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mercoledì 24 aprile 2019

Ragghianti, Zevi, Gioseffi, Scalfari ... e Giotto (7) architetto, con una postilla

Nel post del 15 ottobre 2017 su Giotto architetto la presentazione redazionale si concludeva con la piccata recensione di Bruno Zevi all'importante e innovativo libro di Decio Gioseffi sull'aspetto architettonico del sommo artista vicchiese. Dato che non è registrata nella Bibliografia degli scritti, la lettera di Carlo L. Ragghianti (pubblicata ne “L'Espresso” del 26 gennaio 1964) indirizzata a Bruno Zevi contestandogli l'interpretazione e la presa di posizione, ci era sfuggita di mente e quindi il post, anziché con questa lettera, si era concluso con alcune considerazioni critiche verso l'architetto e urbanista romano, tutto sommato sostenibili.
Durante la preparazione di un progettato addendum al post ho riscontrato alcuni documenti epistolari con Eu(tuttaltroche) Scalfari, C.L. Ragghianti e Bruno Zevi che mi convincono – stante anche che il riferimento a Giotto è indiretto – a pubblicarle tutte insieme, concluse da una desolata missiva di Decio Gioseffi a Ragghianti.
Questa corrispondenza è importante per illuminare la questione da parte degli studiosi implicati e del settimanale. In data 19 dicembre 1963 Eu(luicicrede) Scalfari scrive a Ragghianti una lettera nella quale evidentemente risponde a rilievi mossi da Ragghianti circa la sezione delle arti visive dell' “Espresso” con un tono che mi sembra tra il sostenuto e il risentito. Replicando il 22 dicembre 1963, Carlo L. Ragghianti puntualizza a Eu(lodicelui) Scalfari la qualità e la portata della sua collaborazione al settimanale nato per volontà di Adriano Olivetti, disinteressato sponsor di “SeleArte”. Ancor oggi più che sospettarlo, sono convinto che gli argomenti del giornale siano stati insufflati dagli amici dei soliti noti.
Quindi in data 5 gennaio 1964 Ragghianti spedisce al settimanale la lettera, che sarà pubblicata il 26 (18) gennaio '64, il cui titolo redazionale recita “Troppo severo Zevi per Giotto architetto”. Di questo testo esiste anche una prima versione, dattilografata direttamente da C.L.R. (il quale raramente usava stendere minute
manoscritte) che pubblico come esempio di suo procedimento di lavoro. Segue la lettera di risposta di Zevi del 6 gennaio 1964 (le poste italiane allora funzionavano bene e ancora! dal 1946 al '50 un espresso spedito da Milano alle 13 era consegnato al piano di casa alle 17 o poco dopo... e i lavoratori non erano sfruttati come quelli di Amazon!). In questa pagina lo storico dell'architettura giustifica il suo atteggiamento con la consueta baldanza.
Il 18 gennaio, poi, Ragghianti scrive a Eu(perifamiliari) Scalfari una lettera di cui riportiamo soltanto la parte nella quale aggiunge altri argomenti alle proprie perplessità circa la poca considerazione con cui la testata romana affronta i veri problemi inerenti la cultura, sempre con riferimento alla rubrica di Zevi (che durerà decenni) e alla politica culturale.
Nella stessa data C.L.R. scrive a Bruno Zevi, difendendo il lavoro di Decio Gioseffi e richiamandolo ad una maggiore adesione alla metodologia ragghiantiana, alla quale egli sostiene di attenersi.
Conclude questa rassegna epistolare la lettera (trascritta perché l'originale in fotocopia si legge a malapena) che da Trieste il 25 gennaio Decio Gioseffi inviò a C.L.R. Si tratta di un documento abbastanza esemplare della personalità dello studioso, persona dotta, curiosa, dall'humor britannico, schiva ma pungente, non supponente però conscia del proprio valore.
Il povero Giotto in questa querelle c'entra di sbieco, mentre vi è possibile notare come alcuni tratti caratteriali dei protagonisti studiosi risultano aderenti al loro abituale comportamento (non o poco noto a chi non li ha conosciuti di persona); anche il direttore del settimanale risulta coerente con i propri esordi fascisti, cioè ambiguo...Sta di fatto che la morale della vicenda è stata che C.L. Ragghianti fu allontanato da “L'Espresso”, Pier Carlo Santini invece pure, il settimanale s'è tenuto stretto l'antiquariato e il tonitruante Zevi, vita sua natural durante.
F.R. (3 febbraio 2019).



Postilla

In effetti dopo la polemica con Zevi circa il libro – davvero importante ed innovativo – di Decio Gioseffi, la collaborazione di C.L. Ragghianti con “L'Espresso” si trascinò fino alla fine del febbraio 1965.
Mio padre decise infatti di non poter proseguire la collaborazione al settimanale in seguito all'allontanamento del suo saltuario sostituto Pier Carlo Santini, pretestuoso e lesivo per la persona. Perciò C.L.R. scrisse allo Scalfari la lettera sottostante, riprodotta con il commento ai lettori di “SeleArte” (n.73, gen.-mar. 1965).
Nel frattempo maturava (concordata?) la situazione, sempre nell'ambito del lascito di Adriano Olivetti (il quale era stato magna pars della proprietà de “L'Espresso”), per cui i delicati famuli incapaci chiedevano continui cambiamenti (formato, ad es., caratteri tipografici, ecc.) con frequenti interferenze sulla redazione di “SeleArte”. Si noti che Olivetti non fece nessuna richiesta dal 1952 alla morte nel 1960, il suo delegato Ignazio Weiss solo piccoli rilievi migliorativi, mai immotivatamente, nei suoi contenuti. Quando fu prospettata addirittura l'idea di incorporare la redazione (io assistetti a Milano alla prima proposta verbale dell'omonimo del notissimo psichiatra), i coniugi Ragghianti decisero di chiudere la rivista col fascicolo 77/78 (gen.-giu. 1966) piuttosto che snaturarla e banalizzarla.
Sia ben chiaro che Licia e Carlo L. Ragghianti erano perfettamente consapevoli che almeno dal 1964 “SeleArte”, secondo i canoni editoriali emergenti, era inadeguata a sostenere la concorrenza del mercato che offriva le sgargianti, e per molti versi meritevoli, dispense totalmente a colori dei fratelli Fabbri e di altri editori. Quello che
ostava alla loro accettazione dei “consigli” della nuova dirigenza Olivetti e delle controllate Edizioni di Comunità non era pregiudiziale, era la conseguenza di attente valutazioni. Erano, infatti, consapevoli i Ragghianti che una radicale ristrutturazione in senso industriale della rivista e soprattutto i cambiamenti sul piano editoriale e redazionale comportavano problemi complessi di gestione di mezzi e di persone, implicanti controlli, gerarchie, burocrazia ecc. Queste attività di predisporre e gestire servizi editoriali e redazionali (con quali persone capaci di sostenere l'equilibrio tra “divulgazione” e rigore scientifico?) a livello di decenza scientifica comportavano un enorme sforzo organizzativo ed economico che avrebbe assorbito tutte le loro energie. Inoltre questa “macchina” di costi assai elevati (solo il colore anziché il b/n costituiva una spesa proibitiva) non avrebbe potuto garantire l'accesso all'acquisto di “SeleArte” di tutti gli studenti e le persone colte, o che intendevano divenirlo, che fino ad allora erano fedeli lettori. Così si sarebbe giunti a tradire lo scopo iniziale ed identitario di “SeleArte”.
Dunque continuare cambiando radicalmente era una soluzione inaccettabile per i due coniugi studiosi, i quali non intendevano cambiare attività e snaturare lo scopo della loro vita intellettuale. Quando a ciò si aggiungono le citate pretese – sempre più pressanti e più trasversali – di ingerenza e di effettivo controllo dei vari Soavi, Musatti, Zorzi (tanto per citare soltanto i funzionari olivettiani), non rimaneva altra soluzione dignitosa che quella di cessare la pubblicazione di “SeleArte”.
F.R. (5 marzo 2019)

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