccome per preciso impegno morale preso da me e condiviso dalle sorelle con mio padre prima e nostra madre poi – non solo genitori amati ma stimati ed eletti punto di riferimento per la nostra esistenza interiore - non intendevamo svilire l'opera a favore del collezionismo bancario (nel senso che reclude le opere d'arte nei caveaux fino al momento di rivenderle, con profitto, sia chiaro), concedemmo quel capolavoro come “specchietto per le allodole”, come faro attrattivo – era riprodotto    nel catalogo e anche in copertina – per le altre opere effettivamente   all'asta. Il Morandi, infatti, ebbe un “prezzo di riserva” piuttosto alto, in modo da scoraggiare tentativi speculativi. In altre parole: non era in vendita.
Dopo l'asta – pratica, che appresi, non infrequente – si fece vivo presso Piero Pananti un tizio (ingegnere?), di cui per sua fortuna non ricordo le generalità, dichiarandosi disponibile all'acquisto purché gli fossero garantite la provenienza e l'autenticità. La cifra che costui propose per l'acquisto era effettivamente irrecusabile. Sulla provenienza non ci potevano essere dubbi anche se non c'erano documenti probanti salvo le già diverse volte in cui il dipinto  era stato pubblicato e riprodotto su libri e riviste.  (Mancherà, per es., nel Catalogo Vitali per volgare ripicca dell'estensore, punito a stampa da C.L.R.: ciò sarà oggetto di un prossimo post). L'autenticità era la conseguenza di quanto sopra detto, suffragato da R. anche per iscritto in Bologna cruciale. Però la logica             


dello speculatore non coincide con quella comune: visto che a Bologna c'era il Centro Morandi diretto dalla dr. Pasquali, che certificava anche l'autenticità delle opere che risultavano non averla sufficientemente comprovata, quel satanasso pretendeva quella certificazione. Purtroppo fui debole: invece di mandarlo pasolinianamente a “vaffanculo” cedetti alla buona fede mercantilista dell'amico gallerista, che si offrì di gestire la faccenda. Piero mi accompagnò col dipinto a Bologna dove esso fu ammirato e certificato (e successivamente degnamente pubblicato in un volume di “certificazioni di autenticità”), per una cifra non indifferente. Di quel pomeriggio ricordo volentieri il viaggio nel comodo macchinone di Pananti grazie ad una bellissima giornata di sole quasi estiva che assorbiva la mia attenzione nonostante il continuo parlare in viva voce a un  microfono sospeso sopra il posto di guida rispondendo alle incessanti chiamate di quel maledetto aggeggio che è il telefonino, allora agli esordi.
Quell'esimia testa di c. sedicente collezionista, a quel punto cominciò a tergiversare col povero Piero – sempre più imbarazzato nei nostri confronti – e a cercare sconti e/o pratiche dilatrici di pagamento. Non escluderei che essendo costui come troppi “collezionisti” italiani praticamente un clandestino (e un criminale in quanto evasore fiscale e quindi non in grado di giustificare certi possessi), nel tempo trascorso gli fosse cresciuto in corpo il terrore di essere costretto a palesarsi come abbiente facendo l'acquisto dato che l'opera d'arte in oggetto era stata notificata dallo Stato prima dell'asta, assieme ad altre opere, guarda caso tutte non esitate! Finalmente la faccenda sfumò nel nulla e francamente non ricordo se per nostro rifiuto e per definitiva rinuncia di costui.
Ricordo questa penosa faccenda perché essa è emblematica del collezionismo in Italia, come sopra detto “clandestino per ragioni fiscali”. Ho constatato nel tempo che esso è – quasi esclusivamente composto da speculatori ed investitori per i quali l'opera d'arte è “quanto vale”, “vale tot”, un oggetto amorfo cioè inespressivo tale e quale il denaro, con talvolta il vantaggio che l'opera d'arte può aumentare di valore, anche di molto, mentre i soldi non cambiano valore facciale, casomai si svalutano.
Penso poi con rammarico al povero “san Giorgio Morandi” l'opera del quale già in vita chissà quante volte ha subito (e talora l'avrà anche saputo di persona) queste abbiette trattative a danno e umiliazione del suo genio.
Penso anche, adesso, e con soddisfazione alla faccia di quel fesso sedicente collezionista che ora constata che quell'opera gira il mondo in esposizioni importanti ed è – per sempre – degnamente alloggiata in una prestigiosa Galleria Nazionale d'Arte Moderna, sede adeguata che inorgoglisce noi figli Rosetta, Anna e Francesco Ragghianti per aver ottemperato all'implicita promessa ai genitori, cui sempre siamo riconoscenti e devoti alla loro memoria. Nel Museo il suo valore teorico pecuniario potrà anche salire alle stelle, non risultando però influente, tantomeno sostitutivo su quello reale della sua qualità espressiva unica e di altissimo livello: “mozzafiato”, come disse Antonio Paulucci ricevendola in consegna.
Chiudo con un'invettiva, perché se ci va ci vuole: morditi le mani, t.d.c. avido speculatore; e i soldi che ti sono rimasti cacciateli – e qui voglio essere misericordioso – giù per il gargarozzo.
                                           F.R. (13 aprile 2019)
Postilla. Colgo l'occasione per informare che il Paesaggio di Grizzana  di Carlo L. Ragghianti è attualmente esposto a Pontassieve in una riuscita simpatica e per noi familiari commovente mostra – di cui riproduco l'invito – curata da Antonio Natali, rimpianto direttore degli Uffizi e Adriano Bimbi, scultore davvero originale, coadiuvati da Rodolfo Ceccotti, amico di famiglia   e mio da 48 anni, nonché pittore di vena autentica e di originale coerenza, i quali ringraziamo riconoscenti. L'Editore Polistampa di Firenze ha realizzato un catalogo di 84 pagine stampate benissimo, nel quale, dopo la presentazione del Sindaco Monica Marini e dell'assessore alla Cultura Carlo Boni, presenta un saggio più che condivisibile di Antonio Natali cui fa seguito l'accurata biografia di Federica Chezzi (sulla quale ho un

rilievo marginale da fare) e un intervento convincente di Paolo Bolpagni, Direttore della Fondazione Ragghianti di Lucca, su Ragghianti e l'arte contemporanea, che vorrei poter utilizzare  assieme a un post redazionale sull'argomento. Chiudono il volume le testimonianze toccanti di Adriano Bimbi e Rodolfo Ceccotti.
Il catalogo contiene anche dodici belle fotografie su Ragghianti (alcune inedite) e diciannove opere della sua raccolta ancora appartenenti ai figli e una di proprietà privata. Veramente per un malinteso il dipinto di Scatizzi, rimasto amico di famiglia anche dopo la morte dei genitori, lo acquistai da lui (confesso ad un prezzo di affezione) per regalarlo a Rosetta per un suo compleanno (la cui data cade proprio il 13 aprile, cioè oggi che sto finendo di scrivere il post).

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