Carlo e Licia

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lunedì 5 marzo 2018

Ragghianti-Baltrusaitis Appendice

Capita, a chi ha quasi ottanta anni ed è ancora un apprendista in un ramo specifico della propria attività professionale ultracinquantennale poco e marginalmente praticato, di accorgersi che un determinato lavoro “gl'è tutto da rifare”. Così diceva spesso Ginettaccio Bartali, alla cui ruota (nel 1953 giovane sì ma ciclisticamente preparato) mi accodavo accompagnandolo quando verso le 15 passava – puntuale come Kant a Koenigsberg – quasi tutti i giorni d'inverno e di primavera. Ero un gregario volontario non sgradito da Porta Romana a Piazzale Galilei, al Ponte dopo Viale Michelangelo e per qualche altro chilometro del suo quotidiano allenamento. Era gentile, qualche volta ammiccava sorridendo, non era infastidito anzi si divertiva a fare brevi scatti e a farsi poi raggiungere, sia che fossi solo o che mi aggregassi ad altri, a volte cinque o sei giovani ciclisti, qualcuno anche con una maglia di squadra dilettanti. A un certo punto, variabile, ma fuori città faceva uno scatto deciso ci distanziava, spariva. Poi cambiammo casa e da Viale Petrarca 14 andammo ad abitare alle “antipodi”, alle prime pendici del Monte Morello. Negli anni Cinquanta il mondo era davvero profondamente differente nei rapporti sociali, ancora molto classisti da un lato ma nel quale si poteva concomitare con un “Divo” (e Bartali era come oggi un Messi, un Clooney, un...politico importante) che se anche democristiano in terre comuniste girava da solo, senza subalterni, tanto meno bodyguards armate.
Nella fattispecie è da “rifare” questo post Ragghianti-Baltrusaitis – Appendici, perché ho rinvenuto altre due recensioni – oltre quella che costituiva questa appendice all'inizio – di Ragghianti all'opera dello storico lituano. Quindi, salvo ulteriori ritrovamenti, questi tre scritti concludono la documentazione dei rapporti intercorsi tra mio padre e Baltrusaitis. Ricordo e rimando, comunque, a quanto già postato: Anamorfosi (14 maggio 2017), Una corrispondenza R.-B. (11 giugno 2017).
Il primo testo, come gli altri due, è stato pubblicato in “SeleArte” (n.42, lug.-ago. 1959, p.50) ed è la recensione a Le Moyen-Âge Fantastique, dove definisce il libro “un capitolo importante per la storia reale della cultura del Medioevo artistico”, quindi R. conclude l'analisi sottolineando ancora una volta l'importanza della profonda ricerca che “è perciò fondamentale per una più aderente conoscenza del tardo Medioevo occidentale”.
Il secondo intervento verte sul volume Réveils et prodiges. Le gothique fantastique (1960) nel quale “si tratta di un vivace rimbalzo che prosegue nei trattati scientifici, nelle favole, nell'emblematica europea...e che stabilisce le basi di tutta la teratologia moderna”. Fu pubblicato in “SeleArte” (n.51, mag.-giu. Del 1961, pp. 35-38). Qualche giorno fa, circa due settimane dopo la prima stesura di questo post, del tutto casualmente ho rinvenuto in “Critica d'Arte” (n.44, mar.-apr. 1961) un'altra recensione di La Gothique fantastique. Réveils et prodiges di Jurgis Baltrusaitis. Lì per lì ho ritenuto che si trattasse di quella pubblicata su “SeleArte” (n.51, mag.-giu. 1961) stante l'identico argomento. Poi il dubbio (benedetto Cartesio! è proprio vero che senza di esso non ci sarebbe pensiero, non solo quello originale, ma nemmeno quello sufficiente ad essere mammiferi differenti dai gatti o dalle balene, cioè di avere anche pensieri non strettamente legati alla necessità primordiali); quindi – dopo la doverosa verifica – ho constatato che si tratta di un testo siglato L.C.R.
(cioè Licia) e non C.L.R. (cioè Carlo). Premetto, naturalmente, che anche questo scritto di mia madre viene riportato, assieme a quelli in precedenza citati, nella sua integrità soprattutto perché ad una lettura puntuale, redazionale dei due testi si è constatato che in realtà si tratta dell' “archetipo” rivisitato e in parte riscritto per “SeleArte”. Detto tra parentesi, risiamo ad una “smarronata” della Bibliografia degli scritti, la quale attribuisce a Carlo solamente una collaborazione con Licia, se non addirittura le due versioni scritte dalla Collobi.
Avanzo l'ipotesi che Licia abbia, constatato lo spessore dell'argomento, assegnato la sua prima recensione alla “Critica” di cui era redattrice unica, consegnandolo con l'incarico di sottoporla al direttore (Carlo) all'allievo di lui che in quel tempo fungeva – retribuito – da segretario di redazione. Ciò per qualche motivo non avvenne – e non mi meraviglio ricordando la stizzosa albagia e l'assenteismo del tipetto – e perciò la recensione fu dal Proto della Vallecchi (un simpatico uomo di mezza età. autodidatta, che mi pare si chiamasse Mecacci) impaginata nell'apposita rubrica “Biblioteca”.
E' probabile se non evidente, infine, che la concomitanza delle uscite delle riviste fece sì che alla fin fine la decisione di come operare su “SeleArte” fu presa dopo cena quando allora – nel 1961 non avevamo la tv –, il babbo era a Firenze e i coniugi giocavano a canasta (partite durate anche diversi giorni con punteggi stratosferici) e contemporaneamente soprattutto conversavano, si scambiavano opinioni, confidenze e facevano progetti in relax. Così i miei genitori – che qualche volta tornando a casa dopo mezzanotte trovavo ancora seduti al tavolo da pranzo – affrontavano e risolvevano questioni domestiche e di lavoro, nonché talvolta problemi sociali e politici di principio, che altrimenti non avrebbero chiarito, date le intensissime loro vite quotidiane in quel periodo.
Di conseguenza l'effettiva attribuzione di questo o di altri scritti ad uno dei coniugi Ragghianti ha scarsa rilevanza, anche se per i filologi questi accertamenti sono stimolanti. Però, riguardo i miei genitori, voglio ancora una volta sottolineare che i loro scritti in molte occasioni risultano simbiotici, pur nella radicata – meno male! – univocità delle singole personalità, per impostazione, per stile, ecc.
L'ultima recensione sulla prolifica ricerca del Baltrusaitis, La Quête d'Isis (1967) sarà esaminata sempre in “SeleArte”, ma quando essa è già divenuta una rubrica di “Critica d'Arte” (n.110, 1970) sempre redatta da Licia Collobi con la occasionale collaborazione del marito, come in questo caso. Il libro si configura sviluppando le tematiche indicate nei sottotitoli, Saggio sulla leggenda di un mito; Introduzione all'Egittomania. Constatato che “la leggenda del mito...è simile ad una aberrazione, che dà origine ad una leggenda delle forme; ed è parallela alla depravazione ottica che si suole chiamare anamorfosi”, Ragghianti conclude che il libro del Baltrusaitis è: “quasi la terza tavola di un polittico, consacrato alle prospettive falsate che rivelano delle verità metafisiche”.
A questo punto voglio credere che sui rapporti dei Ragghianti col Baltrusaitis non esistano ulteriori documenti. Voglio anche credere che lo studioso lituano, contagiato fino all'immedesimazione, da un medioevo fantastico di risvegli e prodigi, non si sia trasformato nello spirito di un Elfo dispettoso.
F.R. (6.1.2018)





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