Carlo e Licia

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giovedì 22 febbraio 2018

Arte e speculazione






Queste tre pagine da “SeleArte” (n.56, mar.-apr. 1962) possono rappresentare tuttora un quadro esemplare delle problematiche inerenti il collezionismo speculativo, cioè quello numericamente di gran lunga più consistente e di maggiore risonanza mediatica. Questa forma di raccogliere opere d'arte, inoltre, è disgiunta da autentica passione (e amare l'accumulo, però, può degenerare in malattia mentale) la quale è sostanzialmente incurante dei valori economici determinati, invece, con regole più o meno giustificate e razionali da quell'ente astratto che si chiama mercato. Poi il fatto che lo scritto risalga a 55 anni fa è tutto sommato ininfluente perché le considerazione economiche di base non sono mutate un granché. Forse in peggio se si considera il dilagare di manifestazioni di vera e propria follia esibizionistica da un lato, dall'altro di una spietata e abusiva pianificazione che sospinge la speculazione fino a livelli assurdi nei quali vere e proprie organizzazioni (analogamente a quanto talvolta accade in altri campi come Borsa e Fondi) cortocircuitano il sistema o “dileguandosi” col capitale, o lasciando agli “adepti” l'onere di salvare le loro quotazioni o di essere rovinati. Talvolta si ricorre a trucchi più o meno legalizzati come, ad esempio, riuscire a rifilare in ultima istanza a Musei pubblici (quasi sempre appositamente creati e incoraggiati in precedenza con l'assistenza di più o meno consapevolmente compiacenti addetti ai lavori). Questi contenitori, per i quali sembra davvero appropriato il termine “bidoni”, sono costruiti e sostenuti con grande dispendio di “eventi” che spesso sfociano in perverse catene di Sant'Antonio, le quali sono destinate a scoppiare, esplodere più o meno drammaticamente – in troppo casi e in troppi luoghi – a carico della contabilità generale, delle nostre tasche cioè, le quali così sono e saranno salassate anche per questi opinabili e privati motivi.
A proposito di eventi e Mostre senza scopi e motivi seri, né scientifici, né metodologici, né didattici, è stato recentemente pubblicato il libro di Tomaso Montanari e Vincenzo Trione Contro le mostre (Einaudi), cioè “contro il sistema di società commerciali, curatori seriali, assessori senza bussola e direttori di musei asserviti alla politica sforna a getto continuo mostre di cassetta, culturalmente irrilevanti e  
pericolose per le opere”. Volume utile se non altro per avere le idee più chiare e districarsi in questa giungla volontariamente organizzata e gestita a fini di profitto privato, non di cultura. Riferendosi alla stesura firmata del testo di “SeleArte”, è opportuno e importante notare che questa “acquaforte” non è stata scritta da Carlo L. Ragghianti: è di Licia Collobi, come dimostrato dalla firma dopo le pagine originali di Arte e speculazione lo scritto è siglato con l'acronimo L.C.R., cioè Licia Collobi Ragghianti. Il fatto è significativo perché mostra un aspetto molto meno noto di mia madre, quello della riflessione e dei relativi convincimenti circa il sociale e il civile, affrontato – se necessario – anche con decisa e garbata vis polemica. Però in questa sede va anche ribadito che sono sempre più irritato con i curatori e gli schedatori della Bibliografia degli scritti di C.L.R., personaggi presuntuosi ed ignoranti, nonché frodatori dell'altrui fiducia. Quasi ogni giorno, infatti scopro qualche malefatta di questa bibliografia, la quale tuttavia grazie al suo contenuto rimane comunque indispensabile strumento di consultazione, nonostante pecche ed errori. Non mi si venga a dire che l'incaricato ha pensato ad un refuso ed ha quindi eseguito una ipercorrezione. Infatti basta leggere qualche brano del testo e – senza dover essere Gianfranco Contini – accorgersi che lo stile di scrittura non è quello di Carlo L. Ragghianti. Oltretutto se ci si fosse presi la briga di considerare anche la rubrica il “Collezionista”, si sarebbe correttamente dedotto che (fatti salvi i primissimi fascicoli della rivista) essa è sempre stata esclusivamente redatta da Licia Collobi e, di conseguenza, che era lei a seguire le aste e gli andamenti del mercato. Ho già scritto (vedi post “La sedia di Chiavari”) che per lo spirito, il significato sostanziale di “SeleArte” la autografia degli scritti non è rilevante e che, anzi, l'anonimato redazionale garantiva l'omogeneità di stile e forma dei contenuti. Fatti salvi, naturalmente, i testi che esprimevano opinioni personali impegnative, o assunzione di responsabilità, come in questo caso di Arte e speculazione. La distinzione tra i due autori della rivista resta quindi essenzialmente un problema filologico e storico attinente la singolarità di ciascuna personalità.
F.R. (1.12.2017)

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