In
un taccuino di appunti e riflessioni, scritto intorno al 1970, Carlo
L. Ragghianti analizza un ragionamento di Frederick Hölderlin
(1770-1843), poeta e scrittore distrutto da dolorosa passione
e
vissuto poi per un quarantennio nella follia. Riportiamo qui sotto in
“facsimile” lo scritto dello studioso lucchese, con a fianco la
trascrizione.
Siccome,
dopo la sconsiderata Brexit, sono preoccupato dal destino della
patria Europa (cosi mal gestita, così incompresa dall'ottusità dei
singoli popoli dimentichi degli ideali e dei vantaggi di un'
“Unione”) la quale nel prossimo domani rischia di diventare una
sorta di Zolleverein, d'ottocentesca memoria, a favore di una
Germania dominante e di nuovo preda delle sue (ricorrenti!) sirene
barbariche. Cerco, perciò, anche di trovare nei trascorsi i motivi
del presente, onde cercare di intravedere qualche elemento
dell'incerto e paventevole futuro. Tra i documenti che compulso, trovo anche un estratto del 1917 nel quale si ricorda lo
sciagurato poeta, uno dei pochi tedeschi orripilato dai suoi concittadini. E' sì una fonte negativa nell'ambito della mia ricerca, però non si deve nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere (e considerare) contrarietà. Quindi decido di ripubblicarlo - nonostante l'interesse prevalentemente poetico e soggettivo del documento, che ha lampi intuitivi sulla pericolosissima gregarietà germanica - per ricordare oltre l'Hölderlin la tragica guerra mondiale (1914-1918) che punì l'imperialismo tedesco ma distrusse l'equilibrio pacifico e civile del Continente Europa.
Qualche
parola infine sul firmatario dell'articolo pubblicato su “La
lettura”, ott. 1917, pp. 817,818. Oreste Mosca (1892-1975) è stato
un giornalista e scrittore dalla “carriera” emblematicamente
italica, quella dell'arrangiarsi, per capirci. Fu e fece tante cose,
tra l'altro è considerato – lui evidente letterato! – un pioniere
del giornalismo economico, la sua ambiguità (invero comune a milioni
di connazionali di ieri, di oggi e...) risulta inequivocabile dalla
pagina di Wikipedia, dove si legge che collaborò a “ Il Popolo d' Italia ” di Mussolini, però dopo il delitto
Matteotti e le leggi liberticide del 1925 “abbandonò” l'attività giornalistica e aprì con l'amico Dino Fienga, già segretario federale comunista di Napoli, una libreria e una casa editrice; seguono 9 parole equivoche tanto sono imprecisate. Subito dopo c'è l'ultima riga della pagina web dove si legge: “ Dal 1940 al 1943 lavorò per l'EIAR e il Ministero della Cultura popolare”. In piena guerra di aggressione nazi-fascista e alle dirette dipendenze dei vertici fascisti!
F.R.
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