A post già
scannerizzato e impaginato negli altri testi e documenti, il fortuito
ritrovamento nel nostro caos archiviale dell'articolo che Licia
Collobi scrisse per la rivista “Firenze e il Mondo” ci induce
iniziare con la riproduzione di questa rarità da stanare altrimenti
in poche biblioteche. L'articolo – che segue immediatamente questo
testo fu pubblicato a mostra iniziata e prossima alla chiusura. Esso
si configura naturalmente come introduzione a questa documentazione
sulla Mostra La Casa italiana nei secoli (aperta da Aprile a
Novembre: otto mesi!) e al suo catalogo e, tra l'altro, in questo
scritto – sempre con la consapevolezza di una meritata riuscita –
si illustrano i criteri e si giustificano le carenze di un
“organismo” originale e complesso, quindi non ripetibile
facilmente né con adeguata rappresentatività.
Licia
Collobi Ragghianti cominciò ad interessarsi criticamente e fare
esperienza di arredamento e di mobilio storico soprattutto in
occasione del Catalogo delle opere d'arte pubbliche in
provincia di Piacenza (1938) quando dovette documentarsi per
affrontare la congerie prevalentemente ecclesiastica di materiali
altrimenti poco interessanti per chi non abbia una specifica
vocazione e curiosità nei loro confronti. Conoscendo la puntigliosa
caparbietà – gestita con tratto sereno e disteso – con cui
affrontava ogni “sfida” intellettuale e professionale e
coadiuvata da una straordinaria memoria (beata lei!) che gli
consentiva rapidità di introitare e rammentare i dati, ella fu in
grado di assorbirne una notevolissima quantità e di – e questo è
puro merito – analizzarli e relazionarli tra loro con acume e
pertinenza. Penso che anche gli studi per la preparazione della tesi
di laurea (1935, pubblicata 1937) su Carlo di Castellamonte, primo
ingegnere sabaudo, tramite le verifiche sul campo in ville e
castelli, generalmente arredati, abbiamo contributo alle basi di una
vera e propria specializzazione extra antiquaria. Nel 1936/7 fece
anche una ricerca e studio sul Palazzo Farnese di Caprarola. Oltre a
ciò la successiva reggenza (1942-43) della Pinacoteca Estense di
Modena e connessi contribuì ad allargare i suoi orizzonti nelle
materie collaterali alle canonihe pittura, scultura, architettura. Ho
vivo il ricordo del racconto delle vicissitudini per proteggere e poi
occultare – a causa del conflitto – anche la notevole collezione
numismatica, di cui studiò, naturalmente, le peculiarità. Altra
osservazione: tutti questi studi eterogenei costituirono certamente
una base solida per la sua latitudinaria competenza nella redazione
degli scritti di “SeleArte” (1953-66), poi rubrica di “Critica
d'Arte” fino al 1989.
Quanto
premesso spiega perché tra i vari e competenti funzionari della
Soprintendenza di Firenze, nel 1947 fosse scelta proprio lei, ff. di
direttore della Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti (moderna, si
fa per dire, giacché a tutt'oggi di tutte le opere eseguite dal 1900
ne sono esposte pochissime, e male). Certo un po', ma non troppo e
non scontato, pesò il fatto che fosse la moglie dell'ideatore e del
Presidente dello Studio Italiano di Storia dell'Arte e Commissario
per la liquidazione (poi non avvenuta) dell'Istituto di Studi sul
Rinascimento, organizzatore della Mostra. Ricordo quel periodo piuttosto bene nonostante avessi tra i sette e gli otto anni d'età. In parte perché praticamente per alcuni mesi i nostri genitori non furono mai in casa e sovente rientravano
dopo le 10 di sera, ragion per cui Rosetta (quattro-cinquenne) più che preoccupata
in vero era perplessa; ed io invece preoccupato e talora spaventato
perché spesso rimanevamo soli, col pupattolo di più o meno diciotto
mesi terzogenito, dalle sette del pomeriggio, quando un'anzianotta e
detestata Azelia da Lamporecchio (domestica di scarsa preparazione e
competenza e d'animo pravo, nonché un po' ladra) se ne andava a
raggiungere un becchino suo futuro consorte.
In parte i
ricordi sono più presenti perché da sempre ho cercato di capire
quel che e perché lo facevano gli adulti e di conseguenza li stavo
ad ascoltare (gli insegnanti mediocri – i più – però meno,
molto meno) con attenzione. Quindi sentivo la mamma relazionare il
babbo, perché anche se e quando tornavano assieme tardi, quasi
sempre il loro lavoro durante la giornata era differente e in lunghi
tra loro distanti. Quel che più mi colpì fu come Licia Collobi
riuscisse a coordinare e gestire in Palazzo Strozzi tutti, dal
Comitato tecnico, agli artigiani (tappezzieri, falegnami,
elettricisti ecc.) nonché il personale, compreso quello di
guardianìa. Questa capacità di coordinamento e di gestione è una
dimostrazione (aggiuntiva al valor militare quale partigiana
combattente) del fatto – assai inconsueto, ma meritato – che a
mia madre forse riconosciuto il grado di Maggiore dell'Esercito
Italiano.
Di questa
straordinaria mostra La Casa Italiana nei secoli, si è persa
la memoria e dimenticato la notevolissima quantità degli oggetti
esposti e la loro altrettanto notevole qualità, e poi anche la
consapevolezza del rigore scientifico, passato al vaglio di
competenti comitati regionali, che esplicitava l'importanza delle
“arti decorative” dal Trecento all'Ottocento. Ciò forse anche
per via della modestia della veste, ancor postbellica, del Catalogo
(esteriormente così dissimile dai “mattoni”, spesso
inconsistenti e fuorvianti, dell'oggi) ritengo culturalmente
significativo riproporre i testi dei Ragghianti, mentre le poche (19)
illustrazioni del Catalogo consentite dalle ristrettezze dell'epoca,
sono riprodotte nell'articolo di Licia Ragghianti. In proposito è
bene ricordare che fino al 1949 in Italia fu vigente il razionamento
di molti generi alimentari e non (es. carta) e che in Gran Bretagna,
vincitrice del conflitto mondiale, fu in vigore fino al 1954 un
razionamento molto rigoroso.
La curatela
di questo catalogo fu certamente il viatico per l'incarico a Licia
Collobi della Mostra e del Catalogo La sedia italiana nei secoli
(1951) per la allora ancora prestigiosa Triennale di Milano, che
oltretutto era uno dei pochi Enti con consistenti mezzi economici. Di
questo studio e altri scritti di Licia Collobi riguardanti mobilio e
arredamento pubblicheremo altri post su questo nostro blog.
Per inciso,
infine, non sembra incauto affermare che conseguenza abbastanza
diretta di questa mostra fu l'istituzione – proprio a Firenze e
proprio in Palazzo Strozzi – delle Biennali Internazionali di
Antiquariato per volontà di Luigi Bellini (che abbiamo ricordato nel
post Ponte a S. Trinita, 4 – Appendici, di prossima uscita e
che ricorderemo anche con uno scritto commemorativo su di lui di
C.L.Ragghianti, pubblicato sulla “Gazzetta Antiquaria, n. ¾,
lug.-sett. 1981) nel 1959, dopo un primo tentativo nel 1953 di sola
presenza antiquaria italiana.
TAVOLA
COMPARATIVA DELLE ILLUSTRAZIONI E LORO UBICAZIONE
Fig. 1
(copertina – sala XXVIII) Lampadario in porcellana e bronzo (XVIII
Piemontese). Coll. Accorsi, Torino.
Fig. 2
(p.2 – sala III) Cella mistica del Trecento fiorentino (part.)
Fig. 3
(p.2 – sala III) Letto dipinto del 1337. Pistoia, Ospedale del
Ceppo.
Fig. 4
(p.3 – sala VI) Sala di Legnaia con gli affreschi di Andrea del
Castagno.
Fig. 5
(p.3 – sala XI) Sala del Tintoretto. Cinquecento veneziano.
Fig. 6
(p.4 – sala XIII) “Il sogno del Cavaliere”. Calamaio in
ceramica fiorentina del 1503. Roma, Museo Artistico Industriale.
Fig. 7
(p.4 – sala IV) Armadio trecentesco della Cappella degli Scrovegni
a Padova.
Fig. 8
(p.5 – sala VI) Sala di Griselda del Castello di Roccabianca.
Fig. 9
(p.6 – sala VI) Giovinetta orante detta “Madonna del Coazzone”.
Milano, Museo Castello Sforzesco.
Fig.
10 (p.6 – sala II) S. Andrea (vetrata del XV sec. su dis. del
Ghiberti). Firenze, Cattedrale S. Maria del Fiore.
Fig.
11 (p.7 – sala XXVIII) Lampadario in bronzo dorato e porcellana di
Sassonia. Coll. Accorsi, Torino.
Fig.
12 (p.8 – sala XIV) Costanza Bonarelli (attr. a G.L.Bernini). Coll.
Contini-Bonacossi, Firenze.
Fig.
13 (p.9 – sala XVI) Salotto bolognese del sec. XVII.
Fig.
14 (p.9 – sala XXV) Camera da letto del Settecento piemontese.
Fig.
15 (p.10 – sala XX) Rotonda dell' “Esprit Fort” (tempera di
V.Bonomini). Lombardia, fine del 1700.
Fig.
16 (p.10 – sala XXV) Salotto piemontese del sec. XVIII-XIX.
Fig.
17 (p.11 – sala XXIII) Salotto delle lacche settecentesche
veneziane.
Fig.
18 (p.11 – sala XXIII) Cassettone con alzata in lacca verde e oro
(Arte veneziana, sec. XVIII). Coll. Fossati-Bellani, Milano.
Fig.
19 (p.11 – sala XXVIII) Trumeau laccato, arte piemontese del sec.
XVIII. Coll. Baroni, Torino.
Fig.
20 (p.12 – sala XVIII) La vita contemplativa. Part. di affresco di
Andrea Appiani.
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