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martedì 16 gennaio 2018

Licia Collobi e l'arredamento storico, 2 - La sedia italiana nei secoli

Come accennato nel precedente post di questa serie (Arredamento storico, 1. La casa italiana nei secoli, pubblicato il 21 Novembre 2017) nel 1950 Licia Collobi fu incaricata di progettare e curare una delle mostre attuate nell'ambito della “Nona Triennale di Milano” e di scriverne il relativo catalogo, impaginato da Bruno Munari, con un bellissimo allestimento (che non possiamo documentare, ma forse reperibile nell'Archivio dell'architetto) di Ignazio Gardella.
Questa importante documentazione storica fu approntata anche per sottolineare, con alte esemplificazioni, la significativa discendenza del nascente, impetuoso design italiano di mobilio, un'industria diffusa in gran parte del territorio nazionale che intendeva affermarsi come protagonista internazionale della rinascita postbellica.
La rilevanza di questa originale ricerca fu avvertita da Vittorio Fagone che la volle ristampare “anastaticamente” come fascicolo speciale (n.7, lug.-dic. 2005) di “LUK”, rivista e notiziario semestrale della Fondazione Centro Studi sull'Arte di Licia e Carlo L. Ragghianti di Lucca. Quale direttore della Fondazione, Fagone presentò il libro con la Nota Editoriale che segue:





Di fatto questa nota di Fagone rappresenta la vera e propria introduzione al volume, giacché la sconsiderata (così nell'Indice è definita Introduzione) titolazione dello scritto del sopra citato Francois Burkhardt non è certamente tale. Anzi lì collocato il testo viene a configurarsi come un indecente insulto a mia madre. Costui, infatti, dedica in tutto al libro le quattro righe seguenti: La riedizione a cura della Fondazione Ragghianti del catalogo della mostra La sedia italiana nei secoli mi coinvolge in quanto incaricato di completare questa panoramica collocando questa tematica nella prospettiva internazionale attuale attraverso alcuni aspetti di ordine storiografico”. 
Si constata subito che l'autrice non è menzionata, come nemmeno il fatto che ci troviamo di fronte ad un'originale ed importante ricerca storica ed estetica e, inoltre, per tutta la lunghezza del suo testo questo screanzato e arrogante tedesco nemmen “di Germania” – temo – non fa alcuna citazione o riferimento al libro della Collobi.
Infatti, dopo alcuni paragrafi di inquadramento dei problemi industriali della recente storia del mobile, lo scritto diviene uno sfacciato soffietto promozionale delle seggiole “Thonet”, di cui costui – guarda caso, e in flagrante conflitto d'interessi analogo a quello che poi diremo – dirige il museo monotematico a Berlino di questa produzione industriale. L'inutile sbrodolatura autoreferenziale del Burkhardt avrebbe dovuto, sempre che si dovesse proprio farlo, essere pubblicata in postfazione o meglio in una appendice, per altro incongrua.
Risulta chiaro che la Fondazione non può essere considerata esente da critiche, anche risentite, che però non furono preventive e immediate perché noi constatammo questo obbrobrio soltanto dopo la stampa e la distribuzione della rivista-libro. Debbo rilevare che questa situazione di mancata protesta si verificò perché il nostro rappresentante di allora nel Comitato Scientifico e, en passant, grafico della pubblicazione venne meno al mandato di informarci tempestivamente su quanto concernesse direttamente i nostri genitori, soprattutto se inosservante o negativo.
Per inciso tengo a precisare che la Famiglia Ragghianti ha indicato sempre i propri rappresentanti nel Consiglio (oggi Comitato) Scientifico senza vincolarli nella propria autonomia di scelte intellettuali od operative, fatta eccezione nel caso di implicazione diretta della memoria dei Fondatori dell'istituzione.
E' proprio vero che il conflitto di interessi (anche senza scomodare enormità alla Berlusconi) è deleterio e non deve essere ammesso e tollerato (nostro errore!), nemmeno con amici. Comunque, perché pertinenti alla serie di post su Licia Collobi e il mobilio e l'arredamento storico, riportiamo di seguito il testo introduttivo che nostra madre scrisse per La sedia Italiana nei secoli e la riproduzione della prima pagina del relativo dattiloscritto.



Nonostante le richieste effettuate per riavere l'incartamento (consegnato per scrupolo filologico e per un eventuale utilizzo per esigenze della nuova edizione rinnovata, in realtà non tecnicamente troppo bene eseguita in “anastatica”) con i testi originali di Licia Collobi riguardanti il Catalogo a suo tempo non avessero avuto riscontro, adesso per un caso fortuito lo abbiamo recuperato, in verità piuttosto malandato e in disordine. Quindi, prima di inoltrarlo all'Archivio di Lucca, colgo l'occasione per pubblicare alcuni dei disegni preparatori e di studio effettuati da mia madre in quell'occasione (1950). Essi illustrano una componente del metodo di lavoro, mediata forse dal marito, che usava il disegno come il Cavalcaselle, cioè funzionale al proprio discorso critico. Però Carlo L. Ragghianti aveva anche la capacità di realizzare un disegno, un acquerello, una tempera come personale acquisizione dell'altrui stile, esprimendo degli originali d'après.
A questo proposito nel nostro lessico familiare c'è un racconto aneddotico di prima della Guerra. L'episodio si svolge a Roma (1937/38), dove Ragghianti una sera dopo cena, per spiegare a dei colleghi certe caratteristiche di un lavoro di Scipione, incontrato qualche giorno prima, disegnò un acquarello così suggestivo che uno dei presenti – futuro cattedratico universitario – chiese di poterlo trattenere per sé. Così fu e a noi, ridacchiando, il babbo aggiungeva di esser curioso di sapere se ancora il disegno esistesse come suo manufatto oppure fosse già proposto o circolante come originale opera dell'ormai celebre pittore.
F.R.







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