Non fu un caso, e Luigi
Carluccio lo rileva, che Carlo L. Ragghianti avesse concordato con
l'Associazione Turistica Pratese – diretta dal volenteroso e
dinamico Mario Bellandi – di esporre nella città degli “stracci”
la mostra da lui concepita 60 Maestri del Prossimo Trentennio
(1954; e vedi post 28 settembre 2017). Infatti l'operosa città di
Prato fu già nel primo dopoguerra tra i centri trainanti la ripresa
ricostruttiva nota come “miracolo” economico. Però a Prato,
diversamente da altri centri industriali vivacemente operosi, una
parte consistente dei profitti venne investita in opere d'arte,
soprattutto contemporanee, con criteri quasi sempre rivolti alla
qualità, al “valore” estetico, anziché al valore monetario,
meramente economico.
Posso fare serenamente
una affermazione del genere dopo aver rivisto le opere esposte nella
mostra Pittura italiana nelle
collezioni pratesi (1958), elenco delle quali pubblichiamo
in calce a questo post dopo la Presentazione di Luigi
Carluccio e prima di una scelta di riproduzioni dei dipinti esposti.
Presentare questi
materiali con i loro dati e le loro date e riprodurli rende esplicito
che la Mostra può manifestarsi anche come conseguenza della
precedente (1954) tramite la presenza degli artisti (i sessanta,
certo, però anche altri pittori e maestri già “storicizzati”).
Valorizzandone la promozione e la conservazione questo particolare
collezionismo privato si dimostra espressione di una classe
produttiva con interessi culturali ed artistici sensibili alla
contemporaneità innovativa.
Ricordo,
parenteticamente, che nel 1958 la “borghesia” italiana era
prevalentemente monarchica (anche al centro e al nord, però votando
DC, PLI, PSDI più dei partiti sabaudi) e in campo artistico
considerava Picasso una quinta colonna del comunismo sovietico. Non a
Prato, dove non c'è dubbio che molti imprenditori provenivano dal
proletariato o dalla minuscola borghesia, come ad esempio l'ultra
quarantennale amico di Carlo L. Ragghianti, Bruno Tassi. Ed è
proprio pensando a lui in questi novembrini giorni di rimembranze dei
defunti, e al suo amico e socio simbiotico fin dall'adolescenza
Roberto Cecchi (anch'egli di origini modeste ma dotatosi di una
cultura raffinata sviluppando gli interessi di autodidatta) che mi
sembra opportuno sottolineare un collegamento Ragghianti – Tassi –
Cecchi – arte contemporanea e la città di Prato tramite il
mecenatismo dei suoi migliori imprenditori. Non è un caso, poi, che
il Museo Pecci (di cui Pier Carlo Santini illustrò le qualità
architettoniche in “Critica d'Arte”, IV s., n.18, 1988, pp.54
ss.) è stato, e credo sia tuttora, la struttura di conservazione e
promozione artistica contemporanea più importante della Toscana.
Bruno Tassi (1916-1996) –
con Cecchi il quale non compariva quasi mai ma il cui parere era
determinante – è stato per me oltre che un amico ed un uomo
esemplare nel suo genere pragmatico, un mecenate senza la cui
generosità non avrei potuto sviluppare e sostenere la quarta serie
di “SeleArte” (1988-1999), la quale non casualmente cessai di
redigere poco dopo la sua morte.
Va ricordato di Bruno,
persona dotata di empatia, spontanea e
trascinante, che egli fu – come ho sentito dire casualmente alla radio da Valdo Spini – se non l'unico uno dei rarissimi imprenditori di cui si può dire che seppe “far soldi” rimanendo pulito anche intellettualmente, cioè che per lui è stato possibile entrare nel regno di dio più facilmente di quanto un cammello possa passare dalla cruna di un ago. Se ne avrò l'opportunità ricorderò in maniera più pertinente e dettagliata questo personaggio che è anche stato uomo pubblico encomiabile, partigiano e quindi Presidente del C.L.N. di Prato nel 1944. Delle collezioni pratesi
del 1958 – essendo trascorsi 60 anni è lecito pensare che nel
frattempo ci siano stati molti casi di dismissione e cessione altrove
– si riscontra un alto tasso di opere di primo piano, qualche
capolavoro relativamente all'operato di un determinato pittore, e la
presenza praticamente dei nomi più rappresentativi dell'arte
contemporanea italiana.
Bruno Tassi è presente
con un Casorati storicizzato, Roberto Cecchi con un Morandi
prestigioso,un collezionista, che non ho sentito altrimenti
menzionare (Gino Martini), presenta un Modigliani – uno dei
pochissimi presenti in Italia (anzi, se è ancora nel nostro paese,
forse l'unico in mani private dopo la cessione del Nudo Mattioli
all'estero per una cifra strepitosa, offensiva per il comune
sopravvivere). Inoltre alla Mostra furono esposti notevoli dipinti di
Carrà, Morandi, Licini, un Semeghini dei più rappresentativi, una
Piazza d'Italia di De Chirico (che spero non ricada tra le
repliche autofalsificate dall'autore, quelle che C.L. Ragghianti ha
dimostrato ne Il caso De Chirico, di cui Tassi e Cecchi
sostennero l'edizione con una tiratura speciale per la loro Azienda);
quindi diversi Rosai non ordinari, Tosi, Carlo Levi, Saetti, Afro, De
Pisis, Viani, Savinio, ecc., comunque interessanti, attraenti.
Un'iniziativa del tipo di
questa pratese, cioè di celebrare il locale collezionismo d'arte
contemporanea e moderna – o d'altro genere, in altre circostanze –
è da tempo che non viene più organizzata, perlomeno di qualità e
risonanza tali da essere percepita anche al di fuori della cerchia
locale.
Mi viene il dubbio che
ciò non dipenda, o non dipenda principalmente da carenze di
mecenatismo, di interesse critico o mercantile, ma da una complessa
situazione nazionale riguardante leggi e fiscalità. Se da un lato
Enti, soprattutto banche, celebrano il loro patrimonio artistico
(spesso deludente), dall'altro i privati non compaiono, non si
manifestano più. Due, credo, i motivi: la balzanità abusiva delle
notifiche da parte delle Soprintendenze è il primo; il secondo
consiste nel timore di un fisco anch'esso discontinuo
nell'applicazione, che diviene ingiusto quando si rivolge soltanto
alle presenze note e legali trascurando l'accertamento di ciò che
viene occultato perché frutto di economia sommersa, parallela a
quella legale, che è di carattere evasivo o di carattere
propriamente criminale. Comunque la situazione
del collezionismo privato e delle conseguenti implicazioni espositive
della nazione è arretrata ed iniqua e contribuisce a rendere il
nostro paese secondario e marginale anche sul piano della cultura
artistica.
F.R. (6 novembre 2018)
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