Non ricordo dove, ma
comunque in una sede attendibile, ho letto che il mercato speculativo
dell'arte nella sua onnivora voracità, esauriti certi periodi e
settori, sta interessandosi al fenomeno italiano dei Macchiaioli col
proposito di estenderne la conoscenza su scala internazionale.
Speriamo soltanto di non assistere ad assurdi stravolgimenti di
valori artistici declinati in chiave di profitto economico. Cioè che
un “grande” come Giovanni Fattori non venga equiparato o
addirittura subordinato (anche se solo economicamente) a onesti
professionisti come un Egisto Ferroni o un Francesco Fanelli
semplicemente perché le sue opere sono ormai musealizzate o
prestigiosamente collezionate mentre quelle commerciabili sono poche
in rapporto agli intenti speculativi. Così i dipinti di pittori
degni ma non eccezionali vengono privilegiati perché copiosamente e
più facilmente disponibili per il mercato e quindi diventano fonti
di più lauti profitti.
A prescindere da queste
osservazioni doverose e indirizzabili a quasi tutti i fenomeni
espositivi non strettamente “scientifici”, parlare di Giovanni
Fattori e vedere suoi dipinti è un piacere anche su di un piano
superficiale, cioè non tenendo nella debita considerazione la sua
caratura espressiva originale ed innovativa.
Con questo post intendo
fornire un resoconto dei testi che Carlo L. Ragghianti e sua moglie
Licia Collobi dedicarono al pittore livornese. Va ricordato
innanzitutto che nella IV serie, cioè nell'edizione familiare
stampata con mezzi propri, di “SeleArte” nel fascicolo n.10
(primavera 1991) riproducemmo
l'articolo di Licia Collobi Opere di Giovanni Fattori nella
Galleria d'Arte Moderna di Firenze, originalmente pubblicato in
“Rivista di Livorno” (n.4, Lug.-Ago. 1953). Il nostro fascicolo
n.10 è stato poi riprodotto integralmente in questo blog e postato
il 23 febbraio 2017.
La causa della scelta di
mia madre riguardo a Fattori va ricercata nel fatto che nel
dopoguerra ella fu Direttrice f.f. della Galleria d'Arte Moderna di
Palazzo Pitti a Firenze, rifugio di quadri sesquipedali neoclassici e
“risorgimentali”, cioè prevalentemente retorici e
propagandistici, con le opere del secondo Ottocento (spesso di
piccole dimensioni) esposte affastellate in pochi locali e con quelle
del primo Novecento allora ancora praticamente non esposte al
pubblico. Ciò portò evidentemente Licia Collobi a privilegiare
nella propria speciale considerazione i dipinti del pittore
livornese. Da questo suo studio nei mesi successivi derivò il saggio
pubblicato, in collaborazione col marito, su “SeleArte” (n.8,
Sett.-Ott. 1953), nel quale si analizzano gli aspetti e le
problematiche dell'opera complessiva di Giovanni Fattori.
(marzo 2017)
Dopo un anno e mezzo
ritrovo questo testo scritto per un post sospeso con l'intento di
integrarlo con gli altri scritti di Licia e Carlo L. Ragghianti sul
“grande”, perché tale è, pittore e incisore livornese.
Controllati, nei noti limiti delle rispettive bibliografie, gli altri
scritti e le recensioni dei miei genitori li riproduco accompagnati
da una modesta numericamente – rispetto all'importanza dell'artista
– scelta di illustrazioni distribuite in due gruppi. Il primo
gruppo comprende Ritratto di Fattori mentre dipinge nello
studio, firmato da Giovanni Boldini e datato generalmente 1867 e
posto in apertura. Riproduco a seguito del testo redazionale per
motivi affettivi e documentari il piccolo dipinto che immortala nel
luglio 1880 la villa, allora chiamata il Gioiello, nella quale col
nome di Villa La Costa la famiglia Ragghianti ha abitato dal 1954 al
1999. Mi scuso per la qualità della fotocopia, augurandomi che la
fotografia
originale sia nella
Fototeca della Fondazione Ragghianti di Lucca. Questa fotografia (che
sul retro reca la scritta “Alla gentile Signora Teresa
Bartolommei./ Villa il Gioiello, 1880, luglio./ Gio. Fattori”, che
presumo fosse anche nel dipinto come risulta dalla fotocopia) fu
fatta pervenire ai Ragghianti dalla Libreria Antiquaria Gonnelli di
Via Ricasoli con un'offerta d'acquisto del quadretto. Però,
purtroppo, la cifra richiesta (anche se non esorbitante) non era
nelle disponibilità di famiglia, gravata in quel periodo di un mutuo
e di altre spese (installare i termosifoni, ad es.) a causa
dell'acquisto di quell'edificio ritratto da Fattori. Seguono le
riproduzioni di un Autoritratto dal fiero aspetto e la
fotografia del pittore maturo e “borghese” fattagli de Nuñes
Vais. Poi un bel nudino femminile, l'unico conosciuto tra le opere di
Fattori.
Come già accennato in
precedenza riproduciamo il saggio comparso nel n.8 di “SeleArte”,
scritto da entrambi i coniugi, anche se l'impronta di C.L.R. si
avverte più distintamente (tanto che Gina Lagorio e Silvio Riolfo,
curatori di una Antologia Garzanti per le scuole Medie, attribuiscono
a lui l'articolo, riportato integralmente alle pp. 1319-1323). Tra le
non poche osservazioni e conclusioni dei due critici va sottolineato
“una lingua quella del Fattori, che potrà esser trovata breve e
forse anche monotona: ma è tutta nuova, è sua e inedita e senza
nessuna condivisione o partecipazione”. Nello stesso fascicolo
C.L.R. recensisce (p.51) Lettere dei Macchiaioli a c. di
Lamberto Vitali; quindi nel fasc. 31 (lug.-ago. 1957, p.74) La
merca di Giovanni Fattori; mentre nel n.57 (mag.-giu. 1962)
prendendo spunto dalla monografia di Mario De Micheli commenta vari
aspetti del pittore. In Fattori ricordi dal vero (“Critica
d'Arte”, Biblioteca, n.2, lug.-sett. 1984, p.13) C.L.R. recensisce
il settimo volume dell' “Archivio dei Macchiaioli” a cura di
Dario Durbé. Licia Collobi in Lettere a Diego (“Critica
d'Arte”, seleArte, n.2, 1984, pp.24,25) recensisce e commenta
alcuni volumi di cui Diego Martelli e Fattori sono i protagonisti.
Fattori opera incisa, credo di C.L.R., conclude questa
carrellata di interventi sul maestro labronico, sempre che non
abbiamo trascurato o ignorato altri contributi.
Tornando alle
illustrazioni, riproduciamo sei dipinti in ordine cronologico. La
Maria Stuarda, nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna di
Pitti, è opera ancora accademica e deve essere stata uno degli
incubi patiti da mia madre quando dirigeva quel museo. Non ebbe lei
la fortuna di essere confortata da Morandi, che di fronte a opere per
lui indigeribili si consolava (e una volta consolò anche mio padre
col quale si accompagnava) interessandosi a particolari di pittura
dispersi nei quadroni accademici e retorici (nel caso con C.L.R. di
una delle famose mostre organizzate da Gnudi a Bologna). Seguono di
Fattori un disegno e un acquarello (coll. Pepi) prima di sei
acquaforti della sua straordinaria produzione tratte dall'altrettanto
straordinaria serie di grafiche che fu la collezione di Sebastiano
Timpanaro di cui riproduciamo la copertina dell'edizione "Artificio", la quale cita l'illustre e magnanimo collezionista. Questa notevolissima raccolta fu donata dalla vedova e dal
figlio Sebastiano; all'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università
di Pisa. A proposito di questo raro gesto di generosità, di cui
Carlo L. Ragghianti fu il primo custode, posteremo un apposito
contributo.
Per concludere questa
rievocazione di Giovanni Fattori ricorro alle parole di Carlo L.
Ragghianti (inserite nel post su Cristiano Banti che seguirà e
questo) che ricordano come egli rappresenti una “esperienza rara di
sincerità emotiva che in alcuni, cioè in Fattori, si aprirà a un
grande canto fermo del mondo di sempre semplice destino, immutabile
sotto il sole”.
F.R. (10 ottobre 2018)
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