Carlo e Licia

Carlo e Licia

Archivio

Cerca nel blog

lunedì 6 marzo 2017

Su Jacovitti e una sua vignetta profetica

Invece che ad una pubblicità, Jacovitti fa da 'testimonial', sia pure involontario, alla insufficienza di capacità di penetrazione e considerazione estetica (formale) nella 'semeiotica', 'lectio' echiana. Difatti, Umberto Eco si dilunga – su “l'Espresso”, 18/12/1997 – su una simpatica e partecipe riminescenza del vignettista, scomparso proprio in quei giorni.
Il contenuto della “bustina di Minerva” è utile lettura per la ricapitolazione delle tappe del lavoro di Jacovitti, però in pratica analisi e raffronti sono soltanto contenutistici ed esulano del tutto da ogni considerazione sulla qualità espressiva di quest'opera pluriennale. Sottolineare l' “horror vacui” di Jacovitti (ogni sua vignetta è zeppa di elementi anche estranei al contesto, pur di non lasciare spazi bianchi nella pagina) è osservazione ovvia – ciò si nota, anche troppo – e senza ulteriori approfondimenti essa non è granché indicativa ed esplicativa, salvo che sul piano psicologico dell'autore, cosa che in quel contesto è irrilevante dalla problematica.
Eco si rifà alla propria giovinezza e aderisce, come tutti gli adolescenti al contenuto del racconto, allo stile letterale valutato nel contesto delle pubblicazioni analoghe; non si pone, cioè, problemi in relazione alla formazione visiva dell'artista e alla ripercussione che essa può avere sul fruitore (parola orripilante, adatta qui). L'unico approccio ad una valutazione qualitativa del disegno viene fatta sul finale dell'articolo, là dove Eco si rammarica di aver abbandonato bruscamente lo stile di Jacovitti per quello di Saul Steinberg (che non è nemmeno opposto, è culturalmente totalmente estraneo) nelle vignette che il critico – dilettante confesso – suole disegnare e fumettare per (de)scrivere ad amici sue comunicazioni ed impressioni personali.
Curiosa è l'assenza, almeno per uno scrittore (e di vaglia) come Eco con interessi ed esperienze sia letterari che disegnativi, di ogni riferimento ed analisi al rapporto tra testo ed illustrazione da parte del medesimo autore. Infatti, se la sceneggiatura è di altri, l'artista deve darne una interpretazione secondo il proprio stile; ed il critico deve prendere in considerazione soltanto il disegno delle vignette (elogiando o deprecando, al massimo, la coerenza o l'incoerenza tra le due parti del fumetto). Ben diverso il caso di Jacovitti, il quale era anche autore dei testi: quindi il suo lavoro va analizzato riportandolo alla sua sola personalità artistica.
A titolo di doverosa informazione ricordo che Carlo L. Ragghianti – in genere poco indulgente con i 'fumettari', accusati di accademismo – il disegno di Jacovitti lo detestava.

Ebbe a conoscerlo, credo, tramite il mio Diario scolastico, e lo considerava volgare, elementare e, soprattutto, diseducativo (al di là dei contenuti propriamente letterari, destrorsi e 'qualunquisti') dal punto di vista estetico. Insomma fuorviante in rapporto all'utenza, cioè ai giovani in formazione, ovviamente anche della loro capacità critica della visione. Non mi disse altro – avevo 10 o 11 anni – però il rimprovero mi indusse a cercare lo scambio con un compagno di classe scontento del suo Diario. (Quello di Jacovitti, oltretutto, era di stampo clericale – essendo emanazione del giornalino “il Vittorioso”, organo dell'Azione Cattolica, allora potentissima – mentre io ero già ateo convinto ed avevo comprato quel Diario soltanto per uno dei miei rari casi di acquiescenza alla moda. In generale, infatti, nonostante quell'età sia ancora quella del conformismo, dell'aggregazione acritica e puramente generazionale, proprio in imitazione del padre cercavo di essere anticonformista, in più erano già in sviluppo le mie tendenze solitarie e asociali).
Altra curiosa assenza nel testo di Eco, sempre così attento ai fatti di costume e di cronaca che possono avere impatto non scontato sulla società, la riscontro nel sottacere l'eccezionale circostanza della morte per crepacuore della moglie di Jacovitti, avvenuta poche ore dopo il decesso dello sposo.
Questo sì che è un 'segno' che dovrebbe (ed ha) impressionare la gente, gli utenti della società dell'informazione, i quali sono spinti ad eccitarsi per tutti gli accadimenti di impatto emotivo, buoni o cattivi non ha importanza, comunque esistenti solo se mediatizzati. E questo 'segno' di commovente e rara storia d'amore mi sembra davvero degno di compartecipazione, assai di più delle deprimenti manifestazioni di sciacallesco cordoglio, intinto di necronarcisismo, per la morte di quella sciagurata troietta di Diana Spencer.
Siccome Jacovitti imperversava ed era celeberrimo proprio negli anni della crescita di noi figli Ragghianti, posso testimoniare che, al di là dei rimproveri del genitore, tutti noi abbiamo letto in varie sedi, soprattutto su “Il Monello”, le sue strisce almeno fino agli anni '70. Io non ho mai veramente apprezzato le sue storie e nemmeno le singole vignette (salvo una, formidabile, che dimostrava in pochi, muti, passaggi l'identità tra scudo crociato e falce e martello), anche se le leggevo quando mi capitavano a tiro; però allora leggevo tutto ciò che di scritto incontravo. Comunque trovavo lo stile di Jacovitti soprattutto noioso per l'uniformità e ripetitività degli schemi narrativi e per l'insopportabile grettezza del tratto disegnativo. [...]

"Dramatis Personae" del 18 & 19 gennaio 1998
\


Sono andato a cercare la suddetta 'formidabile' vignetta e, trovatala, non riesco a decifrare se disegnata nel '73 o, meno plausibilmente, nel 1983; comunque tra l'inizio e la fine di quel periodo nazionale che fu chiamato “compromesso storico”. Vale a dire l'accordo strategico tra comunisti e democristiani, ufficialmente per fronteggiare il dilagante terrorismo, nella realtà da molti leader dei due schieramenti utilizzato anche per tentare di escludere le altre 'confessioni' ideologiche, soprattutto socialisti e liberali. Nei fatti c'era anche la reciproca arrière pensée di insinuarsi nel campo fin'allora avverso per svuotarlo o almeno renderlo ininfluente. Questa lunga manovra sembra si sia conclusa in questi mesi con il trionfo dei cattolici che hanno fagocitato gli ex comunisti, vittime per la maggior parte consenzienti e compensate con la spartizione del potere, quello che nella presente situazione viene considerato


importante: il denaro, le prebende, ecc. ecc.   Ciao, popolo.
In questo contesto la vignetta di Jacovitti Benito (!) risulta una fotografia profetica.
Riproduciamo alcune vignette dell'artista (sì, artista comunque lo era, di secondo piano) nell'essenziale bianco e nero; la prima – del 1946 – è ancora incerta nello stile, che poi sarà sostanzialmente omogeneo. Dalla “Settimana Incom” del 25 maggio 1966 proviene la fotografia con l'autore che contempla una sua pagina. Non per par condicio ma perché tipica del conformismo ripetitivo corrente riproduciamo un articoletto da “Il Venerdì”, 1.10.2010. Segnalo, infine, un saggio abbastanza equilibrato e serio di Alfredo Barberis, stampato in “Nuova Antologia”, n. 2152, del 1984, dal titolo “Jacovitti, umorista plebeo”.
Francesco Ragghianti




Nessun commento:

Posta un commento