Carlo e Licia

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giovedì 2 novembre 2017

Un libraccio su Arturo Checchi

Una doverosa premessa: non ce l'ho con Arturo Checchi, che anzi stimo come artista tant'è che intendo occuparmi della sua opera in un prossimo futuro e farlo in termini positivi. Sono più che indignato e reattivo (data la mia pregressa e principale attività lavorativa quale redattore e realizzatore di libri e riviste) con chi cinicamente ha danneggiato Checchi per fini speculativi, per di più mentre l'artista già a fine vita era appena deceduto. Sono risentito anche con Libro Co Italia che detiene e commercia la giacenza del volume anziché passarlo al macero. Mi sono procurato questo libro per poter verificare ed identificare con certezza titoli e date e dati di acquaforti e litografie del pittore di Fucecchio, comprandolo perché l'unico in commercio che vantava i requisiti che mi interessavano, assenti in altre opere dignitose che avevo riscontrato in precedenza. Per la precisione la vistosa monografia del 1962 che gli dedica Mino Rosi, che conobbi quale amico di mio padre, edita in un precoce offset da Amilcare Pizzi, e Arturo Checchi. Le carte, le opere, la vita, monografia di piccolo formato pubblicata nei "Quaderni della Fondazione Montanelli-Bassi" da Bibliografia e Informazione, 2013.
Il libro oggetto di questa stroncatura è Arturo Checchi. Incisioni e litografie e siccome l'ho acquistato pagandolo 64 euro (spese di spedizione comprese, bontà loro) mi sento autorizzato ad infierire sulle pecche riguardanti l'opera e il catalogo di un artista di per sè più che dignitoso.
Cominciamo dall'editore: Bruno Nardini, mugellano fiorentinizzato che ai suoi tempi contava (quindi probabilmente massone o clericale o entrambi con – perché no – qualche ammiccamento con i comunisti, cosa che non guastava mai i galantuomini). Dopo lunga dirigenza nella Mondadori di Verona, si fa editore in proprio: questo dovrebbe essere uno dei primi, se non addirittura in primo titolo edito con il suo marchio.
Il volume è ingombrante (cm. 24X32), pesante e, come detto, totalmente privo di apparati: manca l'Indice; le illustrazioni hanno titolo ed anno (perché forniti evidentemente da Checchi, che ho avuto modo di riscontrare era alquanto pignolo), però sono prive delle misure (e non credo che siano tutte riprodotte in scala 1:1; e, se così fosse, è necessario, nonché utile, dirlo in qualche luogo dell'opera!); sono anche prive dell'indicazione del colore, dell'inchiostro o degli inchiostri usati nella stampa degli originali al torchio. Quindi cosa si può dire ancora di non sgradevole quando una monografia e un catalogo non riportano nessun dato, nessuno ripeto, che specifichi la singola opera oltre – come sopra detto – al titolo e alla data? Tanto, purtroppo: non si indica che tipo di lastra si è usato, né la carta o le carte adoperate; tantomeno c'è l'indicazione della tiratura o delle tirature dei vari "stati". Sono cose che hanno molta importanza sul piano commerciale e che interessano ai collezionisti, i quali comprano questo tipo di libri proprio per avere le notizie qui mancanti. Infine le pagine non sono numerate, nemmeno quelle dei testi critici!
Per concludere questa parte, bisogna rilevare che manca una, sia pur breve, presentazione; mancano, sia pur minime, biografia e bibliografia dell'artista. E'assente persino (si tratta di un dato obbligatorio per legge) il "finito di stampare" con data e nome del tipografo! Roba da chiodi, mai vista. Se fosse un libro fresco di stampa ci sono gli estremi per chiedere il rimborso o chiederne il ritiro dal commercio.
Ben sei sono gli autori coinvolti, con interventi non corposi e difficili da trovare per l'assenza di indice e numero pagina; erano e sono piuttosto noti almeno cinque di essi. Il sesto, Ottorino Guerrieri, che mi giunge nuovo, è uno scrittore e critico locale. Naturalmente di nessuno di costoro nel libro c'è il pur minimo cenno biografico o almeno l'indicazione di a che titolo scrive in quella sede di Arturo Checchi.
Per una simile presa per i fondelli nei riguardi della decenza tipografica non può valere come attenuante il fatto che la monografia sia in realtà stata commissionata dall'Artista per "propagandare" la propria attività. In questo caso, anzi, direi che umanamente si configura una sorta di turlupinatura a danno di persona inesperta e non reattiva per momentanea incapacità, dati gli ottantasei anni e la valitudinarietà. Arturo Checchi, infatti, morì nel 1971, quindi non fu in grado di controllare o di reagire all'obbrobrio perpetrato a danno della sua immagine e della sua vedova ed erede.
Nella citata monografia del 2013 su Checchi questo pesante volumaccio nardiniano è citato spesso come "s.i.p." (per chi non lo sa vuol dire "senza indicazione pagina") e nella Bibliografia colà presente a p. 122 vengono indicate due voci edite da Nardini (1971,1972), però esse non hanno il titolo che compare in questo libro che stiamo esaminando e che – per altro – i rivenditori su Internet unanimemente datano 1971, edito quindi, come già rilevato, con Checchi morente o appena defunto. Anche nel caso del libro della Fondazione Montanelli-Bassi si è preferito da parte dei curatori un comportamento molto ambiguo: citare i testi là dove serviva, ignorare non solo le pecche ma l'esistenza "ufficiale" dell'opera.
Questa intemerata non è uno scatto umorale e quanto scritto su questo libro è soltanto la reazione sdegnata di una persona offesa nella dignità professionale. Per più di trent'anni, infatti mi sono occupato di realizzare libri, importanti e cestinabili, utili e superflui, belli e brutti, per altri editori ed in proprio, ma tutti corretti ed aderenti ai dettami della tipografia e dell'Editoria. Sono stati anni di esperienze le più varie, con una partecipazione latitudinaria: dalla correzione di bozze, all'impaginazione, dalla tecnologia alla stesura dei testi promozionali e/o complementari all'edizione, dalla dirigenza all'esercizio della proprietà editoriale.
Per concludere il discorso su questa, diciamo "anomala"?, monografia sulla grafica di Arturo Checci, spendiamo qualche parola sui testi che sono sparsi nel volume. Si tratta di brevi saggi di qualità ed impegno discontinui, che ci riserviamo di analizzare e citare soltanto se significativi e complementari al Post su Checchi che sto impostando. Il primo (Le acqueforti) è di Mary Pittaluga, amica di mia madre, insegnante e apprezzata studiosa di grafica; il secondo è Umberto Baldini (su due acqueforti), laconico come sempre; il terzo di Giuseppe Sprovieri (la xilografia); poi il quarto di Indro Montanelli col suo "pensiero" su Checchi, curiosamente inserito nella sezione litografie, è probabile riproposta di testo già edito; quindi è Enrico Sacchetti, penso in citazione stanti le diciassette righe su C. disegnatore; sesto ed ultimo Ottorino Guerrieri (Giardini di Perugia), città dove visse negli ultimi anni l'artista.
Concludono la parte scritta del libro tre pagine della vedova, Zena Fettucciari, in memoria del marito.


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