Queste tre
pagine da “SeleArte” (n.56, mar.-apr. 1962) possono rappresentare
tuttora un quadro esemplare delle problematiche inerenti il
collezionismo speculativo, cioè quello numericamente di gran lunga
più consistente e di maggiore risonanza mediatica. Questa forma di
raccogliere opere d'arte, inoltre, è disgiunta da autentica passione
(e amare l'accumulo, però, può degenerare in malattia mentale) la
quale è sostanzialmente incurante dei valori economici determinati,
invece, con regole più o meno giustificate e razionali da quell'ente
astratto che si chiama mercato. Poi il fatto che lo scritto risalga a
55 anni fa è tutto sommato ininfluente perché le considerazione
economiche di base non sono mutate un granché. Forse in peggio se si
considera il dilagare di manifestazioni di vera e propria follia
esibizionistica da un lato, dall'altro di una spietata e abusiva
pianificazione che sospinge la speculazione fino a livelli assurdi
nei quali vere e proprie organizzazioni (analogamente a quanto
talvolta accade in altri campi come Borsa e Fondi) cortocircuitano il
sistema o “dileguandosi” col capitale, o lasciando agli “adepti”
l'onere di salvare le loro quotazioni o di essere rovinati. Talvolta
si ricorre a trucchi più o meno legalizzati come, ad esempio,
riuscire a rifilare in ultima istanza a Musei pubblici (quasi sempre
appositamente creati e incoraggiati in precedenza con l'assistenza di
più o meno consapevolmente compiacenti addetti ai lavori). Questi
contenitori, per i quali sembra davvero appropriato il termine
“bidoni”, sono costruiti e sostenuti con grande dispendio di
“eventi” che spesso sfociano in perverse catene di Sant'Antonio,
le quali sono destinate a scoppiare, esplodere più o meno
drammaticamente – in troppo casi e in troppi luoghi – a carico
della contabilità generale, delle nostre tasche cioè, le quali così
sono e saranno salassate anche per questi opinabili e privati
motivi.
A proposito
di eventi e Mostre senza scopi e motivi seri, né scientifici, né
metodologici, né didattici, è stato recentemente pubblicato il
libro di Tomaso Montanari e Vincenzo Trione Contro le mostre
(Einaudi), cioè “contro il sistema di società commerciali,
curatori seriali, assessori senza bussola e direttori di musei
asserviti alla politica sforna a getto continuo mostre di cassetta,
culturalmente irrilevanti e
pericolose per le opere”. Volume utile se non altro per avere le idee più chiare e districarsi in questa giungla volontariamente organizzata e gestita a fini di profitto privato, non di cultura. Riferendosi
alla stesura firmata del testo di “SeleArte”, è opportuno e
importante notare che questa “acquaforte” non è stata
scritta da Carlo L. Ragghianti: è di Licia Collobi, come dimostrato
dalla firma dopo le pagine originali di Arte e speculazione lo
scritto è siglato con l'acronimo L.C.R., cioè Licia Collobi
Ragghianti. Il fatto è significativo perché mostra un aspetto molto
meno noto di mia madre, quello della riflessione e dei relativi
convincimenti circa il sociale e il civile, affrontato – se
necessario – anche con decisa e garbata vis polemica. Però
in questa sede va anche ribadito che sono sempre più irritato con i
curatori e gli schedatori della Bibliografia degli scritti di C.L.R.,
personaggi presuntuosi ed ignoranti, nonché frodatori dell'altrui
fiducia. Quasi ogni giorno, infatti scopro qualche malefatta di
questa bibliografia, la quale tuttavia grazie al suo contenuto rimane
comunque indispensabile strumento di consultazione, nonostante pecche
ed errori. Non mi si venga a dire che l'incaricato ha pensato ad un
refuso ed ha quindi eseguito una ipercorrezione. Infatti basta
leggere qualche brano del testo e – senza dover essere Gianfranco
Contini – accorgersi che lo stile di scrittura non è quello di
Carlo L. Ragghianti. Oltretutto se ci si fosse presi la briga di
considerare anche la rubrica il “Collezionista”, si sarebbe
correttamente dedotto che (fatti salvi i primissimi fascicoli della
rivista) essa è sempre stata esclusivamente redatta da Licia Collobi
e, di conseguenza, che era lei a seguire le aste e gli andamenti del
mercato. Ho già scritto (vedi post “La sedia di Chiavari”)
che per lo spirito, il significato sostanziale di “SeleArte” la
autografia degli scritti non è rilevante e che, anzi, l'anonimato
redazionale garantiva l'omogeneità di stile e forma dei contenuti.
Fatti salvi, naturalmente, i testi che esprimevano opinioni personali
impegnative, o assunzione di responsabilità, come in questo caso di
Arte e speculazione. La distinzione tra i due autori della
rivista resta quindi essenzialmente un problema filologico e storico
attinente la singolarità di ciascuna personalità.
F.R.
(1.12.2017)
Nessun commento:
Posta un commento