Il primo
post della serie rievocativa di questa storica Mostra è stato
pubblicato il 30 dicembre 2017 e conteneva la Presentazione di Carlo
L. Ragghianti, i criteri del Catalogo, la Bibliografia generale. Vi sono
inoltre riportati i Comitati (d'Onore, Esecutivo, Tecnico, di
Consulenza nazionale), il Consiglio dell'AAT di Firenze e quello de
“La Strozzina” - promotori dell'iniziativa - gli ordinatori del
percorso museografico, le segreterie e i fornitori dell'esposizione.
Nel secondo post (31 gennaio 2018) sono indicati i criteri di
assegnazione delle schede critiche, quelli per la consultazione del
Catalogo e quelli distintivi di questa rievocazione. Seguono i primi
artisti schedati da Carlo L. Ragghianti: Alciati, Bertoletti Nino e
Pasquarosa, Biasi, Bonzagni, Bosia, Bucci, Checchi, Costetti, Ferro.
Per fortuna,
siccome non l'ho mai incontrato di persona, nei sogni angosciosi che
ho talvolta occasionalmente, talvolta in seguito a particolari
emozioni la sua figura non l'ho mai patita come tormentatore o
incombente minaccia.
Dico ciò
perché costui, eccellente per altro verso come scultore, era uno
stalker, un individuo insistente, asfissiante direi, e nel periodo da
quando mi occupai sistematicamente di “Critica d'Arte” fino alla
pubblicazione della monografia su di lui con testo critico di C.L.
Ragghianti (che riportiamo qui sopra in italiano e nella traduzione
in inglese, curata dall'editore, le illustrazioni, invece, provengono
da “Critica d'Arte”, n.112, lug.-ago. 1970) non dette tregua al
babbo e poi anche a me, ci perseguitò espistolarmente con espressi e
raccomandate almeno bisettimanali. Erano missive prolisse e
lamentose, tant'è che C.L.R. smise dopo un po' di rispondere, poi
non aprì le lettere, infine temo cestinava direttamente; io le
aprivo non le leggevo – anzi mi facevo dire dal buon Cino Cini se
c'era qualche argomento nuovo e diverso dal solito – e ogni tanto
rispondevo che stesse tranquillo che il prof. era impegnato ma
provvedeva ecc. (il che, alla fin fine, era anche la verità). Al
telefono – tentò anche quella strada – rispondeva Cini che
eravamo non in Cina, anche se ai tempi era vicina, ma a mamai; il
telefono di casa era secretato dalla SIP per contratto. Naturalmente, una volta ottenuto il dattiloscritto dello studio critico, il Galizzi si rivalse facendo realizzare il libro dall'editore senza nessun controllo di merito da
parte dell'autore del saggio e suggeritore delle opere da illustrare. Quindi si “rifece” inviando una copia soltanto del volume stampato, con allegati una cinquantina di dépliants-fac simile dell'opera corredati da una cartolina d'acquisto su prenotazione. Lo scultore per essere risentito aveva magari ragione; trovo però che l'invio della cartolina sia stata un'autentica volgarità. Ovviamente il testo in italiano e la traduzione in inglese, nonché la copertina sono tratti da un volume che ho comperato in antiquariato. A suo tempo, crescendomi l'antipatia per il personaggio mi accorsi anche di un comportamento di civetteria (ad essere educati e ben pensanti) che non sopporto: non dichiarare nelle biografie la propria data di nascita (come nella monografia) o – addirittura – mentire sulla medesima (come nei dati del Catalogo della Mostra: 1902 anziché 1891!) E' un fatto che deploro anche nelle donne: è possibile che si debba fare salti mortali per sapere quando è nata una artista o una scrittrice? Non è per curiosità ma per inquadrare storicamente il loro operato che questo dato è necessario, a volte importante, per comprendere il perché di certe espressioni, di certe scelte o soluzioni stilistiche ecc. ecc. Tant'è che tuttora mi infastidisce l'interferenza (la psicologia esiste anche se può essere fuori luogo o un ostacolo) che subisco nella visione spassionata dell'opera di quel vecchio professionista.
[F.R.]
Anche
l'opportunità di includere nella Mostra Vincenzo
Gemito (nel 1915 aveva già 63 anni!) fu assai controversa
all'interno del Comitato esecutivo. Credo che C.L. Ragghianti non
fosse favorevole; però evidenti (e inevitabili, per altro) squilibri
a detrimento del Meridione d'Italia ritengo abbiano obbligato mio
padre ad accettare la presenza dell'artista, però avocando a sé la
stesura della scheda. Già nel 1953 su “SeleArte” (n.5,
mar.-apr., pp.47-50), rivista nella
quale gli interventi di altri critici o artisti e personalità furono dapprima rari, poi eccezionali, R. ospitò Il caso Gemito di Ottavio Morisani, che riproduciamo perché certamente non è lontano dalle sue valutazioni. Il pensiero di mio padre risulta comunque piuttosto esplicito dalla lettera che egli inviò il 13 maggio 1954 a Geno Pampaloni, allora braccio destro di Adriano Olivetti e, mi pare, Direttore Generale dell'azienda di Ivrea.
[F.R.]
Di
questo poliedrico artista, di due anni più
giovane del padre di Ragghianti, è probabile che lo storico abbia
avuto una conoscenza diretta. Non ai tempi di Montale e di Via del
Pratellino (1926-28 c.) forse, ma prima della guerra quando R. era
spesso a Firenze (vi si sposò nel 1938) dove risiedevano la
madre e la
sorella Erminietta, e frequentava Marangoni, forse Bonsanti e altri
intellettuali; oppure tramite il figlio Paolo Graziosi (1907)
archeologo e paleontologo con cui fu amico.
[F.R.]
Da “Critica
d'Arte” (V serie, n.18, ott.-dic. 1988, p.23) riportiamo la scheda
su Marussig pubblicata nella rubrica “Biblioteca”. Essa è
siglata “R.” cioè come Carlo L. Ragghianti (morto l'anno
precedente) usata spesso firmare i suoi interventi nelle rubriche
della sua rivista. E' un disguido avvenuto nella Redazione modenese
della Panini dove si era corretto il “Red.” da me
indicato nella bozza dell'impaginato, anche perché ero il compilatore del breve testo ed ero il Redattore Capo (veramente a Firenze anche unico). Anche nella seguente scheda Penagini si è verificato lo stesso insieme di circostanze.
[F.R.]
Su questo
artista, tutto sommato meno noto di quanto meriti la qualità della
sua pittura, mi pare opportuno riportare anche il testo alle pp.
100-103 di Bologna cruciale 1914 (fascicolo
speciale di “Critica d'Arte”, n.
106-107, ott.-nov. 1969 e nel volume con lo stesso titolo ma con molti
altri studi e interpretazioni
edito nel 1982 da Calderini, Bologna) che Carlo L. Ragghianti dedicò a Oppi nell'ambito di quella importante ricostruzione per valutare l'arte in Italia agli inizi del Novecento. Il fascicolo e l'omonimo volume contengono alle pp. 93-100 anche le illustrazioni nn. 148-161 riguardanti dipinti di Ubaldo Oppi.
[F.R.]
Questa
recensione comparsa su “Critica d'Arte” (V serie, n.18, ott.-dic.
1988, p.23) fu scritta da me e per un malinteso con la redazione
modenese dell'editore risultò siglata “R.”, cioè con l'abituale
firma sulla rivista di Carlo L. Ragghianti, morto il 3 agosto 1987.
Questo artista “solare”, forse perché assente dal mercato e
quindi non redditizio, è tuttora (cioè 51 anni dopo e 30 anni
dopo)pochissimo conosciuto e misconosciuto nella sua autentica originalità espressiva, è stato per me e per molti altri addetti e visitatori della storica mostra del 1967 in Palazzo Strozzi una delle “scoperte” più inaspettate e coinvolgenti, quindi apprezzate.
[F.R.]
Durante
la direzione della Fondazione-Centro Studi sull'Arte Licia e Carlo L.
Ragghianti da parte di Teresa Filieri fu acquisita – tra altre –
la donazione cospicua di Umberto Prencipe, pittore a suo tempo
piuttosto noto e tutto sommato oggi immeritatamente misconosciuto. Fu
per espressa volontà di Carlo L. Ragghianti che le opere di questo
artista napoletano vennero esposte nella mostra Arte Moderna in
Italia 1915-1935 in Palazzo Strozzi a Firenze. Questo lo posso
testimoniare perché ero presente – in qualità di assistente
addetto alla gestione delle fotografie – alla riunione del Comitato
in cui fu discussa la ammissione di Prencipe. La membra (sì, rallegriamo un po' la tanto bistrattata Presidenta Boldrini) “modernista” del Comitato ed un altro studioso, di cui non ricordo il nome, erano contrari perché ritenevano Prencipe
(morto quattro anni prima nel 1962) soltanto un pittore “tradizionale” e non inserito – lo dico con la volgarità che l'argomento merita – nei circuiti che contano nelle arti figurative. Già questo tipo di affermazioni in sé per C.L.R. costituiva un drappo rosso sventolato davanti al toro. Fortunatamente il focolaio di controversia si risolse stante il concorde parere inclusivo di tutti gli altri membri del Comitato. Dalla rivista “LUK” (n.14/15, 2009), organo della Fondazione Ragghianti, mi sembra opportuno riportare qui sotto l'articolo della studiosa Sabrina Spinazzé che illustra le opere donate. Successivamente nel 2014 è stata edita, sempre dalla Fondazione lucchese, una monografia a cura della citata autrice e di Teresa Sacchi Lodispoto, con 200 pp. riccamente illustrate di cui illustriamo la copertina e l'Indice.
[F.R.]
Un
suo opulento dipinto di grande formato durante il montaggio della
mostra fu molto lievemente, per altro, danneggiato (e debitamente
subito restaurato a cura del Gabinetto degli Uffizi, e quindi
indennizzato il collezionista) subito dopo la definitiva sistemazione
“museografica” sulla parete di vari quadri. Accadde, infatti, che
l'incaricato dell'allestimento di questa sezione della mostra, Raffaele Monti, in preda ad entusiasmo estetico mentre
gesticolando illustrava a noi giovani amici e colleghi i pregi “carnali” del dipinto e le esuberanze del calore e dell'amore materno, perse l'equilibrio precipitando la sua notevole mole corporea verso la tela, la quale a verifica risultò appena rigata dall'orologio o da un unghia dell'esagitato studioso labronico, il quale fu poi dolente di schiena e di un braccio per diversi giorni.
[F.R.]
Wildt
è, direi, stato un artista non apprezzato da Carlo L. Ragghianti, il
quale nel suo resoconto de La Terza Quadriennale d'arte italiana
– pubblicato ne “La Critica
d'Arte”, a. IV, n.1, f. XIX, p. 5, gen.-mar. 1939 –
scrisse:
“...E non parliamo del Wildt e delle sue orride opere, schiave dei più pretenziosi e scipiti simbolismi, praticate in burro congelato, guttaperca e metalli, cui pare avvicinarsi oggi, per prona schiavitù alla materia, per l'uso di metalli, pietre dure o frammenti colorati sulle sculture squallidamente saponose ed equivoche (si veda il ritratto di Flora dagli occhi di opale)...”.
In
questo specifico caso, pur attribuendo qualche peso ad intemperanze
giovanili ed ad un forte sdegno quale emarginato sociale in mille
difficoltà materiali a causa del proprio antifascismo militante, il
giudizio del critico è inequivocabile. Non va concesso a Wildt,
perciò, quanto di genericamente attenuante C.L.R. ebbe a
sottolineare quarant'anni dopo circa i suoi giovanili, e severi,
giudizi su molti artisti dell'epoca.
Da
Nota Postuma (p.101 de Il caso De Chirico, Critica
d'Arte Edizioni, Firenze 1979) al riguardo riportiamo:
“Mi era stato chiesto di dare un orientamento complessivo sull'arte italiana contemporanea in una rivista di prevalenti interessi letterari, storici e filosofici. Successivamente una cresciuta esperienza e fatti nuovi mi condussero a modificare alcuni dei profili molto scorciati che tracciai in queste Indicazioni, ma al 1936 e prima (poiché è chiaro vedere che questo articolo riassume opinioni anteriori) non era facile delineare un panorama differenziato sia nei contenuti poetici o culturali, sia nel rilievo dato alle diverse personalità, con decisa preferenza per quelle che manifestavano carattere lirico: Scipione, Carrà, Campigli, Donghi, Rosai, Mafai, De Pisis, Morandi, contrapposti alle limitazioni di altri pittori allora spesso ritenuti preminenti come Carena, De Chirico, Severini neoclassico, Casorati, Soffici, Pirandello, Conti, Funi, Sironi, che spesso poi erano anche tra i gerarchi del periodo.”
[F.R., 4 marzo 2018]
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