Carlo e Licia

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venerdì 4 maggio 2018

L'Arte Moderna in Italia, 1915/1935 - 6. SAVINIO, TROMBADORI, MONACHESI, FONTANA, MUNARI, FRANCALANCIA, RUGGERI.


Post precedenti:
1. 30 dicembre 2017
Presentazione di Carlo L. Ragghianti.
Criteri del Catalogo, Bibliografia generale. Comitato d'onore; Comitato esecutivo; Comitato tecnico; Comitato di consulenza nazionale; Consiglio A.T.T. di Firenze; Consiglio de “La Strozzina”;  organizzatori percorso museografico; segreterie; fornitori dell'esposizione.
2. 31 dicembre 2017
Criteri assegnazione schede critiche; criteri per la consultazione del Catalogo e quelli distintivi di questa rievocazione.
Artisti: ALCIATI, Nino BARTOLETTI, Pasquarosa BARTOLETTI, BIASI, BONZAGNI, BOSIA, BUCCI, CHECCHI, COSTETTI, FERRO.
3. 28 febbraio 2018
Artisti: GALIZZI, GEMITO, GRAZIOSI, Piero MARUSSIG, OPPI, PENAGINI, PRENCIPE, SPADINI, WILDT.
4. 25 marzo 2018
Artisti: BACCI, DUDREVILLE, GOLA, MAGRI, PARESCE, RAMBELLI, BARTOLI NATINGUERRA, GUIDI.
5. 15 aprile 2018
Artisti: BARTOLINI.




Durante una ricerca ed un controllo bibliografico bisogna compulsare gli indici di libri, riviste (sempre che siano stati fatti coscienziosamente, non coi piedi). Capita altresì di incontrare in un indice il nome di Savinio e di perdere tempo a ri-leggere un testo già indagato per concludere che in quel caso si tratta soltanto di una citazione all'interno di un elenco siffatta: “...Erano state radunate opere di Afro, Cagli...Morandi, Paulucci...Savinio, Severini...”mentre nel resto del corposo saggio l'artista non è più nominato. Questo è successo riguardo a Savinio opportunamente citato nella voce 67/01 
 riguardante il Catalogo Arte Moderna in Italia 1915-1935 e nel caso suddetto (38/07) nella Bibliografia degli scritti – carente, come è noto – di Carlo L. Ragghianti. Siccome non ho voglia né tempo, soprattutto, da perdere per cercare negli scritti di mio padre ovvi e necessari riferimenti all'opera di questo individuo discutibile, anche se – al di là dei pregi culturali e storici – meno nefasto del fratello De Chirico, ricordo soltanto che in “Selearte” (n.12, mag.-giu. 1954 a proposito della Biennale di Venezia, p.55) Savinio è presente nel testo e con 2 illustrazioni che riporto qui di seguito:
L'ineffabile Ennio Flaiano, curiosamente in rapporti personali più spontanei e cordiali con C.L.R. di quelli collegati solitamente con altri personaggi dell'ambiente de “Il Mondo” di Pannunzio, aveva appioppato a Savinio la derisoria definizione di “brutto addormentato nel basco” (si veda la sua fotografia col manichino). Formalmente 
professionale un precedente ritratto opera di Carlo Carrà (1917) lo mostra “intellettuale” ventiseienne; mentre nell'Autoritratto, contenuto nel ricordo di Giuseppe Galasso, il poliedrico Savinio dimostra più dei suoi 39 anni. Non pubblico un ritratto di Bruno Caruso perché insolitamente fiacco, inespressivo.


La lettera qui a destra riguarda il periodo in cui mio padre si spese “indarno” per dotare la ingrata città di Firenze di un Museo del Novecento italiano degno della sua – per tanti versi abusiva – fama di culla mondiale della cultura. Devo riconoscere a Raffaele Monti, un adolescenziale amico considerato esemplare ma profondamente deludente e inaffidabile nella pratica della maturità, che comunque in quel periodo cercò, nei suoi ben noti limiti, di sostenere le iniziative di Ragghianti. Non è poco, se si pensa al comportamento di tanti altri “prossimi” al Maestro che lo avrebbero dovuto e potuto fare con maggior continuità ed efficacia. Naturalmente questa prestigiosa opportunità culturale sfumò nel nulla. Mi corre l'obbligo di ricordare che qualche anno fa nella città matrigna di Dante Alighieri è stato finalmente aperto un “Museo del Novecento”, basato cospicuamente sulle “antiche” acquisizioni di Carlo L. Ragghianti e specialmente quella del 1967 (Museo Arte Contemporanea) e del 1970 (Collezione Alberto Della Ragione). A entrambe queste iniziative mi onoro di aver collaborato pro bono, cioè gratuitamente, per consentire alle magre disponibilità di permettere le necessarie attività.

La poliedrica (mi devo ripetere, anche se non sono responsabile se questo aggettivo è adeguato a una generazione di persone colte e capaci di esprimersi su vari registri; gente, cioè, che oggi mi pare latiti) personalità di Savinio, forse poco nota alla nostra contemporaneità, credo possa essere qui sopra illustrata con equilibrio da Giuseppe Galasso, uno storico che avrebbe dovuto e potuto essere più concomitante con Ragghianti. Ricordo anche, però non riproduco, una scheda di Fortunato Bellonzi scritta per “2a Biennale Internazionale di Grafica”, Firenze 1970. Prima di concludere un ricordo aneddotico collegato alla 27a Biennale di Venezia (1954) all'interno della quale per un paio di giorni accompagnai mio padre. La sala dedicata a Savinio, illuminata anche troppo dalla luce del sole, con tanti/troppi quadroni incombenti sullo spettatore mi impressionò moltissimo. Negativamente, a vero dire, perché mi sentii oppresso, quasi aggredito, da deteriori copertine di “Urania” (che allora leggevo) nelle quali gli extraterrestri erano deformi, chiaramente ostili, teutonicamente arroganti. Della miriade delle altre opere esposte ai “Giardini” non rammento niente, fatta eccezione per la formidabile mostra di Courbet, artista eccelso e sentimentalmente vicino come compagno e perseguitato per l'abbattimento della Colonna Vendôme (simbolo del 
potere clerico-borghese e napoleonico) dalla reazione succeduta alla Comune di Parigi. Mutatis quello che accadde qui in Italia nel 1946 con la sconfitta della Resistenza. In quelle splendide sale, il babbo incontrò, non so se per caso o per appuntamento, Geno Pampaloni (allora Direttore generale della Olivetti), trascorrendo le successive due ore circa ad illustrare in modo veramente magistrale e di contenuta concitazione la pittura di Courbet ad un astante “Pampa” compunto e attento, forse un po' soggiogato. Purtroppo ricordo solo qualcosa di questa “performance” didattica immersa in un'aurea quasi mistica. Sia perché sono trascorsi 64 anni, sia perché dovetti sorbettarmi ed intrattenere l'importuna “Colonnella”, come in seguito seppi esser soprannominata la moglie di Pampaloni, solitamente dedita a ben altre mondanità e colonna delle sale del Tennis Club (quando risiedette a Firenze). Concludo questa scheda fornendo una “novella”, a mo' di esemplificazione della vena scrittoria di Savinio, da certuni più considerato come letterato che come pittore, scritta e disegnata per “La lettura”, 1942. Beato lui! La guerra, il fascismo, i morti, la fame, la borsa nera, il gelo delle Steppe Russe, l'inesorabile sole del deserto ecc., sembrano estranee, più che lontane.
F.R. (24 marzo 2018)
Carlo L. Ragghianti conobbe di persona abbastanza bene Francesco Trombadori durante la sua permanenza a Roma (1933-38). Inoltre si legò d'amicizia e poi indirizzò alla critica e alla politica il figlio Antonello, col quale ebbe per tutta la vita un'assiduità contrastata a causa della adesione fideistica del giovane al P.C.I. In proposito si veda il n.18 di “Selearte”, IV serie postato in questo blog il 15 settembre 2017 e – tra non molto – gli indici di questa serie della rivista, già compilati. Spero, quasi un secolo dopo, che mio padre fosse spesso invitato a pranzo o a cena in casa Trombadori dove, almeno a guardare qui sotto l'autoritratto di Amerigo Bartoli con Francalancia e il pasciuto e panciuto pittore, si doveva mangiare bene e soprattutto abbondantemente. Lo ricordo perché Ragghianti pativa letteralmente spesso la fame, mentre certi suoi coetanei illustri e benestanti lo consideravano soltanto un fachiro che si nutriva d'acqua. Era vero, ma non per misticismo, non per sport, ma per l'indigenza di un non tesserato al P.N. Fascista! Criticamente non mi risultano scritti di C.L.R., salvo un fugace “Trombadori maiolicato” (Indicazioni sulla pittura italiana contemporanea, “Leonardo”, n.3, 1936, p.76). Prendo lo spunto per una breve divagazione dalla scheda di Ragghianti su Trombadori in questa sede per rimarcare, sia su questo artista che su altri, che “l'attività...sugli anni 1918-1935 è rimasta in gran parte 
irreperibile, malgrado ripetute ricerche”. Ciò dà adito alla considerazione valida per non pochi artisti presenti in questa memorabile esposizione. Fu effettivamente difficoltoso in certi casi rintracciare opere dell'inizio del secolo e degli Anni Trenta. (Il caso Severini, ad es., è notissimo perché molte sue opere andate disperse furono dall'artista “rifatte” posteriormente; cioè a scopo di documento non di vera truffa, come su Il caso De Chirico dimostra e documenta Ragghianti (1980, ed. Critica d'Arte). Nondimeno in diversi casi si trattò soprattutto di omissioni e depistaggi degli artisti (e poi degli eredi) che volevano celare o negare i loro trascorsi fascisti e rinnegare acriticamente parte del loro percorso creativo. (Ricordo ad es. Corrado Cagli, che collaborò alla fondazione della fascistissima Littoria-Latina con altri non sempre rammentati come collaboratori del regime. Altresì ricordo la disperazione di Raffaele Monti e di altri coautori del Catalogo della Mostra per le infruttuose, spesso ostacolate, richerche per la mostra '15-'35 di opere d'arte di cui c'era certezza di esecuzione ma anche volontà di non farle trovare). Qui sotto chiudono questa scheda due lettere del pittore al critico: quella del 8.9.1952 rigrazia per l'attenzione in “seleArte”; quella del 11.2.1955 attesta abbastanza chiaramente il tratto amichevole e di lunga data del loro rapporto.

Il 5 settembre 1959 Monachesi scrive a C.L. Ragghianti chiedendogli di aiutarlo a rintracciare alcune opere della sua formazione andate disperse. Sulla base e in conseguenza di questo invito, nella scheda scritta per la mostra C.L.R argomenta soprattutto di questo precoce aspetto dell'artista (si tenga presente nato anche lui nel 1910). D'altro canto la verve fresca e spontanea sostenuta da “il tratto improvviso e veloce del culmine di una impressione”, come scrive il critico a proposito dell'incisione per la cartella “Galleria grafica contemporanea – 50 incisioni originali di Maestri italiani” (Firenze 1964), caratterizzerà tutta l'attività di Monachesi. E' del 1952 la lettera con cui il pittore si congratula – anche per conto della sezione romana del sindacato – per la pubblicazione della rivista “seleArte”. Riproduco quindi il dipinto La clownessa, che Monachesi mandò per la Mostra iniziale del “costituendo” Museo d'Arte Contemporanea di Firenze (feb. 1967) e che adesso è proprietà del recentissimo Museo del Novecento.
Circa la mostra presso La Strozzina di Firenze, 1953-54, per il momento non ho rinvenuto in Archivio altro che documenti amministrativi e organizzativi, non l'elenco delle opere o altre manifestazioni pertinenti l'arte di Monachesi. L' impegno civile dell'artista, già neofuturista (e fascistoide?), nella stagione democratica è dimostrato dalla cartolina di adesione all' “appello” per la tutela e la promozione del patrimonio artistico e storico dell'Italia, promosso da “Critica d'Arte” e che gestii per conto di mio padre. Concludo illustrando l'opera matura di Monachesi con una pagina del Catalogo d'Arte giuntomi proprio stamattina da parte del vecchio e caro amico Piero Pananti. Non è per fargli réclame, spero proprio non ne abbia bisogno, e comunque l'asta sarà pregressa quando questo post sarà visibile. Colgo così l'occasione di mostrare opere, se vogliamo ordinarie ma comunque, dato l'artista, di qualità; ed anche perché nell'attuale “circolazione” artistica Monachesi mi sembra non abbia la visibilità che merita.
F.R. (27 marzo 2018)

Non so molto del rapporto personale umano e professionale tra C.L. Ragghianti e Lucio Fontana. Per certi versi era disteso, di sicuro simpatetico e condiviso, nel quale la stima faceva da collante sulle differenze caratteriali e di percorso di vita. L'interesse e la curiosità di C.L.R. per le realizzazioni ricche di meccanismi e ritrovati tecnologici – sempre purché espressioni originali – erano abbastanza notorie (anche se pochi sanno – cioè sapevano – che da bambino smontava sistematicamente gli orologi ed altri meccanismi per accertarne il funzionamento). Per quanto riguarda Fontana ricordo che ci fu un attimo di panico quando mio padre voleva “aprire” il retro di Attesa (stupendo taglio donato per il costituendo Museo di Arte Contemporanea di Firenze) per verificare la “macchina” tensiva del quadro. Ricordo che Pier Carlo Santini, in visita (mi sembra abitasse ancora a Milano) lo convinse a desistere dicendogli che avrebbe organizzato un incontro con l'artista proprio per quel motivo. Però Fontana morì di lì a poco nel 1968. Circa Attesa penso che la scheda di Marco Scotini scritta in occasione dell'importante Catalogo da lui organizzato e curato per la mostra C.L.R. e il carattere cinematografico della visione (Charta, Milano, 2000, p.322), sia sostanzialmente indicativa al riguardo. Non mi risultano altre analisi di C.L.R. oltre agli scritti indicati nella Bibliografia, vale a dire: le schede della mostra 1915-35, e la p.41 di “seleArte” (n.12, 1954) nell'ambito della 
monografia dedicata alla 27a Biennale di Venezia. Pubblichiamo anche alcune lettere: in quella del 24.10.1954 l'artista ringrazia il critico; da notare che si davano ancora del lei. Nel 1966 si danno del tu, rodato, confidenziale, come si vede dalle lettere del 22 e 29 nov. in cui nella prima Fontana destina un'opera importante al Museo e nella seconda auspica lo svecchiamento della concezione di arte a Firenze. Un paio di anni prima Fontana aveva partecipato (con l'incisione che riproduciamo) alla cartella “Galleria Grafica Contemporanea. 50 incisioni originali di Maestri Italiani, 1964”, promossa da Ragghianti per sostenere l'assistenza agli spastici. In calce all'immagine è riportato il commento “definitorio” di R. L'estrosità di Fontana è anche documentata da due fotografie: una del 1961 lo mostra designer di moda, l'altra lo rappresenta quale distinto dandy poco prima del decesso. Archivisticamente la corrispondenza superstite tra l'artista e il critico è di modesta entità, perché Ragghianti si recava abbastanza spesso a Milano, ed anche perché gli autografi di artisti famosi sono tentazione economica e feticistica diffusa. Trascrivo, infine, un curioso dettaglio riguardante F. da una lettera di R. indirizzata a Dell'Acqua – segretario della Biennale di Venezia – in data 10 maggio 1959: “Quanto al Fontana, a titolo personale posso dirti che per me va benissimo, e data anche la sua situazione, bisogna lasciarlo fare come vuole”.
 F.R. (27 marzo 2018)


La lunghissima ed articolata attività di Bruno Munari e la sua continuità essenziale nel tempo avrebbero suggerito di presentare tutto il suo lavoro, considerato attraverso la penna di C.L. Ragghianti, in un post a sé stante della serie “Arte in Italia 1915-1935”. Si dà però anche il fatto, come si verifica in tanti artisti, che ci sono momenti di prevalente espressività, altri di abbandono di un determinato aspetto creativo o di stanchezza. Per il primo motivo, nel caso di Munari si possono distinguere alcune fasi con interessi particolarmente praticati e approfonditi rispetto ad altri abbandonati o tralasciati. Dato poi che il periodo prebellico si caratterizza per una speciale dedizione alla grafica e in particolare per la collaborazione a “La lettura”, rivista settimanale del “Corriere della sera”, che è meno nota, direi oggi dimenticata, ho scelto di pubblicare gli interventi postbellici di Ragghianti su Munari, soprattutto riguardanti il design, in altra occasione. Adesso colgo l'opportunità per rendere in un certo senso noto un progetto concepito e avviato da C.L. Ragghianti, concluso e realizzato parzialmente con la sola pubblicazione del Catalogo (Arte in Italia 1935-1955, Pacini e U.I.A., 1992). Questa iniziativa – che voleva e doveva essere il seguito della Mostra 1915-'35 – non fu pienamente compiuta per l'inerte gestione propulsiva dell'Università Internazionale dell'Arte (dal 1987 “orfana” di C.L. Ragghianti) e per la non collaborazione degli enti fiorentini, specialmente dell'Amministrazione Comunale.
Questi enti pubblici già dagli anni '80 in poi divennero succubi propagatori di iniziative privatistiche e comunque commerciali prive di spessore critico e formativo ma soddisfatte da cornici mediaticamente rispondenti alla mitologia dell'arte. Di quegli anni ricordo a Firenze, a mo' d'esempio, mostre come quelle di Picasso erotico, quella di Mirò contenente acriticamente soltanto i “prodotti”del Museo catalano a lui dedicato, un'esposizione di Klimt che aveva già girato mezzo mondo. Va ricordata, invece, tra queste rassegne generalmente aproblematiche e raccogliticce, la straordinaria Tesori dell'antica Nigeria, curata nel 1984 dall'Università Internazionale dell'Arte di Firenze, resa possibile certamente anche per motivi propagandistici e turistici, ma comprendente autentici capolavori inseriti in un contesto storico pertinente e illustrate da un allestimento museografico, secondo i dettami di Carlo L. Ragghianti. La scheda del Catalogo 1935-1950 riguardante Munari è firmata da Pier Carlo Santini, primo allievo universitario ufficiale di mio padre e all'epoca primo Direttore della Fondazione Licia e Carlo L. Ragghianti sita in Lucca. Non si dimentichi che Santini era considerato il più autorevole storico e critico del design non solo italiano e non solo in Italia. Per queste considerazioni ripropongo qui di seguito questo scritto.
Forse non è inopportuno riportare le considerazioni che Bruno Munari scrisse circa le proprie mitologiche macchine inutili su “La Lettura” (luglio 1937) rivista supplementare del “Corriere della sera”, come oggi lo sono “Sette” o il “Venerdì” della decadente “Repubblica” fondata dallo disvelato collaborazionista Eugenio Scalfari. Oggi mi sembra di capire dalle cronache che una recente mostra sull'arte all'epoca del fascismo tende implicitamente a rivalutarlo per la “libertà” che il regime concedeva agli artisti. Un po' come accadde negli anni '80 con la milanese Anni Trenta del sindaco Tognoli. Prospettiva capziosa ed errata : è come dire che sotto il fascismo i treni arrivavano in orario, tacendo però quel che sarebbe capitato di certo ai responsabili se il ritardo ci fosse stato. Proprio per evitare questo tipo di equivoco o di interpretazione deviante che sul piano culturale autenticamente figurativo Ragghianti realizzò questa mostra Arte Moderna in Italia 1915-1935 (si riveda la Presentazione nel primo post di questa serie, pubblicato il 30 dicembre 2017). Certo resta il problema politico riguardante i singoli individui, rimane 
la dicotomia tra fascista (o comunista pre-post bellico) e libertà di espressione artistica, indagine che va affrontata distinguendo pratica e analisi critica. Sironi fu fascista convinto, ma è anche un artista autentico; così Rosai, addirittura caimano del Piave e poi squadrista, che è anche un artista autentico la cui opera però è inficiata da dipinti autografi cialtroneschi, da stanche ripetizioni che non sono arte (nonostante il mercato sorvoli, accetti e assolva ogni infamia). Anticipo che presto spero di riproporre gli scritti, soprattutto da “seleArte”, circa questa eterna dicotomia che riguarda Arte e Propaganda, concetti inconciliabili per insita contraddizione in termini. Di Bruno Munari, infine, nei secondi anni Trenta grafico ufficiale de “La Lettura” riproduciamo anche qualche pagina e qualche copertina, scelte tra la sua ricca presenza autografa sulla rivista. Un'altra attitudine coltivata da Munari è stata la fotografia in tutti i suoi aspetti sia creativi che documentari, sia come applicazione e elaborazione di fotomontaggi ludici, grafici, pubblicitari, ecc. Da un imprecisato fascicolo di “Photo” illustro due pagine di fotografie scattate dall'artista.
A sinistra, pagina novembre 1936. A destra, pagina del gennaio 1937.
A sinistra, pagina del maggio 1937, a destra pagina giugno 1937.
A sinistra, pagina novembre 1938. A destra, pagina del marzo 1939.


Non so praticamente nulla dei rapporti personali intercorsi tra C.L. Ragghianti e questo uomo divenuto artista da adulto realizzando una vocazione con la volontà. Quel che posso intuire è che lo conobbe e apprezzò tramite la famiglia Briganti con cui a Roma mio padre ebbe intensi rapporti di amicizia. Soprattutto con Aldo, antiquario rinomato e importante, Ragghianti ebbe anche motivi di gratitudine sia perché gli affidava qualche expertise, risolutiva per la sua sopravvivenza alimentare, sia perché evidentemente talvolta lo sfamava anche invitandolo a casa. Da considerare poi che il giovane critico da questa assidua frequentazione trasse molti insegnamenti pratici circa l'antiquariato nelle sue varie forme, compresa la conoscenza di tutto ciò che ruota intorno all'ambiente: falsari, restauratori, tecnici, esperti in particolari tecniche e personaggi vari tra cui evidentemente anche Ruggeri. Da quel che ho ricavato dalla corrispondenza (tuttora inedita) tra i coniugi Ragghianti fu soprattutto il padre Aldo che volle affidare la formazione storica e critica del giovanissimo Giuliano Briganti al
giovane studioso antifascista. E' piuttosto insolito che R. si relazioni così diffusamente sull'opera di un artista praticamente esordiente (avvenne anche nel 1967, quando “scoprì” lo scultore Vangi) nello scritto La terza quadriennale d'Arte in Italia (in “La Critica d'Arte”, a.IV, n.1, gen.-mar. 1939, pp.103-107), testo che riportiamo assieme alle riproduzioni delle sculture relative. Penso che da un lato con questa presentazione implicitamente scaturisse la riserva sull'originalità degli scultori ufficiali e canonici (Messina, Berti, Canonica – appunto – ecc.); da un altro lato può trattarsi anche di uno spunto metodico come avviene nella stessa sede con Manzù, di cui si tratta ampiamente dissertando sull'arte di Medardo Rosso in una dimostrata intrinseca relazione strutturale. Successivamente il critico dedicherà allo scultore una “vetrina” nel fascicolo speciale dedicato alla 28a Biennale di Venezia (“selearte”, n.24, 1956, p.44). Non riproduciamo questo contributo perché esclusivamente di illustrazioni, già qui presenti nella documentazione visiva.
F.R. (29 marzo 2018)

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