Temo, permanendo la diffusa idiozia dell'uso di un “linguaggio politicamente corretto” e la suscettibilità delle persone di colore (da parte loro con un fondamento legittimo) che sia necessario ancora una volta giustificare in relazione all'arte la parola “negra” e per gli autori delle opere la parola “negro”, soprattutto in testi scritti nel secolo scorso. La derivazione dal latino niger in lingua italiana si è risolta già secoli fa in negro, appunto, usato normalmente e senza intento razzista. Certo i minus habentes che razzisti lo sono hanno sempre usato il termine in senso spregiativo, connotandosi come bestie che risultano purtroppo convivere con gli esseri umani. L'uso del vocabolo sostitutivo ed equivalente nero in italiano non ha molto senso o ragion d'essere; ma lo possiamo usare volentieri nei nostri commenti e nelle nostre note introduttive. Ben altro significato ha in inglese black (nero) da nigger, volutamente offensivo nei confronti di esseri umani di colore. (Pensa che gioia se i non bianchi ci chiamassero non solo “viso pallido”, ma anche “bianchiccio”, “slavato”, “fantasma”, “ectoplasma”, cioè la lava biancastra dei medium in trance!). Scusandomi per questo “cappello”, reso necessario d'altronde
dalla protervia interrazziale artificiosamente praticata per nascondere
brutture inconfessabili e per consentirne altre anche peggiori, dopo
quasi un anno dalla pubblicazione del post Il negro nell'arte europea
(21 giugno 2017) riprendiamo la ristampa – il più possibile cronologica –
degli scritti e degli interventi di Carlo L. e Licia Ragghianti che
riguardano soprattutto la creatività espressiva figurale
delle
popolazioni dell'Africa nera. Due precisazioni prima di entrare nei
dettagli: 1) il citato post Il negro nell'arte europea è stato
cronologicamente anticipato rispetto agli altri scritti perché ha per
argomento come gli artisti europei hanno raffigurato nei secoli gli
africani neri; 2) L'Africa settentrionale, dal Marocco all'Egitto, non
viene considerata in questa sede perché le popolazioni ivi viventi non
sono prevalentemente nere, e la loro storia e loro espressività
artistica sono per lo più islamiche, mentre l'archeologia è romana,
autoctona (ad es. Cartagine, i Tassili ecc.). Quanto all'Egitto, i più
di tremila anni preromani costituiscono una grandiosa civiltà a sé
stante. Di conseguenza i numerosi scritti dei coniugi Ragghianti saranno
pubblicati in appositi post con sequenza il più possibile cronologica.
Questo primo post della serie Arte nera comprende gli scritti di Carlo
L. R. e poi di seguito quelli di Licia Collobi R. pubblicati fino al
1959 compreso. Il loro reperimento è basato sulle rispettive
Bibliografie degli scritti, di conseguenza possono esserci sfuggiti
articoli il cui titolo non abbia consentito la registrazione
appropriata nelle suddette guide bibliografiche. Per fare un esempio,
nella rubrica “collezionista” delle due serie di “SeleArte” sono
senz'altro riprodotte opere d'arte africana non registrate come tali
bensì Yoruba o Gabon ecc.; altri casi non sono da escludere, ragion per
cui casomai “a dio piacendo” – come intercalava sempre Mario lo Strambi –
tra qualche anno li potremo riprodurre o darne almeno l'elenco.
“Arte negra”, pubblicato nel 1956 ne Il pungolo dell'arte (Neri Pozza, Vicenza, pp.37-47) è stato scritto nel 1949 e quindi rappresenta il primo scritto di C.L.R. sull'arte dell'Africa nera, anche se si dipana in parte notevole sull'intricato e importante fenomeno della partecipe attenzione di tanti artisti europei dalla fine del sec. XIX agli inizi del sec. XX.
Classici negri
(“SeleArte”, n.2, sett.-ott. 1952, pp.43-48) è un breve
importante saggio che considera soprattutto la storia e la cultura
dell'Africa centrosettentrionale atlantica, con particolare riguardo
all'attuale Nigeria – della quale più avanti riproponiamo anche un
notevole saggio di Licia Collobi – regione nodale per l'arte
africana
di cui Ragghianti si occuperà ancora negli anni successivi. Lo scritto si conclude con parole che dovrebbero essere sempre ben
presenti alla mente quando si parla o scrive di arte: “...bisogna
ricordarsi, alla fine, che l'arte non nasce dal nulla, anzi sempre
nell'animo dell'uomo storico, ma che è pur sempre un miracolo nuovo
dello spirito che crea”.
Dalla
“corrispondenza” con i lettori (“SeleArte”, n.4, gen.-feb.
1953, pp. 3,4) è tratto questo terzo documento, nel quale si ricorda
che “l'accostamento di alcuni artisti moderni all'arte negra non è
stato un fatto futile...”.
Ancora arte negra
(“SeleArte”, n.16, gen.-feb.
1955, pp. 59-60) recensisce una esposizione presso il Brooklyn Museum
di New York.
Plastica negra (“SeleArte”, n.17, mar.-apr. 1955, p.34) è un rendiconto del volume di E. von Sydow Afrikanische Plastik (1954); nello stesso fascicolo n.17 alle pp. 48-49, C.L.R. recensisce La signification de l'art nègre (1955) di Madeleine Rousseau.
Nel n. 25 di “SeleArte” (lug.-ago. 1956, p.10) si recensisce Bible de la sagesse Bantou (Paris, 1955) che illustra cultura, religione e filosofia delle circa 400 etnie africane centrosettentrionali che si esprimono con questa lingua.
Nazioni negre e cultura (“SeleArte”, n.25, lug.-ago. 1956, p.12) esamina alcuni aspetti esemplari della presa di coscienza che si stava sviluppando nei popoli africani in via di ottenere o conquistare l'indipendenza sulla scia del volume Nations nègres et culture di C.A. Diop.
Ancora scultura africana nell'analisi di Denise Pauline (1956) in “SeleArte” n.28 (gen.-feb. 1957, pp.44,45).
Scultura africana. Col rendiconto della mostra presso il Musée de l'Homme di Parigi di sculture del XIII secolo recentemente scoperte a Ifé de B. Fagg si chiude questo primo ciclo degli scritti individuato fino al 1959 sull'Africa nera di Carlo L. Ragghianti.
LICIA COLLOBI RAGGHIANTI
Nel
1956, anno in cui a luglio partorì Anna, la quarta figlia dopo
Francesco, Rosetta e l'altro figlio, Licia Collobi andò in pensione
anticipata, lasciando la direzione della Galleria Nazionale d'Arte
Moderna di Palazzo Pitti. La facilitazione legislativa che consentiva
questa possibilità ha sempre imbarazzato Licia C.R., l'ha fatta
sentire in colpa nei confronti degli ideali di giustizia e di
uguaglianza in lei vivissima presenza. D'altro canto l'opportunità
legittima, quasi sollecitata, era veramente conveniente per una donna
(tra l'altro di salute cagionevole) con quattro figli di cui uno in
vistosa crisi adolescenziale e una neonata prematura reduce da due
mesi di incubatrice; un genitore zuzzerellone sul “groppone”; una
casa/studio enorme e isolata sopra le cliniche di Careggi da mandare
avanti gestendo gli aiuti domestici; l'ufficio di “SeleArte” e
quello di “Critica d'Arte” da gestire, indirizzare, organizzare;
un marito “importante” cui pianificare le assenze (Università a
Pisa, Adesspi a Roma, viaggi di studio, ecc.) e le presenze in
Firenze con quasi quotidiani ospiti al desco familiare a pranzo e/o
cena di tante personalità di rilievo, quasi tutte amiche, ma tante
“diplomatiche” anche assai faticose ed onerose; un campo di un
ettaro e mezzo coltivato con l'ausilio determinante di Mario lo
Strambi, con 200 ulivi e tanti, tanti fiori di cui organizzare le
cessioni ai fiorai o grossisti. E altro ancora che non ricordo, per
stanchezza mnemonica. Certamente questa legge dei 19 anni, 6 mesi e 1
giorno (che in realtà in molti casi si riduceva fino ai 12 anni
effettivi grazie a servizio militare, riscatto – gratuito allora –
della laurea ecc.) fu iniziativa sciagurata. Congiunta, poi, alle
regalie verso agricoltori, commercianti, artigiani ecc. mandati in
pensione a milioni senza aver versato una lira di contributi, il
regime democristiano ha determinato una vera catastrofe di deficit,
quello che sta ricattandoci oggi con decine di migliaia di euro
pro-capite di disavanzo e debito soprattutto col resto del mondo (dei
ricchi che vivono di rendita, delle finanziarie che li
rappresentano). Allegria, per il bel regalo, cari giovani! Andando in
pensione mia madre poté finalmente dedicarsi con qualche “agio”
ai propri studi e alla collaborazione con le riviste di famiglia.
Fino a quel momento Licia C.R. aveva partecipato a “SeleArte” soprattutto come coautrice di alcuni saggi, come traduttrice (tedesco e lingue slave soprattutto) di base per C.L.R., brevi recensioni “tappabuchi”. Alla “Critica d'arte” condirettrice (dal 1954 al 1963 redattrice unica; dal 1964 vicedirettore) svolse sempre una notevole attività di indirizzo (rubrica “SeleArte”) e gestione della redazione; così con lo Studio Italiano di Storia dell'Arte, anche quando diventò soltanto l'ufficio in città di Ragghianti. Tornando a “SeleArte”: dal 1956 Licia C.R. cominciò a impaginare totalmente la rivista, fino allora disegnata sommariamente da C.L.R. e realizzata graficamente dal
proto Vallecchi (Mecacci, credo). Via, via nel giro di un anno mia madre accentrò su di sé tutte le incombenze importanti del bimestrale, fino a diventarne la scrittrice di praticamente tutti i testi. L'argomento Africa nera
fu fin dagli esordi della rivista esplorato da Licia C.R. in
concomitanza agli studi significativi sull'Africa romanizzata e
l'Egitto archeologico. Difatti nel n.7 di “SeleArte” (lug.-ago.
1953, p.9) compare questo intervento sull'Arte Yoruba, che
ritengo fosse all'origine una scheda orientativa per il saggio di
C.L.R. Classici negri (n.2, 1952; non n.3 come compare in
questa sede per evidente errore mnemonico del correttore di bozze).
.
.
Arte negra (cit. n.15, nov.-dic. 1954, p.50) relaziona un'esposizione londinese d'interesse prevalentemente etnografico con tema “Gli europei visti dagli indigeni”. Data la banalità sconfortante di questo tipo di approccio all'arte e l'implicito razzismo di quell'indigeni, mi permetto di affiancare al testo una coeva vignetta umoristica che sfotte l'eurocentrismo.
Colleçȃo
Etnografica. Museo de Angola.
(“SeleArte”, n.28, gen.-feb. 1957, p.12) relaziona
sull'importante istituzione e sulla sua consistenza, allora tra le
più cospicue del continente (Egitto escluso).
In
Africa (“SeleArte”, n.34, gen.-feb. 1958, p.51) si
ricordano sia la rivista svizzera “Du”, encomiabile soprattutto
allora per l'eleganza della grafica e la dovizia del materiale
fotografico e per l'eccellenza della stampa e delle illustrazioni
prevalentemente a colori. Tra i quasi sempre straordinari reportages,
eccellevano quelli di Emil Schulthess (1913, Zurigo – 1996) che è
stato un fotoreporter tra i più originali e sorprendenti della metà
del Novecento. Nella pubblicazione in lingua tedesca (con riassunti
in inglese) curatissima era persino la grafica della pubblicità,
sorprendente per impatto visivo e raffinata ricercatezza.
Ancora
Angola
(“SeleArte”, n.41, mag.-giu. 1959, p.51) testo in cui si
relaziona circa il Folklore e le espressioni religiose autoctone.
Ricordo che nella “biblioteca” degli invii di pubblicazioni per
recensione sulla rivista la presenza della colonia portoghese era
costante, tanto da farmi osservare che nonostante l'allora regime
fascista i portoghesi sentivano una qualche responsabilità nei
confronti della cultura dei propri assoggettati (per altro da alcuni
secoli prima delle altre colonizzazioni europeo).
Mi sembra importante e doveroso ricordare, prima del prossimo post riguardante l'arte dell'Africa nera 1960-1969, per opportuna storicizzazione che negli anni Cinquanta e nei primi Sessanta i mezzi di comunicazione – compresi quelli con rubriche o spazi culturali – si interessavano delle popolazioni africane quasi esclusivamente per le vicende politiche e militari inerenti il doloroso processo di decolonizzazione. Otteneva qualche attenzione il folklore (danze Watussi, ad es.), poco rilievo (un po' di più in campo accademico) veniva attribuito all'antropologia e alla etnografia. Qualche importanza veniva riconosciuta a intellettuali e scrittori linguisticamente e culturalmente integrati (embedded) all'Occidente Americaneuropeo come Aimé Cesaire e il senegalese Leopold Senghor (Parenteticamente una divagazione pertinente: mi viene in mente che quando l'industria culturale tradusse – 1945 – e diffuse in Italia con
grancassa nel 1954 il libro Ragazzo nero di Richard Wright – che io comprai e lessi in villeggiatura al Saltino di Vallombrosa – il messaggio “pubblicitario” implicito, e non troppo velatamente esplicito, era che finalmente oltre che negli USA anche i neri africani erano in grado di gestire aspetti della modernità e persino di esprimersi scrivendo un libro di qualche qualità!). In circoli sedicenti rivoluzionari, prodromi dell'estremismo brigatista, ma opacamente asserviti al bolscevismo, si fiutavano con sospetto scrittori come Franz Fanon (“utile per aiutarli a casa loro”). Anche per questi motivi la considerazione e l'attenzione di una rivista a larga tiratura come “SeleArte” rappresentava all'epoca un veicolo, se non unico, di vera e propria diffusione qualitativa, senza pregiudizi o intenti propagandistici di riferimento alle politiche “imperiali” dei blocchi divisi dalla Cortina di Ferro e ai “ruggiti del topo” del cosiddetto Terzomondismo.
F.R. (13-15 aprile 2018)
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