Carlo e Licia

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venerdì 20 aprile 2018

Storia di Palmira (Siria)

Giustifico la pubblicazione di questo post adesso per due motivi: il primo, dovuto al casuale reincontro con un libro, è di carattere prevalentemente personale; il secondo consegue ad un input doveroso, cioè con questa rievocazione si vuole richiamare l'attenzione sull' “oscuro”, generalizzato ed osceno massacro di essere umani, case ed anche monumenti alcuni dei quali fondamentali reliquie della storia dell'umanità che sta avvenendo in Medio Oriente.
Il bel volume ben stampato Les Ruines de Palmyre di Albert Champdor, con dedica autografa dell'autore, è tuttora trattenuto qui in casa perché a suo tempo restò tra quelli che mia madre conservava per sé nello scaffale a fianco della scrivania e successivamente da me conservato con l'intento di farlo infine pervenire alla Fondazione di Lucca. Si tratta, in effetti, di uno dei pochi libri non doppioni rimasti con noi per qualche particolare ragione di studio o affettiva. In questo caso non so di preciso perché Licia lo tenesse tra i suoi, so perché io l'ho poi trattenuto: quando frequentavo il Ginnasio al Galileo e si studiava la storia antica questa città carovaniera (anticipatrice nella mia fantasia del Caravanserraglio di Lahore dell'imperituro Kim di Kipling) compariva forse citata nel manuale di storia – Olobardi e Spini –, di certo ne parlò la prof. di lettere Giovanna Salvini – cugina di Roberto storico dell'arte e assidua lettrice dello storico Pirenne –, detta “Batrace” per l'aspetto del volto e del corpo, comunque ottima persona e insegnate dedita, preparata, diligente e indulgente. Al contempo a casa la mamma parlava con un certo calore della prodigiosa fioritura della città all'epoca della Regina Zenobia e di quanto la rallegrasse il libro che stava studiando per recensirlo. Ascoltandola mi ero incuriosito fino a esaminare con attenzione il volume. (Per inciso: in quel periodo Licia Collobi tenne per qualche tempo – comprato da Caldini, non preso in prestito al Vieusseux – sul comodino da notte Le deuxieme sexe di Simone de Beauvoir.
Lo ricordo perché notai il libro quando le facevo compagnia perché allettata da una delle sue innumerevoli bronchiti e perché rimasi assai imbarazzato e meravigliatissimo, dato il titolo inconsueto; però verificai subito scoprendo che avevo una madre proto-femminista, che era al di là delle generiche affermazioni di una signora colta dell'epoca, che aveva una preparazione e un'informazione filosofica. Licia fu anche attiva partecipe alle iniziali battaglie radicali sui diritti – divorzio e aborto compresi –, pur detestando il Pannella. Ma questa è un'altra vicenda).
Indicato in entrambe le bibliografie che riguardano i coniugi Ragghianti come scritto in collaborazione, questo testo credo sia prevalentemente dovuto alla penna di Licia non solo per quanto sopra accennato ma anche per l'andamento letterario. Propenderei, insomma, nel circoscrivere l'intervento di C.L.R. a qualche connotazione distintiva e correttiva dell'a. del libro o di carattere interpretativo delle opere d'arte. Comunque questa premessa risulterebbe forse meno significativa e consistente se non fosse correlata al 30 da me ricevuto all'esame di Storia Romana (Giovanni Carratelli Pugliese, noioso come la pioggia, e Giovanni Ferrara, entusiasta, esuberante, cordiale), ottenuto proprio perché nella preparazione studiai la recensione su “SeleArte” e lessi nel libro le pagine più pertinenti al corso monografico del cattedratico. Aneddoticamente mi fa piacere ricordare che mentre dopo la prova mi intrattenevo con Giovanni Ferrara (cugino del Balena) di storia, di politica – lui repubblicano, io socialista – e dell'aspettativa per l'elezione del successore di Papa Giovanni XXIII, all'unisono improvvisamente si scatenarono tutte le campane di Firenze (quella della vicina Chiesta di S.Marco sembravano rintoccare nella stanza) annunziando l'elezione di G.B.Montini, che fu Paolo VI (21 giugno 1963. Attenzione su Internet! La terza voce in sequenza me lo ha dato eletto nel 1958!).

Sciaguratamente la cinica “mattanza” tra Siria, Iraq, Libano e porzioni di altri paesi confinanti scatenata dagli ignobili integralisti, che è sembrato potesse terminare con la loro sconfitta, è ripresa con palesi e pesanti ingerenze di “potenze” pure estranee alla regione, per concreti inconfessabili interessi imperialistici. La Siria, specialmente coinvolta e sconvolta, sembra oggi una ricostruzione hollywoodiana per film apocalittici, quando non appare come un deserto lunare flagellato dalle meteoriti. Palmira, una delle meraviglie del residuale patrimonio ricordo di grandi civiltà umane, in particolare è praticamente – davvero – rasa al suolo.
La dignità di essere umano è intus et in cute vilipesa, profanata dai fatti e la acquiescenza della politica globalmente è stata vile, non ha riscattato la specie perché non c'è stata “resistenza” etica. Nel minuscolo sento perlomeno doveroso ricordare l'archeologo Khaled al-Asaad, il cui sacrificio viene emblematizzato ma non redime certo i responsabili ma neanche “noi” incapaci di reagire. Bisogna comunque rendere omaggio ad un uomo ordinario, eroe suo malgrado, che ci costringe a ricordare come e perché in certe circostanze bisogna travalicare se stessi. Da noi in occidente, oggi si è ormai persa la memoria di analoghi uomini normali, a volte oscuri e umili, divenuti valorosi, a volte epici, servitori di ideali di cultura e civiltà. Non si rammentano più, per fare un esempio pertinente per affinità tematica, tutti coloro, di ogni grado di responsabilità dal direttore all'usciere e al bidello sia donne – ovviamente – che uomini, che hanno contribuito al salvataggio delle opere d'arte durante la guerra. Certo solidarmente (perché questa è la “fraternité” degli immortali princìpi della

Rivoluzione francese) a proteggere e a salvare i patrimoni artistici e culturali in Italia, in Francia, nell'Europa intera durante il secondo conflitto mondiale. (Salvo quei personaggi ambigui sovente sedicenti protagonisti, dediti al profitto personale tra mitomania ed esibizionismo; salvo insomma i “generali Della Rovere” che non si sono riscattati). E' sconvolgente, infine, che i contributi riportati nel nostro blog fin qui riferibili all'Asia minore e all'Afghanistan lamentino distruzioni più o meno totali delle opere d'arte e dei monumenti colà conservati e che hanno resistito per decine di secoli al cupio dissolvi umano, nonostante tante loro guerre e sciagure. E' sconfortante constatare l'ottusa inerzia, l'indifferenza spontanea o indotta di coloro che dovrebbero soprassiedere a proteggere anche le nostre radici, cioè le vestigia storiche e culturali dell'Umanità.
Non illustro in questa occasione le devastanti distruzioni di Palmira e di tutto il Medio Oriente asiatico fino ai confini dell'India e della Cina. Queste immagini sconsolanti, tremende (e umilianti!) sono facilmente accessibili su Internet e diffusamente illustrate anche con buone (belle non mi sento proprio di dirlo) immagini e documentazioni, anche dettagliate. Per concludere, sempre da “SeleArte” (n.20, sett.-ott. 1955,pp.61-63) rintraccio e riprendo l'intervento di Carlo L. Ragghianti a proposito di “Rapporto redatto dalla commissione inviata in Siria dall'UNESCO nel 1953 con l'incarico di studiare i problemi della conservazione e della messa in valore dei luoghi e dei monumenti” (Parigi 1953). Si tratta di una “fotografia”, che comprende anche Palmira, che deve far riflettere sul grado di barbarie nel quale stiamo precipitando.
F.R., (23 febbraio 2018)





P.S. - Su “La Critica d'Arte” (a.II, n.2, aprile 1937, pp.XI,XII) fu pubblicato un resoconto sull'arte in Siria e a Palmira in particolare che senza ombra di dubbio era ben presente nella memoria dei Ragghianti quando meno di vent'anni dopo scrissero i testi sopra riportati.

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