Carlo e Licia

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venerdì 9 febbraio 2018

L'arte in Afghanistan




Dopo l'inefficace e ipocrita soprassalto di indignazione generale e riprovazione nei confronti degli infami talebani per la distruzione dei grandiosi Buddha di Baniyan, dal martoriato e bramato Afghanistan non si sono più avute sui media ordinariamente accessibili notizie relative alle arti e alla cultura di quel disgraziato paese. L'Afghanistan per certi versi è una nazione simile all'Italia: eterna, sostanziale “espressione geografica” governata da coalizioni che a turno la saccheggiano ed è anche privo di reale coesione sociale, nonostante la presenza – opprimente e dominante – di una sola religione. Culla successivamente di civiltà e interpretazioni artistiche originali e rilevanti espressione delle popolazioni – alcune autoctone, alcune succedutesi nei secoli nel controllo del territorio –, il popolo afghano odierno può conoscere la propria storia artistica e soprattutto (e quasi certamente meglio) all'estero. Fenomeno che con minore gravità accade anche per diversi aspetti per le opere d'arte prodotte in Italia (cito soltanto come esempio la collezione di scultura italiana più ampia e di omogenea distribuzione temporale la quale si trova a Londra nel Victoria&Albert Musem); cioè in un paese extra comunitario che, se continua così la propria deriva nazionalista, diverrà extraeuropeo.
Queste considerazioni spiegano il perché della attualità di riproporre una recensione di Licia Collobi con la quale in “SeleArte” (n.54, nov.-dic. 1961) la studiosa descrisse i fenomeni salienti di arte succedutisi in quella regione, prevalentemente di miniature e sculture allora custodite nel Museo Nazionale di Kabul, e oggi faticosamente e parzialmente – sembra – ripristinate. Non è nelle nostre intenzioni essere polemici senza fondamento quindi bisogna evitare deviazioni 
antimusulmane (un mondo di quasi 2 miliardi di esseri umani, di cui una frazione infima è riferibile all'Isis o ad Al Qaida, e molti popoli non sono fanatici ma sono soltanto oppresse vittime di regimi totalmente non democratici). Da evitare anche deduzioni improprie dell'apprezzamento per le arti precedenti la civiltà scaturita dalla predicazione di Maometto. Perciò il post che succederà a questo sarà la riproposta di un importante saggio di Georges Marçais (1876-1962) intitolato La figura nell'arte musulmana.
Le arti dell'Asia centromeridionale investono un territorio vastissimo che va dalla Mongolia alla Turchia e alla Persia, comprendendo le regioni indiane per cui per certe e molte ragioni l'Afghanistan si trova geograficamente al centro e ne fa culturalmente parte. Sia durante il predominio buddhista e fino a quello, più dispersamente distribuito, islamico si sono verificati fenomeni originali sostanzialmente se non sempre comuni, certamente correlati. Per queste considerazioni in questa sede accantoniamo analisi generali e puntuali che ricorderemo e illustreremo in altre circostanze, ovviamente legate e motivate dalla creatività artistica. Certamente parleremo dell' “incredibile” fenomeno dell'arte chiamata del Gandhara, diffusa in un'area enorme, quasi doppia rispetto a quella dell'Europa.
F.R.


P.S. Nel 1954 (SeleArte n.11, mar.-apr. p.77), cioè sette anni prima dell'articolo di Licia C.R., Carlo L.R. scrisse la breve nota seguente nella rubrica “notizie dal Mondo” intitolata Sulle orme di Gengis Khan, nella quale ricorda che i Buddha di Bamiyan furono sfigurati già nel XII secolo dagli invasori mongoli. 

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