Carlo e Licia

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martedì 21 novembre 2017

Licia Collobi e l'arredamento storico - La Casa Italiana nei Secoli 1

A post già scannerizzato e impaginato negli altri testi e documenti, il fortuito ritrovamento nel nostro caos archiviale dell'articolo che Licia Collobi scrisse per la rivista “Firenze e il Mondo” ci induce iniziare con la riproduzione di questa rarità da stanare altrimenti in poche biblioteche. L'articolo – che segue immediatamente questo testo fu pubblicato a mostra iniziata e prossima alla chiusura. Esso si configura naturalmente come introduzione a questa documentazione sulla Mostra La Casa italiana nei secoli (aperta da Aprile a Novembre: otto mesi!) e al suo catalogo e, tra l'altro, in questo scritto – sempre con la consapevolezza di una meritata riuscita – si illustrano i criteri e si giustificano le carenze di un “organismo” originale e complesso, quindi non ripetibile facilmente né con adeguata rappresentatività.
Licia Collobi Ragghianti cominciò ad interessarsi criticamente e fare esperienza di arredamento e di mobilio storico soprattutto in occasione del Catalogo delle opere d'arte pubbliche in provincia di Piacenza (1938) quando dovette documentarsi per affrontare la congerie prevalentemente ecclesiastica di materiali altrimenti poco interessanti per chi non abbia una specifica vocazione e curiosità nei loro confronti. Conoscendo la puntigliosa caparbietà – gestita con tratto sereno e disteso – con cui affrontava ogni “sfida” intellettuale e professionale e coadiuvata da una straordinaria memoria (beata lei!) che gli consentiva rapidità di introitare e rammentare i dati, ella fu in grado di assorbirne una notevolissima quantità e di – e questo è puro merito – analizzarli e relazionarli tra loro con acume e pertinenza. Penso che anche gli studi per la preparazione della tesi di laurea (1935, pubblicata 1937) su Carlo di Castellamonte, primo ingegnere sabaudo, tramite le verifiche sul campo in ville e castelli, generalmente arredati, abbiamo contributo alle basi di una vera e propria specializzazione extra antiquaria. Nel 1936/7 fece anche una ricerca e studio sul Palazzo Farnese di Caprarola. Oltre a ciò la successiva reggenza (1942-43) della Pinacoteca Estense di Modena e connessi contribuì ad allargare i suoi orizzonti nelle materie collaterali alle canonihe pittura, scultura, architettura. Ho vivo il ricordo del racconto delle vicissitudini per proteggere e poi occultare – a causa del conflitto – anche la notevole collezione numismatica, di cui studiò, naturalmente, le peculiarità. Altra osservazione: tutti questi studi eterogenei costituirono certamente una base solida per la sua latitudinaria competenza nella redazione degli scritti di “SeleArte” (1953-66), poi rubrica di “Critica d'Arte” fino al 1989.
Quanto premesso spiega perché tra i vari e competenti funzionari della Soprintendenza di Firenze, nel 1947 fosse scelta proprio lei, ff. di direttore della Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti (moderna, si fa per dire, giacché a tutt'oggi di tutte le opere eseguite dal 1900 ne sono esposte pochissime, e male). Certo un po', ma non troppo e non scontato, pesò il fatto che fosse la moglie dell'ideatore e del Presidente dello Studio Italiano di Storia dell'Arte e Commissario per la liquidazione (poi non avvenuta) dell'Istituto di Studi sul Rinascimento, organizzatore della Mostra. Ricordo quel periodo piuttosto bene nonostante avessi tra i sette e gli otto anni d'età. In parte perché praticamente per alcuni mesi i nostri genitori non furono mai in casa e sovente rientravano 
dopo le 10 di sera, ragion per cui Rosetta (quattro-cinquenne) più che preoccupata in vero era perplessa; ed io invece preoccupato e talora spaventato perché spesso rimanevamo soli, col pupattolo di più o meno diciotto mesi terzogenito, dalle sette del pomeriggio, quando un'anzianotta e detestata Azelia da Lamporecchio (domestica di scarsa preparazione e competenza e d'animo pravo, nonché un po' ladra) se ne andava a raggiungere un becchino suo futuro consorte.
In parte i ricordi sono più presenti perché da sempre ho cercato di capire quel che e perché lo facevano gli adulti e di conseguenza li stavo ad ascoltare (gli insegnanti mediocri – i più – però meno, molto meno) con attenzione. Quindi sentivo la mamma relazionare il babbo, perché anche se e quando tornavano assieme tardi, quasi sempre il loro lavoro durante la giornata era differente e in lunghi tra loro distanti. Quel che più mi colpì fu come Licia Collobi riuscisse a coordinare e gestire in Palazzo Strozzi tutti, dal Comitato tecnico, agli artigiani (tappezzieri, falegnami, elettricisti ecc.) nonché il personale, compreso quello di guardianìa. Questa capacità di coordinamento e di gestione è una dimostrazione (aggiuntiva al valor militare quale partigiana combattente) del fatto – assai inconsueto, ma meritato – che a mia madre forse riconosciuto il grado di Maggiore dell'Esercito Italiano.
Di questa straordinaria mostra La Casa Italiana nei secoli, si è persa la memoria e dimenticato la notevolissima quantità degli oggetti esposti e la loro altrettanto notevole qualità, e poi anche la consapevolezza del rigore scientifico, passato al vaglio di competenti comitati regionali, che esplicitava l'importanza delle “arti decorative” dal Trecento all'Ottocento. Ciò forse anche per via della modestia della veste, ancor postbellica, del Catalogo (esteriormente così dissimile dai “mattoni”, spesso inconsistenti e fuorvianti, dell'oggi) ritengo culturalmente significativo riproporre i testi dei Ragghianti, mentre le poche (19) illustrazioni del Catalogo consentite dalle ristrettezze dell'epoca, sono riprodotte nell'articolo di Licia Ragghianti. In proposito è bene ricordare che fino al 1949 in Italia fu vigente il razionamento di molti generi alimentari e non (es. carta) e che in Gran Bretagna, vincitrice del conflitto mondiale, fu in vigore fino al 1954 un razionamento molto rigoroso.
La curatela di questo catalogo fu certamente il viatico per l'incarico a Licia Collobi della Mostra e del Catalogo La sedia italiana nei secoli (1951) per la allora ancora prestigiosa Triennale di Milano, che oltretutto era uno dei pochi Enti con consistenti mezzi economici. Di questo studio e altri scritti di Licia Collobi riguardanti mobilio e arredamento pubblicheremo altri post su questo nostro blog.
Per inciso, infine, non sembra incauto affermare che conseguenza abbastanza diretta di questa mostra fu l'istituzione – proprio a Firenze e proprio in Palazzo Strozzi – delle Biennali Internazionali di Antiquariato per volontà di Luigi Bellini (che abbiamo ricordato nel post Ponte a S. Trinita, 4 – Appendici, di prossima uscita e che ricorderemo anche con uno scritto commemorativo su di lui di C.L.Ragghianti, pubblicato sulla “Gazzetta Antiquaria, n. ¾, lug.-sett. 1981) nel 1959, dopo un primo tentativo nel 1953 di sola presenza antiquaria italiana.






TAVOLA COMPARATIVA DELLE ILLUSTRAZIONI E LORO UBICAZIONE

Fig. 1 (copertina – sala XXVIII) Lampadario in porcellana e bronzo (XVIII Piemontese). Coll. Accorsi, Torino.
Fig. 2 (p.2 – sala III) Cella mistica del Trecento fiorentino (part.)
Fig. 3 (p.2 – sala III) Letto dipinto del 1337. Pistoia, Ospedale del Ceppo.
Fig. 4 (p.3 – sala VI) Sala di Legnaia con gli affreschi di Andrea del Castagno.
Fig. 5 (p.3 – sala XI) Sala del Tintoretto. Cinquecento veneziano.
Fig. 6 (p.4 – sala XIII) “Il sogno del Cavaliere”. Calamaio in ceramica fiorentina del 1503. Roma, Museo Artistico Industriale.
Fig. 7 (p.4 – sala IV) Armadio trecentesco della Cappella degli Scrovegni a Padova.
Fig. 8 (p.5 – sala VI) Sala di Griselda del Castello di Roccabianca.
Fig. 9 (p.6 – sala VI) Giovinetta orante detta “Madonna del Coazzone”. Milano, Museo Castello Sforzesco.
Fig. 10 (p.6 – sala II) S. Andrea (vetrata del XV sec. su dis. del Ghiberti). Firenze, Cattedrale S. Maria del Fiore.
Fig. 11 (p.7 – sala XXVIII) Lampadario in bronzo dorato e porcellana di Sassonia. Coll. Accorsi, Torino.
Fig. 12 (p.8 – sala XIV) Costanza Bonarelli (attr. a G.L.Bernini). Coll. Contini-Bonacossi, Firenze.
Fig. 13 (p.9 – sala XVI) Salotto bolognese del sec. XVII.
Fig. 14 (p.9 – sala XXV) Camera da letto del Settecento piemontese.
Fig. 15 (p.10 – sala XX) Rotonda dell' “Esprit Fort” (tempera di V.Bonomini). Lombardia, fine del 1700.
Fig. 16 (p.10 – sala XXV) Salotto piemontese del sec. XVIII-XIX.
Fig. 17 (p.11 – sala XXIII) Salotto delle lacche settecentesche veneziane.
Fig. 18 (p.11 – sala XXIII) Cassettone con alzata in lacca verde e oro (Arte veneziana, sec. XVIII). Coll. Fossati-Bellani, Milano.
Fig. 19 (p.11 – sala XXVIII) Trumeau laccato, arte piemontese del sec. XVIII. Coll. Baroni, Torino.
Fig. 20 (p.12 – sala XVIII) La vita contemplativa. Part. di affresco di Andrea Appiani.

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