Carlo e Licia

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mercoledì 28 novembre 2018

Per fatto personale. - Firenze. Conferma razzista di una città matrigna.

Con dispiacere personale e rabbia nei confronti dell'ottusità corriva dei più ho avuto una conferma di come il razzismo, la discriminazione siano un virus endemico che riesce – mutando volto – a colpire profondamente e a far soffrire le vittime: con la religione, con il sesso, con l'indigenza, con il colore della pelle, soprattutto.
Premetto: per abitudine ogni sera prima di andare a dormire do un'occhiata ad alcuni blog d'informazione per avere un sintetico panorama degli accadimenti. Alcuni li guardo tutti i giorni come l' “Huffington Post”, il “Corriere della sera”, “Le Monde”, “Liberation” e “Il Fatto quotidiano” (“La Repubblica” no da quando è diretta – verso la catastrofe – dal Mario Pio sconfortante successore di Ezio Mauro) e 
persino – dico così perché è capitato che quando l'ho nominato si è manifestato scandalo –  l'incredibile “Dagospia” figlio di un curioso personaggio che lo inonda di pettegolezzi e pseudo/sesso che salto (per disinteresse e fastidio dato che, come si sa, sono un “moralista”, e me ne vanto), mentre invece leggo quei pochi post che spesso riprende nel web di notizie e servizi giornalistici – originali o riportati da fonti poco note, inusuali ma attendibili – con fatti e commenti altrimenti per me introvabili. E' un'informazione dissacrante di ciò che i potentati preferirebbero che il popolo bue – cui appartengo – non sapesse. Questa premessa vuole spiegare come mai un anziano eremita abbia potuto trovare il post che riproduco qui di seguito.




Il controllo dell'articolo in lingua originale pubblicato dalla giornalista sul New York Times, rivela che l'esperienza dell'allora giovane studentessa universitaria con il profondamente radicato razzismo – nel senso proprio del non limitarsi alla superficie – della gente di Firenze (esempio di una ahi-noi generalizzata natura del popolo italiano) fu più estesa di quanto si evince dagli spezzoni di articolo riportati sull'Huffington Post. Nell'articolo originario i numerosi e piuttosto gravi episodi di schifosa e gratuita discriminazione sono inoltre corredati da una riflessione sulle tradite aspettative che si hanno all'estero nei confronti del nostro paese (ed in questo caso, della nostra città) e sull'apparente – ma non sostanziale 
– differenza di forma che il razzismo assume dagli Stati Uniti ad un paese come l'Italia, entrambi ingiustificabili e imperdonabili ma che richiedono all'individuo strumenti interiori diversi per riuscire a gestirli e reagirvi in modo da non esserne distrutti. Si invita quindi chi possieda abbastanza conoscenza della lingua inglese a ricercare l'articolo in questione di Nicole Phillip per accedere ad una visione più esaustiva del pensiero e dell'esperienza dell'autrice, ma anche per aprire una piccola finestra – l'appetito vien mangiando! - su una discussione fondamentale, troppo ignorata e scomoda a tanti ma vitale per la crescita ed il progresso morale ed etico della società umana. [I.M.F.]


La mia indignazione per quanto sopra descritto non è soltanto “normale” ripugnanza nei confronti dell'inciviltà del mostruoso razzismo in fase di incontrollata (e incoraggiata) espansione, nella fattispecie diviene rabbia feroce per fatto personale.
Rosetta ed io, oltre a nostra sorella Anna, abbiamo da tempo come affetto familiare soltanto nostra nipote Irene, bella e brava ragazza virtuosa perché anche religiosa senza ipocrisia.
Irene, che ha 24 anni, è sposata con un uomo statunitense, il quale ha la particolarità di essere nero di carnagione. Persona riservata, poco espansiva anche per ragguardevole disciplina derivante dall'essere stato “marine” – quindi in grado di difendersi e di offendere qualora necessario senza temere gli avversari. Egli, che io sappia, ha già dovuto subire qui in Italia alcuni comportamenti razzisti espliciti ma soprattutto impliciti sia da persone con pubbliche funzioni che da stronzi privati, senza – per fortuna – conseguenze reattive verso l'altrui offesa, portata con prudenza viscida all'Uriah Hepp e con vigliaccheria. Però dopo due anni si è stufato di Firenze, dove insegna inglese, ed ha deciso di tornare negli USA, a New York City.
A dire il vero io pensavo che Kevin volesse tornare (“goire to home” nel mio inglese maccheronico) se non proprio, anche perché insoddisfatto dell'ambiente familiare italiano e per naturale nostalgia.
Ora, finalmente, grazie – si fa per dire – alla testimonianza di Nicole Phillip ho capito il perché di questa scelta di Kevin: è stato il razzismo, quello peggiore, subdolo, strisciante, degli sguardi obliqui o assenti, delle persone che via via conosci e ti evitano maldestramente, delle piccole spostature, dei non inviti, delle esclusioni. E qui mi fermo perché conosco sulla mia pelle rugosa la discriminazione, di tipo analogo seppur di differente gravità: discriminazione religiosa la mia.
Dalle elementari – additato durante l'iniziale preghiera cui assistevo silente in piedi, dalla maestra congiunta del “martire” fascista Piazza con la frase “guardate R., quel bambino non andrà in Paradiso!” – alle medie dove avevo come compagno di banco un altro “capro espiatorio” oppure proprio nessuno, nemmeno l'ebreo o il valdese. Per dovere d'onestà devo riconoscere che non si mostravano ostili soltanto due ragazzi cattolici: Paolo Blasi (poi Rettore magnifico dell'Università di Firenze) e Mario Primicerio (poi Sindaco di Firenze). Al ginnasio e in prima liceo l'esclusione era meno palese e mi rompevano i coglioni più per essere figlio di un capo della Resistenza che per essere ateo. Certo quei tanti figli di genitori conniventi, forse “mandanti”, mi hanno fatto patire per 13 anni non poco. E i comportamenti di rivolta, e le scazzottate anche violente e vincenti con più nemici allora non mi consolarono e ancora oggi non lo fa il ricordo.
La partenza dei miei nipoti, indubitabilmente ma legittimamente ci priverà della presenza quasi quotidiana dell'unica persona giovane che rasserena la nostra vecchiaia, che la riempe di speranza, di vita.
Ciò sarà, se non per sempre – esistono gli aerei... – quasi, data la nostra età e il fatto che per me perfino andare a Figline è spostamento fastidioso: andare a “Broccolino” (New York) è escluso.
Maledetti razzisti – d'ogni genere e grado – vi auguro di ricevere moltiplicato per mille ciò che avete compiuto e ciò che state facendo da chi pregiudizialmente temete e vilmente odiate.
Rampognare la detestata, ignobile Firenze l'ha fatto una volta per tutte efficacemente Dante Alighieri. Io posso confermare a quei sordidi bottegai lo sdegno e augurarmi che finisca il turismo di massa e la città sia costretta a riqualificarsi.

F.R. (14/15 novembre 2018)

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