Carlo e Licia

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giovedì 25 ottobre 2018

Medardo Rosso.

Gli scritti pubblicati da Carlo L. Ragghianti su Medardo Rosso ci risultano essere quattro. Naturalmente in altri studi viene citato o vengono fatte osservazioni su questo grande artista della seconda metà dell'Ottocento che in questa sede non siamo in grado di puntualizzare. Ciò perché la completezza di una ricerca siffatta richiede tempo ed energie di cui non disponiamo. Si tratta comunque di un lavoro non impegnativo e consueto per uno specisalista che voglia effettuare l'indagine.
Il primo intervento di C.L.R. in realtà consiste in tre colonne del saggio che egli dedica a Manzu' nel 1939 nell'ambito della sua prima analisi sull'opera giovanile dello scultore bergamasco (“La Critica d'Arte” a.V, n. 1, f. XXIII, pp. 108-109). Anche se la collocazione del discorso su Rosso avviene in ambito indiretto, la pertinenza è sostanziale.
Il saggio su “seleArte” (n.3, nov.-dic. 1952, pp. 35-40) risulta in bibliografia in collaborazione con Licia Collobi. A questo proposito va considerato quanto segnalato nel post su Georges de La Tour (vedi post 8 luglio 2018) e cioè che l'intervento della moglie è circoscritto ad aspetti puntuali giacché “quale ff. Direttrice della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Palazzo Pitti... si interessò in quegli anni...
propendo a pensare che Licia abbia contribuito con qualche ricerca bibliografica e verifica delle fonti”. Al testo di “seleArte” seguono alcune fotografie di Medardo Rosso coeve a quelle che già illustrano lo scritto di Ragghianti.
Il terzo scritto rappresenta la recensione della mostra di Rosso alla Galleria Peridot di New York, pubblicato in origine su “seleArte” (n. 45, mar.-apr. 1950, pp. 20-21). A ciò si aggiunge, sempre su "seleArte" (n.66), la breve notizia che nel 1963 si è tenuta negli USA "la prima grande mostra americana dedicata allo scultore italiano" sempre nei locali del prestigioso MOMA di New York. E' stato stampato sul quotidiano torinese “La Stampa” (3 gennaio 1964, p. 3) col titolo redazionale Medardo Rosso e la fama di Rodin il quarto intervento di C.L.R. Sullo scultore. Lo riportiamo nella trascrizione che ne ha tratto Rosetta Ragghianti dal quotidiano, perché non era possibile ricavare dalla pubblicazione su Internet un testo leggibile.
Seguono una fotografia e il ritratto “caricaturale” dell'artista disegnato da Ardengo Soffici; quindi la fotografia di Rosso nell'atelier con a destra il bronzetto riprodotto nel 1883 ne “L'Illustrazione Italiana”. Si conclude con una rassegna di sculture (che provengono come le ill. precedenti dal nostro Archivio di Vicchio) del ventennio 1880-1900.
F.R. (23 giugno 2018)






MEDARDO ROSSO E LA FAMA DI RODIN

Con una coincidenza non si sa se cercata, il Museum of Modern Art di New York pubblica due monografie, la prima di Margaret Scolari Barr, dedicata a Medardo Rosso e che fa seguito alla mostra organizzata dallo stesso Museo (pp. 92 ill., 1963), la seconda di Albert E. Elsen dedicata ad Auguste Rodin (pp.228 ill., 1963).
La prima è una accurata recapitolazione della vita, dell'opera e della fortuna critica di Rosso, fondata ancora sui giudizi e le interpretazioni di Soffici, Boccioni, Barbantini e Apollinaire, che si può riassumere nella formula dello scultore-pittore, il primo del genere e perciò rivoluzionario, e dello scultore “impressionisa”, anch'esso unico nel suo genere. L'autrice si è giovata delle ricerche e degli studi di un giovane e intelligente critico italiano, Luciano Caramel; purtroppo a nessuno ancora è stato concesso di esaminare carte e documenti presso gli eredi a Barin, e quindi continuano ad esistere sull'opera di Rosso lacune e problemi di difficile soluzione.
Giacché si parla di Rosso, richiamo l'attenzione degli “organi competenti” sulla necessità di non far disperdere – come in qualche caso è già avvenuto – opere superstiti, e si sa quanto rare, di Rosso. Penso che Soffici, a cui si deve la prima e meritoria battaglia per la rivendicazione del valore e la stabile fama di Rosso, assicurerà al pubblico i disegni del maestro che possiede.


Invece di acquistare opere inutili, nella situazione data, e oltre a tutto costosissime, al limite massimo di mercato, l'amministrazione artistica avrebbe dovuto, e da un pezzo, acquistare la bella Madre col bambino che dorme del 1883; un bronzo che Cesare Fasola per tenue prezzo ha invano offerto allo Stato, e che i competenti hanno invano consigliato. Si è ripetuto cioè il caso clamoroso, ma non abbastanza evidentemente, della Città che sale di Boccioni,ora nel Museum of Modern Art di New York, che, lasciata per anni nei depositi della Galleria Nazionale d'arte moderna di Roma, fu offerta, non molto tempo fa, dagli eredi Busoni allo Stato per un milione di lire, e fu bocciata da un allora esperto amministrativo che, ironia del caso, di lì a poco doveva scrivere un libro entusiastico proprio su Boccioni.
Il volume dello Elsen, per voler essere una presentazione comprensiva, sebbene sia raccolto secondo gruppi di tematica critica acutamente trattati, non ha l'efficacia e l'approfondimento analitico del suo lavoro precedente sull'artista,dedicato alla genesi e all'elaborazione estremamente complessa delle Portes de l'Enfer. Ma non sfugge, come del resto la Scolari Barr, dall'affrontare il problema, posto prima di tutto dallo scultore italiano, e quindi dalla critica successiva, del rapporto tra Rosso e Rodin, che si traduce, secondo il gergo d'uso, come “influenza” di Rosso su Rodin. Non mancando, s'intende, coloro che asseriscono il contrario, allegando relazioni personali, visite, precedenze di data delle opere.
E' un problema sbagliato, come poi sarà quello del rapporto tra Rosso e Manzù. E' nato nel quadro pratico della sentita sproporzione tra la fama universale di Rodin ed i tributi a lui della critica e del pubblico, e l'oscurità ingiusta di Rosso. Quando poi le “avanguardie” hanno respinto il Rodin statuario e “ufficiale” per accettarne soltanto il “frammento” (l'improvvisazione non si conosceva ancora, i disegni non erano notissimi), hanno trovato in Rosso un argomento prezioso di polemica anti-tradizionale e di rivendicazione d'ulteriorità. Ma questi non sono problemi critici.
Si tende ad esaurire la personalità di Rosso nell'intuizione fulminea e pura, in una sorta di ebbrezza emotivo-naturalistica, in uno slancio di panteismo spontaneo che talvolta sfiora il trasporto mistico. E perciò a svalutare, salvo l'esperienza iniziale nel quadro del pittoricismo realista della scapigliatura, l'interiore riflessione di cultura di Rosso. 
Quasiché non bastasse, per un artista, la meditazione, sicura, di Desiderio, di Donatello, di Leonardo, della scultura tardoromana, la stessa scelta tanto univoca e cosciente; e non parliamo del suo museo in scatola, d'etrusco, di cinese, di Tanagra. D'accordo, Rosso proclamava la negazione della scultura dei musei, non era reverente come Rodin che si sentiva erede di una tradizione: ma questo non vuol dire che, come tutti i veri artisti, non si fosse costruito una sua storia. Il sorriso egmetico delle 
sculture tra l'86 e il 91, nella ragione di stile d'infinita vibrazione, ascende a Leonardo non meno che l'Età del bronzo ascende a Michelangelo. Anche il rapporto di Rosso con l'impressionismo è restato un riferimento generico, e deve invece precisarsi, per aiutare a capirlo. Rosso aveva enucleato la sua esigenza espressiva già avanti il primo soggiorno parigino, e basti il perduto Omnibus, ma certo a Parigi nell'84, e poi nel 1889-97, osservò. Direi che l'indizio più penetrante è dato dai disegni, che occorre meglio ordinare e datare. In questi le attenzioni si circoscrivono, rispetto alla scultura che in qualche momento ha accenti analoghi a Renoir: certo Manet degli schizzi e disegni di taccuino, anche Millet, e parrà strano, ma per assai lati, e pur con indipendente flessione, Seurat dei bozzetti e disegni. Non altri.
L'indicazione vale in sé, e per il rapporto con Rodin. Raramente Rosso ha fatto figure, in prevalenza scene e soprattutto pànici paesaggi, attimi di roventi ondate di partecipazione vitale e cosmica. Di Rodin conosco solo gli schizzi di cattedrali, che sono masse e strutture architettoniche, e di più gettate negli stampi di fughe prospettiche che le fanno multilaterali.
Il suo disegno ha una lunga storia, dai classici a Puget, Rude e Géricault, sino alle silhouettes nipponiche delle ultime danze, è di figure moltiplicate emergenti e giranti in un movimento organico, il tratto nel foglio arioso lo sviluppa, lo protende, lo contrae.
I disegni di Rosso e di Rodin sono veramente discriminanti per cogliere la forma radicale della visione, diversissima. Per realizzare Rodin, bisogna “tourner au tour”, seguire l'espansione plastica che muove e si gonfia come una nuvola, e obbedire al percorso che impone una successione di visuali legate, ma addensate o fermate, e da ciò le interruzioni, i “torsi” bloccati, e in essi l'ansia del passaggio a un nuovo stato. Nel “non finito” di Rodin il dramma è in questa traslazione di condizioni e di stati d'animo, per cui spesso un'opera non è solo una multanime avventura, ma è anche incompiuta, tronca, sofferentemente provvisoria.
Proprio il contrario di quel che Rosso non voleva, le “opere da girarvi attorno” . Come in altre pubblicazioni recenti le opere di Rosso vengono illustrate , salvo quelle perdute, con fotografie nuove, d'intento suggestivo, di sopra, di sotto, dall'alto, dal basso, di lato. Bisogna invece seguire le norme, rigorosissime, dell'artista, osservate dai suoi primi critici. Le fotografie che possiamo dire di Rosso (riprodotte da Soffici e Barbantini) sono ancora le sole a presentare in modo autentico le sue plastiche. Un punto di vista fisso, ed uno solo, un punto di luce radente ed uno solo: e stazione immobile dello spettatore. Farsi permeare, lentamente, sempre più intensamente, “grâce à une lumière”, da un'emozione del viver nostro, come diceva Rosso. Oltre le relazioni e gli incentivi, si vede come Rodin e Rosso siano due grandi indipendenze.

Carlo L. Ragghianti


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