Carlo e Licia

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martedì 10 aprile 2018

Divorzio e Costituzione, 1974

"Caro Collega, ho letto su “La Nazione” del 22 gennaio a p. 4 “la sentenza sul divorzio ha dissipato ogni equivoco”: a tale sua dichiarazione il Presidente della Corte Costituzionale Bonifacio ha aggiunto la seguente:”il popolo sa che la legge sul divorzio non viola la Costituzione”. In proposito, molte persone hanno posto questa domanda: ma è ammissibile votare contro una legge dello stato regolarmente approvata dai rappresentanti del popolo e ripetutamente dichiarata dalla Corte Costituzionale legittima e conforme alla Costituzione? Se lo Stato consiste nelle leggi che lo reggono, votare contro una legge costituzionale non è votare contro lo Stato, cioè contro questo Stato, e per un altro Stato diversamente ordinato? In altri termini, poiché alle leggi dello Stato si chiede obbedienza da parte di tutti i cittadini, in caso di abrogazione di una legge costituzionale e di una sostituzione con una legge opposta, e se tale quindi anticostituzionale, i cittadini leali alla Costituzione saranno costretti ad obbedire? Non è indifferente sapere che la revoca di una legge conforme alla Costituzione mette inevitabilmente in crisi lo Stato secondo la Costituzione. Non è indifferente il diritto dei cittadini di non approvare una legge contraria alla Costituzione, in qualunque forma fosse imposta. Il referendum abrogativo ammesso dall'art. 75 della Costituzione è stato introdotto come strumento per annullare leggi dello Stato che sono con certezza costituzionali? Il referendum può confermare un istituto civile come il divorzio, che essendo facoltativo tutela i diritti di tutti, mentre l'indissolubilità del matrimonio per legge è una sopraffazione dei diritti inviolabili dell'uomo, anche se fosse imposta da una maggioranza. Non si tratta quindi solo della semplice opportunità (come ha asserito il Presidente Bonifacio) di introdurre o meno il divorzio nel nostro ordinamento, quasiché divorzio e indissolubilità fossero al più equivalenti e non invece, il primo conforme alla Costituzione, la seconda no. Si tratta anche di prospettarsi o di prevedere quali conseguenze aprirà lo stabilire che si può votare contro una legge dello Stato conforme alla Costituzione. Ritenendo che non troverà manifestamente infondate queste considerazioni, Le sarò grato, anche a nome della persona di cui ho parlato, di rispondere ai quesiti posti, e mi abbia ..."

Questa lettera si riferisce al referendum sul divorzio chiesto dalla Democrazia Cristiana e caudatari di destra per abolire la Legge 898 del 1970 (“Disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio”). Essa è genericamente datata 1974 in alto a destra; è manoscritta con inchiostro nero su carta a righe. Diversa da altre minute di Ragghianti, fa pensare ad una prima stesura (di cui non conosco la versione definitiva), scritta di getto o ad una bozza non spedita. E' comunque inedita. (Questo manoscritto viene riprodotto in calce al post).
Rappresenta anche un interessante documento che attesta e conferma la costante attenzione alla Costituzione italiana, alla sua applicazione (come sarà esplicito nella Traversata di un trentennio, 1978) e alle procedure giuridiche, retaggio del precoce interesse per l'avvocatura stimolato dal padre Francesco – fervido ammiratore di Francesco Carrara celebre giurista lucchese del XIX secolo – . Da questo stimolo infantile deriva l'attenzione, lo studio e la riflessione giuridica sempre presenti in C.L.Ragghianti, come essenziale capacità per potersi districare nel mondo della prassi e della politica. La conoscenza del diritto, con le sue implicazioni, fu difatti il basilare pilastro delle innumeri iniziative culturali e non di Ragghianti. Tant'è che si può affermare che insuccessi o cessazioni di suoi progetti derivarono da imprevedibili elementi esterni, concomitanze ostili e avversità non sempre palesi o ragionevolmente immaginabili. Si può altresì affermare che ciò non avvenne per falle o errori inerenti l'impalcatura giuridica.
In mancanza di altri collegamenti, non è dato individuare chi fosse il “collega” a cui è indirizzata la lettera, quasi certamente un giurista. Azzardare qualche nome sarebbe abusivo, dato che dal dopoguerra a quegli anni, e dopo, C.L.R. aveva avuto occasione di conoscere personalmente gran parte di quella

che allora si chiamava “classe dirigente”, la quale ovviamente comprendeva gli avvocati di rilievo, i magistrati impegnati, i docenti universitari di giurisprudenza.
Quanto al divorzio, suscitatore di accesissimi dibattiti e di un'opposizione cattolica esasperata e frontale, mi piace ricordare per inciso che Ragghianti ebbe rapporti politici e personali con Loris Fortuna, il portabandiera di questa legge tanto attesa dalla società civile, cosa che avvenne anche con Vittorio Marangone, anch'egli deputato socialista friulano. Cosicché per le elezioni politiche del 1968 a C.L.R. fu offerto in Friuli un collegio sicuro per il P.S.I al Senato. Però lo studioso declinò l'offerta per non trascurare i propri impegni culturali e soprattutto – anche se espresso con 'diplomazia' – per il convincimento ben radicato della scarsa, se non nulla, utilità di promuovere e “proteggere” la cultura, le arti, l'ambiente da una sede politica già chiaramente degradata.
Ragghianti espresse poi apertis verbis questa sua consapevolezza circa l'inettitudine del ceto politico nel libro sopra citato Traversata di un trentennio (1978 e 2002 conforme; oltre alle edizioni cartacee l'opera è pubblicata in questo blog in 5 post, più un sesto di documentazione in fase di preparazione. Vedesi: 1, 13 novembre 2017; 2, 13 dicembre 2017; 3, 19 gennaio 2018; 4, 19 febbraio 2018; 5, 20 marzo 2018) cui diede il significativo sottotitolo Testimonianza di un innocente. Proprio da questo volume, che costò all'autore il laticlavio di Senatore a vita, a conferma di quanto finora sostenuto estrapoliamo esemplificativamente il quarto capoverso del capitolo V (p. 112):





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