Carlo e Licia

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giovedì 29 aprile 2021

“Gautier e il teatro come visione” di C.L. Ragghianti. Appendice con iconografia, poesie, critica.

Questo secondo contributo di scritti sul teatro di Carlo L. Ragghianti – come segnalato nel precedente post I Goncourt e il teatro dell'11 marzo 2021 – avrebbe dovuto essere il primo secondo l'autore. Ciò non è avvenuto per la momentanea irreperibilità in Archivio dell'edizione originale del saggio, pubblicato in “Letterature moderne”, rivista fondata e diretta da Francesco Flora.

Ebbi il piacere e l'onore di incontrare casualmente e conoscere l'illustre storico e critico nel 1961 (l'anno prima della sua morte) a Bologna, dove avevo portato il babbo per incontri con i compagni socialisti locali. Essendo irreperibili Gnudi e Cavalli, mio padre decise di portarmi a cena nel più rinomato ristorante della mia città natale (Il pappagallo?). Qui trovammo in solitaria abbuffata Flora alle prese ancora con gli antipasti. Ci invitò a mangiare con lui e, saltando gli antipasti, mi associai alla sua serena voracità con particolare entusiasmo; mio padre, come sempre fu parco commensale. Professore vocato com'era, Flora riuscì tra un boccone e l'altro a inondarmi di domande retoriche cui si rispondeva ed altre risposte spiazzanti, spesso facete, dando giudizi anche stravaganti, mai maldicenti. Ebbe solo un momento di mestizia quando mi domandò se da buon goliardo conoscevo e frequentavo in facoltà Andrea Margheri. Certo che lo conoscevo, era anzi il leader nazionale dell'UGI, cui aderivo e rappresentavo nell'Organismo studentesco di Firenze; ignoravo però il legame familiare che li univa (Andrea aveva “sedotto”, parola di Flora, sua nipote lasciandole la conseguente prole). Racconto ciò perché questo ricordo ha rievocato la memoria di Rodolfo Margheri – pittore, incisore e padre di Andrea – e provocato il post che pubblicherò a breve.

Nel citato post sui Goncourt consideravo anche l'importanza e la mole di interventi nel teatro nel pensiero di C.L.R. con l'intenzione di riproporre almeno una parte. In questo saggio le riflessioni di R. dimostrano l'importanza del poeta e romanziere Gautier nello sviluppo della concezione del teatro forma espressiva in senso “visivo”, di fenomeno autonomo non “identificato” nel passato. Scrittori come Gautier, cioè che “in senso proprio” non furono drammaturghi, né coreografi ma contribuirono a intuizioni e sviluppi avvenuti nel Novecento.

Come nel caso precedente dei Goncourt, riporto una documentazione collaterale, che può anche essere non pertinente col teatro ma che è appropriata allo scrittore. Il quale è uno dei grandi poeti del suo tempo, come sostiene il noto storico e critico Gustave Lanson (1857-1934), la cui imponente Storia della letteratura francese (prima ed. 1894) mio padre suggerì d'acquistare piuttosto impositivamente e di conservare in biblioteca, dove tuttora si trova nell'edizione voluta da Leo Longanesi e da cui riproduco le pagine direttamente riguardanti Théophile Gautier. Circa la sua poesia riporto una pagina “divulgativa”, scritta dal giovane G. per il “Musée des Familles” (Janvier 1842).

Della documentazione che ritengo opportuno mostrare propongo inizialmente una serie di ritratti di questo caro personaggio dalla testa leonina, dal corpo di un barilotto di birra, con sogni di spadaccino abile e seduttore.

Quindi tre pagine di Adolphe Boschot dal “Suplément artistique” di “Le Figaro”, di cui ho smarrito la data (primi anni Venti?). Tra gli studiosi e accademici “francesisti” italiani riporto per primo lo scritto La Maupin di Arrigo Cajumi (1899-1955), giornalista, saggista, antifascista gobettiano, amico di Salvatorelli, di Pannunzio e di tanti altri collaboratori de “Il Mondo”. Carlo L. Ragghianti fu ammiratore, talora seguace, talora allievo o amico dei più vecchi, amico dei coetanei e, con tutti loro, aveva condiviso studi, interessi, passioni intellettuali nei confronti dei giganti, o comunque originali antesignani, dell'Esagono, quali per citarne solo qualcuno Flaubert, Hugo, Zola e Anatole France, Tallemant des Reaux … Però, nonostante molti cari e illustri amici e colleghi in comune, tra Cajumi (fiero antipatizzante di Benedetto Croce) e Ragghianti ci fu soltanto reciproca conoscenza, un contatto diretto e uno indiretto. Il 24 gennaio 1942 R. da Modena scrive a C. proponendogli di partecipare alla propria gestione di “Emporium”. Nel marzo 1949 Umberto Segre scrive due volte a R. . circa l'avere da parte di C., già direttore e proprietario della testata “La Cultura”, il consenso perché R. possa intitolare la propria nuova rivista (sostitutiva di “La Critica d'Arte”, che Sansoni non voleva cedergli) “La cultura artistica”. Quanto al resto per Cajuni mio padre era troppo crociano e hegeliano, mentre la sua formazione proveniva da David Hume e dal pragmatismo britannico. Per Ragghianti il Cajumi era un eclettico, colto ma sostanzialmente inconcludente. In comune avevano una sconfinata ammirazione per Camillo Cavour, non credo – però – per gli stessi motivi. Vittorio Santoli (1901-1971), dalla fine della guerra per alcuni anni molto vicino a mio padre (passammo non a caso – mitiche per noi bambini – le estati 1948-1950 a Bellavalle -Pt-, dove i Santoli erano la famiglia più importante della comunità), come presentatore del libro emblematico di Cajumi Pensieri di un libertino (1950) scrive: “Scrittore aforistico e frammentario, egli infatti è estremamente deciso e preciso nelle sue reazioni. E' questa caparbia coerenza, che così spesso finisce nella chiusura, a irritare ma anche ad attirare il lettore; a dare incisività al suo giudizio e nerbo al suo stile: acre, virile. / Scritti sul tramonto (come ora vediamo) di una ricca stagione di critica letteraria e anzi di un'intera civiltà, questi Pensieri ci ripropongono il presupposto e l'essenza di ogni vera critica: un gusto educato e preciso, coraggioso nel giudizio”.








Personalmente non posso condividere l'anticrocianesimo viscerale e un po' snobistico, però mi trovo ad agio nello stile e nella “aggressività” della forma mentis di Cajumi. Ritengo perciò di allestire un post di e su Cajumi nel prossimo futuro.

L'altro contributo italiano, conciso e chiaro, è l'articolo Gautier. Il mago perfetto delle lettere francesi (“La Repubblica”, 4 aprile 2004), scritto da Daria Galateria (1950), studiosa accademica di precoce e meritata fama anche tra i “profani” come il sottoscritto. Qualche anno fa apprezzai molto la postfazione al libro L'Ussaro sul tetto di Jean Giono (1895-1970), formidabile racconto con radici nel romanzo storico ottocentesco, dimostrandosi degno erede del Capitan Fracassa di Théophile Gautier e de I Tre Moschettieri di Alexandre Dumas père.

Concludono il post due Etudes Poétiques dal “Musée des Familles” (1841) e alcune poesie della Anthologie de la poésie lyrique francaise, curata nel 1950 per Sansoni editore da Tommaso Landolfi e da Mario Luzi.

F.R. (19 marzo 2021)


N.d.R. - Nella successiva riedizione del testo nel volume Arti della visione II - Spettacolo (Einaudi, Torino 1976) nell'ultima pagina dello scritto, fine penultimo periodo, dopo applausi compare 1. A piè di pagina segue il testo della nota 1: "Ho notato con piacere che questo bellissimo mimo è stato introdotto nel film Les Enfants du Paradis, ottima realizzazione di Jacques Prévert e di Marcel Carné, attore principale Jean-Louis Barrault".


Poesie 
da "Anthologie de la Poésie lyrique Francaise" a cura di Tommaso Landolfi e Mario Luzi. Sansoni, Firenze, 1950.


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