Gli scritti
pubblicati da Carlo L. Ragghianti su Medardo Rosso ci risultano
essere quattro. Naturalmente in altri studi viene citato o vengono
fatte osservazioni su questo grande artista della seconda metà
dell'Ottocento che in questa sede non siamo in grado di
puntualizzare. Ciò perché la completezza di una ricerca siffatta
richiede tempo ed energie di cui non disponiamo. Si tratta comunque
di un lavoro non impegnativo e consueto per uno specisalista che
voglia effettuare l'indagine.
Il primo
intervento di C.L.R. in realtà consiste in tre colonne del saggio
che egli dedica a Manzu' nel 1939 nell'ambito della sua prima analisi
sull'opera giovanile dello scultore bergamasco (“La Critica d'Arte”
a.V, n. 1, f. XXIII, pp. 108-109). Anche se la collocazione del
discorso su Rosso avviene in ambito indiretto, la pertinenza è
sostanziale.
Il saggio su
“seleArte” (n.3, nov.-dic. 1952, pp. 35-40) risulta in
bibliografia in collaborazione con Licia Collobi. A questo proposito
va considerato quanto segnalato nel post su Georges de La Tour (vedi
post 8 luglio 2018) e cioè che l'intervento della moglie è
circoscritto ad aspetti puntuali giacché “quale ff. Direttrice
della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Palazzo Pitti... si
interessò in quegli anni...
propendo a pensare che Licia abbia contribuito con qualche ricerca bibliografica e verifica delle fonti”. Al testo di
“seleArte” seguono alcune fotografie di Medardo Rosso coeve a
quelle che già illustrano lo scritto di Ragghianti.
Il terzo
scritto rappresenta la recensione della mostra di Rosso alla Galleria
Peridot di New York, pubblicato in origine su “seleArte” (n. 45,
mar.-apr. 1950, pp. 20-21). A ciò si aggiunge, sempre su "seleArte" (n.66), la breve notizia che nel 1963 si è tenuta negli USA "la prima grande mostra americana dedicata allo scultore italiano" sempre nei locali del prestigioso MOMA di New York. E' stato stampato sul quotidiano torinese
“La Stampa” (3 gennaio 1964, p. 3) col titolo redazionale Medardo
Rosso e la fama di Rodin il
quarto intervento di C.L.R. Sullo scultore. Lo riportiamo nella
trascrizione che ne ha tratto Rosetta Ragghianti dal quotidiano,
perché non era possibile ricavare dalla pubblicazione su Internet un
testo leggibile.
Seguono
una fotografia e il ritratto “caricaturale” dell'artista
disegnato da Ardengo Soffici; quindi la fotografia di Rosso
nell'atelier con a destra il bronzetto riprodotto nel 1883 ne
“L'Illustrazione Italiana”. Si conclude con una rassegna di
sculture (che provengono come le ill. precedenti dal nostro Archivio
di Vicchio) del ventennio 1880-1900.
F.R. (23 giugno 2018)
MEDARDO
ROSSO E LA FAMA DI RODIN
Con
una coincidenza non si sa se cercata, il Museum of Modern Art di New
York pubblica due monografie, la prima di Margaret Scolari Barr,
dedicata a Medardo Rosso e che fa seguito alla mostra organizzata
dallo stesso Museo (pp. 92 ill., 1963), la seconda di Albert E.
Elsen dedicata ad Auguste Rodin (pp.228 ill., 1963).
La
prima è una accurata recapitolazione della vita, dell'opera e della
fortuna critica di Rosso, fondata ancora sui giudizi e le
interpretazioni di Soffici, Boccioni, Barbantini e Apollinaire, che
si può riassumere nella formula dello scultore-pittore, il primo del
genere e perciò rivoluzionario, e dello scultore “impressionisa”,
anch'esso unico nel suo genere. L'autrice si è giovata delle
ricerche e degli studi di un giovane e intelligente critico italiano,
Luciano Caramel; purtroppo a nessuno ancora è stato concesso di
esaminare carte e documenti presso gli eredi a Barin, e quindi
continuano ad esistere sull'opera di Rosso lacune e problemi di
difficile soluzione.
Giacché
si parla di Rosso, richiamo l'attenzione degli “organi competenti”
sulla necessità di non far disperdere – come in qualche caso è
già avvenuto – opere superstiti, e si sa quanto rare, di Rosso.
Penso che Soffici, a cui si deve la prima e meritoria battaglia per
la rivendicazione del valore e la stabile fama di Rosso, assicurerà
al pubblico i disegni del maestro che possiede.
Invece
di acquistare opere inutili, nella situazione data, e oltre a tutto
costosissime, al limite massimo di mercato, l'amministrazione
artistica avrebbe dovuto, e da un pezzo, acquistare la bella Madre
col bambino che dorme del 1883;
un bronzo che Cesare Fasola per tenue prezzo ha invano offerto allo
Stato, e che i competenti hanno invano consigliato. Si è ripetuto
cioè il caso clamoroso, ma non abbastanza evidentemente, della Città
che sale di Boccioni,ora nel
Museum of Modern Art di New York, che, lasciata per anni nei depositi
della Galleria Nazionale d'arte moderna di Roma, fu offerta, non
molto tempo fa, dagli eredi Busoni allo Stato per un
milione di lire, e fu bocciata
da un allora esperto amministrativo che, ironia del caso, di lì a
poco doveva scrivere un libro entusiastico proprio su Boccioni.
Il
volume dello Elsen, per voler essere una presentazione comprensiva,
sebbene sia raccolto secondo gruppi di tematica critica acutamente
trattati, non ha l'efficacia e l'approfondimento analitico del suo
lavoro precedente sull'artista,dedicato alla genesi e
all'elaborazione estremamente complessa delle Portes de
l'Enfer. Ma non sfugge, come del
resto la Scolari Barr, dall'affrontare il problema, posto prima di
tutto dallo scultore italiano, e quindi dalla critica successiva, del
rapporto tra Rosso e Rodin, che si traduce, secondo il gergo d'uso,
come “influenza” di Rosso su Rodin. Non mancando, s'intende,
coloro che asseriscono il contrario, allegando relazioni personali,
visite, precedenze di data delle opere.
E'
un problema sbagliato, come poi sarà quello del rapporto tra Rosso e
Manzù. E' nato nel quadro pratico della sentita sproporzione tra la
fama universale di Rodin ed i tributi a lui della critica e del
pubblico, e l'oscurità ingiusta di Rosso. Quando poi le
“avanguardie” hanno respinto il Rodin statuario e “ufficiale”
per accettarne soltanto il “frammento” (l'improvvisazione non si
conosceva ancora, i disegni non erano notissimi), hanno trovato in
Rosso un argomento prezioso di polemica anti-tradizionale e di
rivendicazione d'ulteriorità. Ma questi non sono problemi critici.
Si
tende ad esaurire la personalità di Rosso nell'intuizione fulminea e
pura, in una sorta di ebbrezza emotivo-naturalistica, in uno slancio
di panteismo spontaneo che talvolta sfiora il trasporto mistico. E
perciò a svalutare, salvo l'esperienza iniziale nel quadro del
pittoricismo realista della scapigliatura, l'interiore riflessione di
cultura di Rosso.
Quasiché non bastasse, per un artista, la meditazione, sicura, di Desiderio, di Donatello, di Leonardo, della scultura tardoromana, la stessa scelta tanto univoca e cosciente; e non parliamo del suo museo in scatola, d'etrusco, di cinese, di Tanagra. D'accordo, Rosso proclamava la negazione della scultura dei musei, non era reverente come Rodin che si sentiva erede di una tradizione: ma questo non vuol dire che, come tutti i veri artisti, non si fosse costruito una sua storia. Il sorriso egmetico delle
sculture tra l'86 e il 91, nella ragione di stile d'infinita vibrazione, ascende a Leonardo non meno che l'Età del bronzo ascende a Michelangelo. Anche
il rapporto di Rosso con l'impressionismo
è restato un riferimento generico, e deve invece precisarsi, per
aiutare a capirlo. Rosso aveva enucleato la sua esigenza espressiva
già avanti il primo soggiorno parigino, e basti il perduto Omnibus,
ma certo a Parigi nell'84, e poi nel 1889-97, osservò. Direi che
l'indizio più penetrante è dato dai disegni, che occorre meglio
ordinare e datare. In questi le attenzioni si circoscrivono, rispetto
alla scultura che in qualche momento ha accenti analoghi a Renoir:
certo Manet degli schizzi e disegni di taccuino, anche Millet, e
parrà strano, ma per assai lati, e pur con indipendente flessione,
Seurat dei bozzetti e disegni. Non altri.
L'indicazione
vale in sé, e per il rapporto con Rodin. Raramente Rosso ha fatto
figure, in prevalenza scene e soprattutto pànici paesaggi, attimi di
roventi ondate di partecipazione vitale e cosmica. Di Rodin conosco
solo gli schizzi di cattedrali, che sono masse e strutture
architettoniche, e di più gettate negli stampi di fughe prospettiche
che le fanno multilaterali.
Il
suo disegno ha una lunga storia, dai classici a Puget, Rude e
Géricault, sino alle silhouettes
nipponiche delle ultime danze, è di figure moltiplicate emergenti e
giranti in un movimento organico, il tratto nel foglio arioso lo
sviluppa, lo protende, lo contrae.
I
disegni di Rosso e di Rodin sono veramente discriminanti per cogliere
la forma radicale della visione, diversissima. Per realizzare Rodin,
bisogna “tourner au tour”, seguire l'espansione plastica che
muove e si gonfia come una nuvola, e obbedire al percorso che impone
una successione di visuali legate, ma addensate o fermate, e da ciò
le interruzioni, i “torsi” bloccati, e in essi l'ansia del
passaggio a un nuovo stato. Nel “non finito” di Rodin il dramma è
in questa traslazione di condizioni e di stati d'animo, per cui
spesso un'opera non è solo una multanime avventura, ma è anche
incompiuta, tronca, sofferentemente provvisoria.
Proprio
il contrario di quel che Rosso non voleva, le “opere da girarvi
attorno” . Come in altre pubblicazioni recenti le opere di Rosso
vengono illustrate , salvo quelle perdute, con fotografie nuove,
d'intento suggestivo, di sopra, di sotto, dall'alto, dal basso, di
lato. Bisogna invece seguire le norme, rigorosissime, dell'artista,
osservate dai suoi primi critici. Le fotografie che possiamo dire di
Rosso (riprodotte da Soffici e Barbantini) sono ancora le sole a
presentare in modo autentico le sue plastiche. Un punto di vista
fisso, ed uno solo, un punto di luce radente ed uno solo: e stazione
immobile dello spettatore. Farsi permeare, lentamente, sempre più
intensamente, “grâce
à une lumière”, da un'emozione del viver nostro, come diceva
Rosso. Oltre le relazioni e gli incentivi, si vede come Rodin e Rosso
siano due grandi indipendenze.
Carlo
L. Ragghianti
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