Carlo e Licia

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giovedì 10 maggio 2018

Arte dell'Africa nera, 1 (1949-1959)

Temo, permanendo la diffusa idiozia dell'uso di un “linguaggio politicamente corretto” e la suscettibilità delle persone di colore (da parte loro con un fondamento legittimo) che sia necessario ancora una volta giustificare in relazione all'arte la parola “negra” e per gli autori delle opere la parola “negro”, soprattutto in testi scritti nel secolo scorso. La derivazione dal latino niger in lingua italiana si è risolta già secoli fa in negro, appunto, usato normalmente e senza intento razzista. Certo i minus habentes che razzisti lo sono hanno sempre usato il termine in senso spregiativo, connotandosi come bestie che risultano purtroppo convivere con gli esseri umani. L'uso del vocabolo sostitutivo ed equivalente nero in italiano non ha molto senso o ragion d'essere; ma lo possiamo usare volentieri nei nostri commenti e nelle nostre note introduttive. Ben altro significato ha in inglese black (nero) da nigger, volutamente offensivo nei confronti di esseri umani di colore. (Pensa che gioia se i non bianchi ci chiamassero non solo “viso pallido”, ma anche “bianchiccio”, “slavato”, “fantasma”, “ectoplasma”, cioè la lava biancastra dei medium in trance!). Scusandomi per questo “cappello”, reso necessario d'altronde dalla protervia interrazziale artificiosamente praticata per nascondere brutture inconfessabili e per consentirne altre anche peggiori, dopo quasi un anno dalla pubblicazione del post Il negro nell'arte europea (21 giugno 2017) riprendiamo la ristampa – il più possibile cronologica – degli scritti e degli interventi di Carlo L. e Licia Ragghianti che riguardano soprattutto la creatività espressiva figurale

delle popolazioni dell'Africa nera. Due precisazioni prima di entrare nei dettagli: 1) il citato post Il negro nell'arte europea è stato cronologicamente anticipato rispetto agli altri scritti perché ha per argomento come gli artisti europei hanno raffigurato nei secoli gli africani neri; 2) L'Africa settentrionale, dal Marocco all'Egitto, non viene considerata in questa sede perché le popolazioni ivi viventi non sono prevalentemente nere, e la loro storia e loro espressività artistica sono per lo più islamiche, mentre l'archeologia è romana, autoctona (ad es. Cartagine, i Tassili ecc.). Quanto all'Egitto, i più di tremila anni preromani costituiscono una grandiosa civiltà a sé stante. Di conseguenza i numerosi scritti dei coniugi Ragghianti saranno pubblicati in appositi post con sequenza il più possibile cronologica. Questo primo post della serie Arte nera comprende gli scritti di Carlo L. R. e poi di seguito quelli di Licia Collobi R. pubblicati fino al 1959 compreso. Il loro reperimento è basato sulle rispettive Bibliografie degli scritti, di conseguenza possono esserci sfuggiti articoli il cui titolo non abbia consentito la registrazione appropriata nelle suddette guide bibliografiche. Per fare un esempio, nella rubrica “collezionista” delle due serie di “SeleArte” sono senz'altro riprodotte opere d'arte africana non registrate come tali bensì Yoruba o Gabon ecc.; altri casi non sono da escludere, ragion per cui casomai “a dio piacendo” – come intercalava sempre Mario lo Strambi – tra qualche anno li potremo riprodurre o darne almeno l'elenco.



CARLO L. RAGGHIANTI

Arte negra”, pubblicato nel 1956 ne Il pungolo dell'arte (Neri Pozza, Vicenza, pp.37-47) è stato scritto nel 1949 e quindi rappresenta il primo scritto di C.L.R. sull'arte dell'Africa nera, anche se si dipana in parte notevole sull'intricato e importante fenomeno della partecipe attenzione di tanti artisti europei dalla fine del sec. XIX agli inizi del sec. XX.
Classici negri (“SeleArte”, n.2, sett.-ott. 1952, pp.43-48) è un breve importante saggio che considera soprattutto la storia e la cultura dell'Africa centrosettentrionale atlantica, con particolare riguardo all'attuale Nigeria – della quale più avanti riproponiamo anche un notevole saggio di Licia Collobi – regione nodale per l'arte africana
di cui Ragghianti si occuperà ancora negli anni successivi. Lo scritto si conclude con parole che dovrebbero essere sempre ben presenti alla mente quando si parla o scrive di arte: “...bisogna ricordarsi, alla fine, che l'arte non nasce dal nulla, anzi sempre nell'animo dell'uomo storico, ma che è pur sempre un miracolo nuovo dello spirito che crea”.
Dalla “corrispondenza” con i lettori (“SeleArte”, n.4, gen.-feb. 1953, pp. 3,4) è tratto questo terzo documento, nel quale si ricorda che “l'accostamento di alcuni artisti moderni all'arte negra non è stato un fatto futile...”.


Ancora arte negra (“SeleArte”, n.16, gen.-feb. 1955, pp. 59-60) recensisce una esposizione presso il Brooklyn Museum di New York.
Plastica negra (“SeleArte”, n.17, mar.-apr. 1955, p.34) è un rendiconto del volume di E. von Sydow Afrikanische Plastik (1954); nello stesso fascicolo n.17 alle pp. 48-49, C.L.R. recensisce La signification de l'art nègre (1955) di Madeleine Rousseau.
Nel n. 25 di “SeleArte” (lug.-ago. 1956, p.10) si recensisce Bible de la sagesse Bantou (Paris, 1955) che illustra cultura, religione e filosofia delle circa 400 etnie africane centrosettentrionali che si esprimono con questa lingua.  

Nazioni negre e cultura (“SeleArte”, n.25, lug.-ago. 1956, p.12) esamina alcuni aspetti esemplari della presa di coscienza che si stava sviluppando nei popoli africani in via di ottenere o conquistare l'indipendenza sulla scia del volume Nations nègres et culture di C.A. Diop.
Ancora scultura africana nell'analisi di Denise Pauline (1956) in “SeleArte” n.28 (gen.-feb. 1957, pp.44,45).


Africa nera è un saggio comparso su “Criterio” (n.4, aprile 1957) nel quale C.L.R. analizza la storia e la civiltà dell'Africa nera in rapporto ai singoli paesi in fermento o in guerra per ottenere l'indipendenza dai colonialismi. Spunto di partenza sono le Fiabe africane che Einaudi (1956) pubblicò in un'antologia a cura di Paul Radin; poi aspetti antropologici, sociologici e culturali per cui Ragghianti ricorda anche che “L'illuminazione di questi atteggiamenti nella loro sorgente di cultura può, intanto, aiutare a meglio comprendere le azioni politiche in corso”.



Scultura africana. Col rendiconto della mostra presso il Musée de l'Homme di Parigi di sculture del XIII secolo recentemente scoperte a Ifé de B. Fagg si chiude questo primo ciclo degli scritti individuato fino al 1959 sull'Africa nera di Carlo L. Ragghianti.



LICIA COLLOBI RAGGHIANTI

Nel 1956, anno in cui a luglio partorì Anna, la quarta figlia dopo Francesco, Rosetta e l'altro figlio, Licia Collobi andò in pensione anticipata, lasciando la direzione della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Palazzo Pitti. La facilitazione legislativa che consentiva questa possibilità ha sempre imbarazzato Licia C.R., l'ha fatta sentire in colpa nei confronti degli ideali di giustizia e di uguaglianza in lei vivissima presenza. D'altro canto l'opportunità legittima, quasi sollecitata, era veramente conveniente per una donna (tra l'altro di salute cagionevole) con quattro figli di cui uno in vistosa crisi adolescenziale e una neonata prematura reduce da due mesi di incubatrice; un genitore zuzzerellone sul “groppone”; una casa/studio enorme e isolata sopra le cliniche di Careggi da mandare avanti gestendo gli aiuti domestici; l'ufficio di “SeleArte” e quello di “Critica d'Arte” da gestire, indirizzare, organizzare; un marito “importante” cui pianificare le assenze (Università a Pisa, Adesspi a Roma, viaggi di studio, ecc.) e le presenze in Firenze con quasi quotidiani ospiti al desco familiare a pranzo e/o cena di tante personalità di rilievo, quasi tutte amiche, ma tante “diplomatiche” anche assai faticose ed onerose; un campo di un ettaro e mezzo coltivato con l'ausilio determinante di Mario lo Strambi, con 200 ulivi e tanti, tanti fiori di cui organizzare le cessioni ai fiorai o grossisti. E altro ancora che non ricordo, per stanchezza mnemonica. Certamente questa legge dei 19 anni, 6 mesi e 1 giorno (che in realtà in molti casi si riduceva fino ai 12 anni effettivi grazie a servizio militare, riscatto – gratuito allora – della laurea ecc.) fu iniziativa sciagurata. Congiunta, poi, alle regalie verso agricoltori, commercianti, artigiani ecc. mandati in pensione a milioni senza aver versato una lira di contributi, il regime democristiano ha determinato una vera catastrofe di deficit, quello che sta ricattandoci oggi con decine di migliaia di euro pro-capite di disavanzo e debito soprattutto col resto del mondo (dei ricchi che vivono di rendita, delle finanziarie che li rappresentano). Allegria, per il bel regalo, cari giovani! Andando in pensione mia madre poté finalmente dedicarsi con qualche “agio” ai propri studi e alla collaborazione con le riviste di famiglia. 

Fino a quel momento Licia C.R. aveva partecipato a “SeleArte” soprattutto come coautrice di alcuni saggi, come traduttrice (tedesco e lingue slave soprattutto) di base per C.L.R., brevi recensioni “tappabuchi”. Alla “Critica d'arte” condirettrice (dal 1954 al 1963 redattrice unica; dal 1964 vicedirettore) svolse sempre una notevole attività di indirizzo (rubrica “SeleArte”) e gestione della redazione; così con lo Studio Italiano di Storia dell'Arte, anche quando diventò soltanto l'ufficio in città di Ragghianti. Tornando a “SeleArte”: dal 1956 Licia C.R. cominciò a impaginare totalmente la rivista, fino allora disegnata sommariamente da C.L.R. e realizzata graficamente dal 
proto Vallecchi (Mecacci, credo). Via, via nel giro di un anno mia madre accentrò su di sé tutte le incombenze importanti del bimestrale, fino a diventarne la scrittrice di praticamente tutti i testi. L'argomento Africa nera fu fin dagli esordi della rivista esplorato da Licia C.R. in concomitanza agli studi significativi sull'Africa romanizzata e l'Egitto archeologico. Difatti nel n.7 di “SeleArte” (lug.-ago. 1953, p.9) compare questo intervento sull'Arte Yoruba, che ritengo fosse all'origine una scheda orientativa per il saggio di C.L.R. Classici negri (n.2, 1952; non n.3 come compare in questa sede per evidente errore mnemonico del correttore di bozze).

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Arte negra (cit. n.15, nov.-dic. 1954, p.50) relaziona un'esposizione londinese d'interesse prevalentemente etnografico con tema “Gli europei visti dagli indigeni”. Data la banalità sconfortante di questo tipo di approccio all'arte e l'implicito razzismo di quell'indigeni, mi permetto di affiancare al testo una coeva vignetta umoristica che sfotte l'eurocentrismo.



In Angola si analizza l'architettura coloniale portoghese, intrinsecamente collegata alla civilità degli autoctoni oppressi (“SeleArte”, n.17, mar.-apr. 1955, p.48).
Colleçȃo Etnografica. Museo de Angola. (“SeleArte”, n.28, gen.-feb. 1957, p.12) relaziona sull'importante istituzione e sulla sua consistenza, allora tra le più cospicue del continente (Egitto escluso).



In Africa (“SeleArte”, n.34, gen.-feb. 1958, p.51) si ricordano sia la rivista svizzera “Du”, encomiabile soprattutto allora per l'eleganza della grafica e la dovizia del materiale fotografico e per l'eccellenza della stampa e delle illustrazioni prevalentemente a colori. Tra i quasi sempre straordinari reportages, eccellevano quelli di Emil Schulthess (1913, Zurigo – 1996) che è stato un fotoreporter tra i più originali e sorprendenti della metà del Novecento. Nella pubblicazione in lingua tedesca (con riassunti in inglese) curatissima era persino la grafica della pubblicità, sorprendente per impatto visivo e raffinata ricercatezza.


Ancora Angola (“SeleArte”, n.41, mag.-giu. 1959, p.51) testo in cui si relaziona circa il Folklore e le espressioni religiose autoctone. Ricordo che nella “biblioteca” degli invii di pubblicazioni per recensione sulla rivista la presenza della colonia portoghese era costante, tanto da farmi osservare che nonostante l'allora regime fascista i portoghesi sentivano una qualche responsabilità nei confronti della cultura dei propri assoggettati (per altro da alcuni secoli prima delle altre colonizzazioni europeo).

Mi sembra importante e doveroso ricordare, prima del prossimo post riguardante l'arte dell'Africa nera 1960-1969, per opportuna storicizzazione che negli anni Cinquanta e nei primi Sessanta i mezzi di comunicazione – compresi quelli con rubriche o spazi culturali – si interessavano delle popolazioni africane quasi esclusivamente per le vicende politiche e militari inerenti il doloroso processo di decolonizzazione. Otteneva qualche attenzione il folklore (danze Watussi, ad es.), poco rilievo (un po' di più in campo accademico) veniva attribuito all'antropologia e alla etnografia. Qualche importanza veniva riconosciuta a intellettuali e scrittori linguisticamente e culturalmente integrati (embedded) all'Occidente Americaneuropeo come Aimé Cesaire e il senegalese Leopold Senghor (Parenteticamente una divagazione pertinente: mi viene in mente che quando l'industria culturale tradusse – 1945 – e diffuse in Italia con
grancassa nel 1954 il libro Ragazzo nero di Richard Wright – che io comprai e lessi in villeggiatura al Saltino di Vallombrosa – il messaggio “pubblicitario” implicito, e non troppo velatamente esplicito, era che finalmente oltre che negli USA anche i neri africani erano in grado di gestire aspetti della modernità e persino di esprimersi scrivendo un libro di qualche qualità!). In circoli sedicenti rivoluzionari, prodromi dell'estremismo brigatista, ma opacamente asserviti al bolscevismo, si fiutavano con sospetto scrittori come Franz Fanon (“utile per aiutarli a casa loro”). Anche per questi motivi la considerazione e l'attenzione di una rivista a larga tiratura come “SeleArte” rappresentava all'epoca un veicolo, se non unico, di vera e propria diffusione qualitativa, senza pregiudizi o intenti propagandistici di riferimento alle politiche “imperiali” dei blocchi divisi dalla Cortina di Ferro e ai “ruggiti del topo” del cosiddetto Terzomondismo.
F.R. (13-15 aprile 2018)

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