Con dispiacere personale
e rabbia nei confronti dell'ottusità corriva dei più ho avuto una
conferma di come il razzismo, la discriminazione siano
un virus endemico che riesce – mutando volto – a colpire
profondamente e a far soffrire le vittime: con la religione, con il
sesso, con l'indigenza, con il colore della pelle, soprattutto.
Premetto: per abitudine
ogni sera prima di andare a dormire do un'occhiata ad alcuni blog
d'informazione per avere un sintetico panorama degli accadimenti.
Alcuni li guardo tutti i giorni come l' “Huffington Post”, il
“Corriere della sera”, “Le Monde”, “Liberation” e “Il
Fatto quotidiano” (“La Repubblica” no da quando è diretta –
verso la catastrofe – dal Mario Pio sconfortante successore di Ezio
Mauro) e
persino – dico così perché è capitato che quando l'ho nominato si è manifestato scandalo – l'incredibile “Dagospia”
figlio di un curioso personaggio che lo inonda di pettegolezzi e
pseudo/sesso che salto (per disinteresse e fastidio dato che, come si
sa, sono un “moralista”, e me ne vanto), mentre invece leggo quei
pochi post che spesso riprende nel web di notizie e servizi
giornalistici – originali o riportati da fonti poco note, inusuali
ma attendibili – con fatti e commenti altrimenti per me
introvabili. E' un'informazione dissacrante di ciò che i potentati
preferirebbero che il popolo bue – cui appartengo – non sapesse. Questa premessa vuole
spiegare come mai un anziano eremita abbia potuto trovare il post che
riproduco qui di seguito.
Il
controllo dell'articolo in lingua originale pubblicato dalla
giornalista sul New York Times, rivela che l'esperienza dell'allora
giovane studentessa universitaria con il profondamente radicato
razzismo – nel senso proprio del non limitarsi alla superficie –
della gente di Firenze (esempio di una ahi-noi generalizzata natura
del popolo italiano) fu più estesa di quanto si evince dagli
spezzoni di articolo riportati sull'Huffington Post. Nell'articolo
originario i numerosi e piuttosto gravi episodi di schifosa e
gratuita discriminazione sono inoltre corredati da una riflessione
sulle tradite aspettative che si hanno all'estero nei confronti del
nostro paese (ed in questo caso, della nostra città) e
sull'apparente – ma non sostanziale
– differenza
di forma che il razzismo assume dagli Stati Uniti ad un paese come
l'Italia, entrambi ingiustificabili e imperdonabili ma che richiedono
all'individuo strumenti interiori diversi per riuscire a gestirli e
reagirvi in modo da non esserne distrutti. Si invita quindi chi
possieda abbastanza conoscenza della lingua inglese a ricercare
l'articolo in questione di Nicole Phillip per accedere ad una visione
più esaustiva del pensiero e dell'esperienza dell'autrice, ma anche
per aprire una piccola finestra – l'appetito vien mangiando! - su
una discussione fondamentale, troppo ignorata e scomoda a tanti ma
vitale per la crescita ed il progresso morale ed etico della società
umana. [I.M.F.]
La mia indignazione per
quanto sopra descritto non è soltanto “normale” ripugnanza nei
confronti dell'inciviltà del mostruoso razzismo in fase di
incontrollata (e incoraggiata) espansione, nella fattispecie diviene
rabbia feroce per fatto personale.
Rosetta ed io, oltre a
nostra sorella Anna, abbiamo da tempo come affetto familiare soltanto
nostra nipote Irene, bella e brava ragazza virtuosa perché anche
religiosa senza ipocrisia.
Irene, che ha 24 anni, è
sposata con un uomo statunitense, il quale ha la particolarità di
essere nero di carnagione. Persona riservata, poco espansiva anche
per ragguardevole disciplina derivante dall'essere stato “marine”
– quindi in grado di difendersi e di offendere qualora necessario
senza temere gli avversari. Egli, che io sappia, ha già dovuto
subire qui in Italia alcuni comportamenti razzisti espliciti ma
soprattutto impliciti sia da persone con pubbliche funzioni che da
stronzi privati, senza – per fortuna – conseguenze reattive verso
l'altrui offesa, portata con prudenza viscida all'Uriah Hepp e con
vigliaccheria. Però dopo due anni si è stufato di Firenze, dove
insegna inglese, ed ha deciso di tornare negli USA, a New York City.
A dire il vero io pensavo
che Kevin volesse tornare (“goire to home” nel mio inglese
maccheronico) se non proprio, anche perché insoddisfatto
dell'ambiente familiare italiano e per naturale nostalgia.
Ora, finalmente, grazie –
si fa per dire – alla testimonianza di Nicole Phillip ho capito il
perché di questa scelta di Kevin: è stato il razzismo, quello
peggiore, subdolo, strisciante, degli sguardi obliqui o assenti, delle persone che via via conosci e ti evitano maldestramente, delle piccole spostature, dei non inviti, delle esclusioni. E qui mi fermo perché conosco sulla mia pelle rugosa la discriminazione, di tipo analogo seppur di differente gravità: discriminazione religiosa la mia.
Dalle elementari –
additato durante l'iniziale preghiera cui assistevo silente in piedi,
dalla maestra congiunta del “martire” fascista Piazza con la
frase “guardate R., quel bambino non andrà in Paradiso!” –
alle medie dove avevo come compagno di banco un altro “capro
espiatorio” oppure proprio nessuno, nemmeno l'ebreo o il valdese.
Per dovere d'onestà devo riconoscere che non si mostravano ostili
soltanto due ragazzi cattolici: Paolo Blasi (poi Rettore magnifico
dell'Università di Firenze) e Mario Primicerio (poi Sindaco di
Firenze). Al ginnasio e in prima liceo l'esclusione era meno palese e
mi rompevano i coglioni più per essere figlio di un capo della
Resistenza che per essere ateo. Certo quei tanti figli di genitori
conniventi, forse “mandanti”, mi hanno fatto patire per 13 anni
non poco. E i comportamenti di rivolta, e le scazzottate anche
violente e vincenti con più nemici allora non mi consolarono e
ancora oggi non lo fa il ricordo.
La partenza dei miei
nipoti, indubitabilmente ma legittimamente ci priverà della presenza
quasi quotidiana dell'unica persona giovane che rasserena la nostra
vecchiaia, che la riempe di speranza, di vita.
Ciò sarà, se non per
sempre – esistono gli aerei... – quasi, data la nostra età e il
fatto che per me perfino andare a Figline è spostamento fastidioso:
andare a “Broccolino” (New York) è escluso.
Maledetti razzisti –
d'ogni genere e grado – vi auguro di ricevere moltiplicato per
mille ciò che avete compiuto e ciò che state facendo da chi
pregiudizialmente temete e vilmente odiate.
Rampognare la detestata,
ignobile Firenze l'ha fatto una volta per tutte efficacemente Dante
Alighieri. Io posso confermare a quei sordidi bottegai lo sdegno e
augurarmi che finisca il turismo di massa e la città sia costretta a
riqualificarsi.
F.R. (14/15 novembre 2018)
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