Carlo e Licia

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sabato 8 dicembre 2018

Giovanni FATTORI.

Non ricordo dove, ma comunque in una sede attendibile, ho letto che il mercato speculativo dell'arte nella sua onnivora voracità, esauriti certi periodi e settori, sta interessandosi al fenomeno italiano dei Macchiaioli col proposito di estenderne la conoscenza su scala internazionale. Speriamo soltanto di non assistere ad assurdi stravolgimenti di valori artistici declinati in chiave di profitto economico. Cioè che un “grande” come Giovanni Fattori non venga equiparato o addirittura subordinato (anche se solo economicamente) a onesti professionisti come un Egisto Ferroni o un Francesco Fanelli semplicemente perché le sue opere sono ormai musealizzate o prestigiosamente collezionate mentre quelle commerciabili sono poche in rapporto agli intenti speculativi. Così i dipinti di pittori degni ma non eccezionali vengono privilegiati perché copiosamente e più facilmente disponibili per il mercato e quindi diventano fonti di più lauti profitti.
A prescindere da queste osservazioni doverose e indirizzabili a quasi tutti i fenomeni espositivi non strettamente “scientifici”, parlare di Giovanni Fattori e vedere suoi dipinti è un piacere anche su di un piano superficiale, cioè non tenendo nella debita considerazione la sua caratura espressiva originale ed innovativa.
Con questo post intendo fornire un resoconto dei testi che Carlo L. Ragghianti e sua moglie Licia Collobi dedicarono al pittore livornese. Va ricordato innanzitutto che nella IV serie, cioè nell'edizione familiare stampata con mezzi propri, di “SeleArte” nel fascicolo n.10 (primavera 1991) riproducemmo l'articolo di Licia Collobi Opere di Giovanni Fattori nella Galleria d'Arte Moderna di Firenze, originalmente pubblicato in “Rivista di Livorno” (n.4, Lug.-Ago. 1953). Il nostro fascicolo n.10 è stato poi riprodotto integralmente in questo blog e postato il 23 febbraio 2017.
La causa della scelta di mia madre riguardo a Fattori va ricercata nel fatto che nel dopoguerra ella fu Direttrice f.f. della Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze, rifugio di quadri sesquipedali neoclassici e “risorgimentali”, cioè prevalentemente retorici e propagandistici, con le opere del secondo Ottocento (spesso di piccole dimensioni) esposte affastellate in pochi locali e con quelle del primo Novecento allora ancora praticamente non esposte al pubblico. Ciò portò evidentemente Licia Collobi a privilegiare nella propria speciale considerazione i dipinti del pittore livornese. Da questo suo studio nei mesi successivi derivò il saggio pubblicato, in collaborazione col marito, su “SeleArte” (n.8, Sett.-Ott. 1953), nel quale si analizzano gli aspetti e le problematiche dell'opera complessiva di Giovanni Fattori.
(marzo 2017)

Dopo un anno e mezzo ritrovo questo testo scritto per un post sospeso con l'intento di integrarlo con gli altri scritti di Licia e Carlo L. Ragghianti sul “grande”, perché tale è, pittore e incisore livornese. Controllati, nei noti limiti delle rispettive bibliografie, gli altri scritti e le recensioni dei miei genitori li riproduco accompagnati da una modesta numericamente – rispetto all'importanza dell'artista – scelta di illustrazioni distribuite in due gruppi. Il primo gruppo comprende Ritratto di Fattori mentre dipinge nello studio, firmato da Giovanni Boldini e datato generalmente 1867 e posto in apertura. Riproduco a seguito del testo redazionale per motivi affettivi e documentari il piccolo dipinto che immortala nel luglio 1880 la villa, allora chiamata il Gioiello, nella quale col nome di Villa La Costa la famiglia Ragghianti ha abitato dal 1954 al 1999. Mi scuso per la qualità della fotocopia, augurandomi che la fotografia
originale sia nella Fototeca della Fondazione Ragghianti di Lucca. Questa fotografia (che sul retro reca la scritta “Alla gentile Signora Teresa Bartolommei./ Villa il Gioiello, 1880, luglio./ Gio. Fattori”, che presumo fosse anche nel dipinto come risulta dalla fotocopia) fu fatta pervenire ai Ragghianti dalla Libreria Antiquaria Gonnelli di Via Ricasoli con un'offerta d'acquisto del quadretto. Però, purtroppo, la cifra richiesta (anche se non esorbitante) non era nelle disponibilità di famiglia, gravata in quel periodo di un mutuo e di altre spese (installare i termosifoni, ad es.) a causa dell'acquisto di quell'edificio ritratto da Fattori. Seguono le riproduzioni di un Autoritratto dal fiero aspetto e la fotografia del pittore maturo e “borghese” fattagli de Nuñes Vais. Poi un bel nudino femminile, l'unico conosciuto tra le opere di Fattori.
Come già accennato in precedenza riproduciamo il saggio comparso nel n.8 di “SeleArte”, scritto da entrambi i coniugi, anche se l'impronta di C.L.R. si avverte più distintamente (tanto che Gina Lagorio e Silvio Riolfo, curatori di una Antologia Garzanti per le scuole Medie, attribuiscono a lui l'articolo, riportato integralmente alle pp. 1319-1323). Tra le non poche osservazioni e conclusioni dei due critici va sottolineato “una lingua quella del Fattori, che potrà esser trovata breve e forse anche monotona: ma è tutta nuova, è sua e inedita e senza nessuna condivisione o partecipazione”. Nello stesso fascicolo C.L.R. recensisce (p.51) Lettere dei Macchiaioli a c. di Lamberto Vitali; quindi nel fasc. 31 (lug.-ago. 1957, p.74) La merca di Giovanni Fattori; mentre nel n.57 (mag.-giu. 1962) prendendo spunto dalla monografia di Mario De Micheli commenta vari aspetti del pittore. In Fattori ricordi dal vero (“Critica d'Arte”, Biblioteca, n.2, lug.-sett. 1984, p.13) C.L.R. recensisce il settimo volume dell' “Archivio dei Macchiaioli” a cura di Dario Durbé. Licia Collobi in Lettere a Diego (“Critica d'Arte”, seleArte, n.2, 1984, pp.24,25) recensisce e commenta alcuni volumi di cui Diego Martelli e Fattori sono i protagonisti. Fattori opera incisa, credo di C.L.R., conclude questa carrellata di interventi sul maestro labronico, sempre che non abbiamo trascurato o ignorato altri contributi.
Tornando alle illustrazioni, riproduciamo sei dipinti in ordine cronologico. La Maria Stuarda, nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Pitti, è opera ancora accademica e deve essere stata uno degli incubi patiti da mia madre quando dirigeva quel museo. Non ebbe lei la fortuna di essere confortata da Morandi, che di fronte a opere per lui indigeribili si consolava (e una volta consolò anche mio padre col quale si accompagnava) interessandosi a particolari di pittura dispersi nei quadroni accademici e retorici (nel caso con C.L.R. di una delle famose mostre organizzate da Gnudi a Bologna). Seguono di Fattori un disegno e un acquarello (coll. Pepi) prima di sei acquaforti della sua straordinaria produzione tratte dall'altrettanto straordinaria serie di grafiche che fu la collezione di Sebastiano Timpanaro di cui riproduciamo la copertina dell'edizione "Artificio", la quale cita l'illustre e magnanimo collezionista. Questa notevolissima raccolta fu donata dalla vedova e dal figlio Sebastiano; all'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Pisa. A proposito di questo raro gesto di generosità, di cui Carlo L. Ragghianti fu il primo custode, posteremo un apposito contributo.
Per concludere questa rievocazione di Giovanni Fattori ricorro alle parole di Carlo L. Ragghianti (inserite nel post su Cristiano Banti che seguirà e questo) che ricordano come egli rappresenti una “esperienza rara di sincerità emotiva che in alcuni, cioè in Fattori, si aprirà a un grande canto fermo del mondo di sempre semplice destino, immutabile sotto il sole”.

F.R. (10 ottobre 2018)



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