Carlo e Licia

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mercoledì 27 febbraio 2019

Il 1948 dei critici d'arte - Il Convegno di Firenze, Atti (VII) - Sezione 2B, Ricostruzione e restauro di monumenti in Italia.

Post precedenti:
23 luglio 2018. n.1 - Preliminari e inaugurazione.
26 agosto 2018. n.2 - Sezione 1A. Indirizzi, metodi e problemi di critica d'arte.
25 settembre 2018. n.3 - Sezione 1B. Spazio, critica d'arte e critica architettonica. Discussione (Sezioni A e B).
25 ottobre 2018. n.4 - Sezione 1C e 1D. Le arti figurative e il cinema. Arti figurative e stampa quotidiana.
25 novembre 2018. n.5 - Sezione 2. Comunicazioni, 1.
27 gennaio 2019. n.6 - Sezione 2A. Comunicazioni, 2.


La ricostruzione (tema oggi di scottante attualità vuoi per il patrimonio edilizio che per l'assetto del territorio) nel 1948 era ancora per certi versi un argomento teorico, per altri di urgenza esecutiva, con anche aspre polemiche più che sui metodi, sulle specifiche circostanze ricostruttive e sulle competenze effettive riguardanti il monumento e il territorio (urbanistica) colpito dalle devastazioni della guerra. Queste distruzioni furono molto numerose e di grande qualità molto spesso. Non è quindi un caso che Carlo L. Ragghianti inserisse questo scottante argomento nel programma del Convegno fiorentino.
Forse anche per la preponderante presenza nel governo del Paese fu ad evidentiam la Chiesa cattolica che seppe organizzarsi e gestire al meglio questo aspetto. Certo è che nonostante la breve – ma intensa e competente – parentesi governativa a Firenze prima (C.T.L.N.) poi a Roma, poi di nuovo sull'Arno con la “Commissione per la Ricostruzione del Centro Storico”, Ragghianti non poté far inserire in questa sede un valido contributo su Firenze, dati gli scontri, i dissidi, i divieti, le dilazioni ancora imperanti sulla città.
Il restauro dei monumenti, invece, aveva solide basi anche sull'esperienza (guerra del '15-'18) oltre che una tradizione consolidata da parte delle soprintendenze ai Monumenti.
Comunque queste pagine rivestono un indubbio interesse per la storicizzazione di queste attività teorico-pratiche, le quali ancora allora (e, forse, meglio che in seguito) utilizzavano prevalentemente strumentazioni e lavorazioni consolidate nei secoli ed esercitate da maestranze artigianali con capacità – persino interpretative – coerenti col passato oggetto del loro intervento.
Alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, quando abitavamo nella casa dei genitori di edilizia rurale ottocentesca, frettolosamente e approssimativamente intervenuta fino al nostro impianto di riscaldamento centrale (effettuato da De Micheli inserendo tubi e tubi nelle mura di calce e pietra qua, di mattoni sghembi là), ebbi l'opportunità di vede all'opera e di considerare la perizia di due muratori che avrebbero potuto lavorare senza imbarazzo con Filippo Brunelleschi. Il primo, di Palazzuolo sul Senio, colonna portante di una piccola azienda che lavorava quasi esclusivamente – per fortuna pubblica – per la soprintendenza ai Monumenti, esplorò le traballanti intercapedini tra soffitto del piano terra e pavimenti del primo piano. Abbarbicato sul rustico scaleo di casa fece dei saggi (sfondando) e verificò che salvo qualche travetto che riuscì a sistemare senza ulteriori sfondamenti vistosi come richiesto dall'altezzoso ingegnere.
Il tutto con una gestualità direi rituale, antica, efficace però. Chiuse poi, lisciò e dette una sola mano di pittura sulle cicatrici, salutò e andò a prendere il bus per tornare a casa. Il giorno dopo non si distinguevano i buchi. Finché rimanemmo in quella casa non avemmo più il tipo di inconvenienti che ci fecero chiedere aiuto.
Peccato che in questo caso, come nel seguente, non avessi dimestichezza con videocamere o affini perché sarebbe valsa la pena di tramandare quell'esperienza a cui assistetti “rapito” per tutto il tempo. Il secondo “artista” fu un muratore marocchino di montagna, barbuto, religioso, quattro figli (50 anni), qui solo a lavorare per loro che vidi all'opera sempre nella nostra casa, “povera” dimora dei genitori in corso di sventramento – dopo la vendita praticamente coatta da parte nostra – per ottenere le tre singole unità catastali previste. Ero lì per ritirare gli ultimi scatoloni dei miei libri; ci rimasi tre ore a guardare quella figura quasi biblica e una squadra di due giovani muratori nostrali. Da solo l'uomo del Rif con ritmo cadenzato, immutabile ma elegante, realizzò il doppio di superficie degli altri due con mattoni allineati come solo a Ravenna avevo visto. Senza un'irregolarità, senza una sbavatura di calce: la loro raffinatezza era espressiva, dico sul serio. Taccio sul lavoro abborracciato dei due sfessati incompetenti. Da notare che il marocchino era perfettamente consapevole che l'intonaco avrebbe coperto tutte le imperfezioni. Me lo disse con un sorriso appena accennato: altro che performance, quella è arte concettuale, altro che Platone.
Mi si scusi la lunga divagazione, la quale d'altra parte oggi mi pare possa considerarsi una testimonianza.
Anche in questa sezione degli Atti del Convegno data la specificità dei monumenti investigati reputo inutile un commento approssimativo, non specialistico, pensando che la loro lettura sia utile e opportuna esperienza storica e documentaria. Per quel che riguarda la personalità degli studiosi riferiremo alcuni dati essenziali, stante la non facile reperibilità nel “caos” internettiano di notizie precedenti gli anni Ottanta.
Mons. Giovanni Costantini (1880-1956), fratello del cardinale Celso segretario di Propaganda Fide, era laureato in filosofia e teologia, ebbe una intensa e accurata vita pastorale. Ciò nonostante fu studioso assiduo e competente. Nel 1924 divenne cattedratico di “Architettura sacra” all'Università di Venezia; nel 1943 fu nominato presidente della Pontificia Commissione d'Arte Sacra in Italia. Mi par di capire che sia

stato anche scultore. In “SeleArte” (n.7, lug.-ago. 1953, p.50) ho trovato la sottostante recensione di Carlo L. Ragghianti sugli orientamenti estetici (seccamente definiti “un grado di barbarie veramente offensiva”) impartiti da Propaganda Fide a proposito dei problemi e soprattutto dell'interpretazione di Arte Sacra, con indicati gli indici di gradimento o condanna dei singoli artisti. Si evince anche che il legame tra i prelati fratelli si sviluppava secondo lo schema dialetto tra elaborazione tecnica da un lato ed applicazione pratica dall'altro.



Vedo infine una notizia curiosa, tipica del particolarismo settario o ideologico: Costantini ha un omonimo (n.1936, Treviso) considerato dalla critica (Raffaele Crovi) e dalla stampa cattolica “il più grande poeta italiano”! Viene spudoratamente paragonato a Dante Alighieri. Che Dio li perdoni.
Riccardo Pacini (1908-1991). Funzionario e Soprintendente ai Monumenti di lungo corso, ha operato in molte importanti sedi: Ancona (soprattutto), Pisa, Genova, Napoli, Caserta, Roma (1963). E' stato autore di molte pubblicazioni specialistiche e membro di molte accademie e della Commissione Arte Sacra del Vaticano.
Piero Sanpaolesi (1904-1980) laureato a Pisa ingegnere, architetto è stato protagonista – per altro assai discusso e contestato – della cultura del restauro dell'Italia governativa e del potere. Docente non di ruolo fino alla cattedra nel 1960 (Università di Firenze) di “Caratteri stilistici e costruttivi dei Monumenti”; fu attivo soprattutto in Toscana. In questa sede illustra l'inizio della controversa vicenda del Camposanto di Pisa danneggiato gravemente durante la guerra. Non so se sono già state indagate le sue relazioni burocratiche più che conflittuali con Eugenio Luporini, proprio a Pisa già durante il conflitto, il quale diventava narratore epico nel raccontarle. Con Carlo L. Ragghianti c'è stata, in parte esaurientemente indagata e documentata, una decisa conflittualità metodologica circa Brunelleschi e la Cupola del Duomo di Firenze. Per quanto integrativo o meno noto e puntuale, cercheremo di affrontare la vicenda in successivi interventi nel blog.
Di Armando Dillon, nonostante sia stato un importante soprintendente di ampia e nota attività, nono sono riuscito a trovare dati precisi e qui pertinenti.

Invece Santi Luigi Agnello (1925-2000) siracusano allora giovanissimo neolaureato con Mario Salmi e studi con Giacomo Devoto, relazionò qui sulle ricerche correlate alla propria tesi di laurea. Figlio di Giuseppe Agnello (1881-1976), affermato archeologo cristiano (non ammesso all'insegnamento universitario perché privo della tessera fascista, fu ternato con Carlo L. Ragghianti nel Concorso Universitario di revisione proprio del 1948), successivamente ne seguì la carriera quale archeologo cristiano con prolifici contributi specialistici incentrati sulla Sicilia. Come il padre, raro esempio di antifascista integrale e seguace del Partito Popolare di don Luigi Sturzo, anche il figlio Santi Luigi fu precoce antifascista e perciò detenuto nel carcere delle Murate di Firenze dal dicembre 1943 al maggio 1944.
F.R.

 

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