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sabato 25 febbraio 2017

Circa Pinocchio nel ventre del cetaceo

Carlo L. Ragghianti, “énfant prodige” a Lucca, detestava il “Pinocchio” di Carlo Collodi (1826-1890) e il “Cuore” di De Amicis. Il primo probabilmente perché rivolto a lettori sprovveduti cui, concedendo qualche trasgressione, si inculcava una morale perbenistica tramitata anche dall'insopportabile agnizione della Fatina dai capelli turchini (tocco presurrelista?). Del romanzo postrisorgimentale di De Amicis, R. non poteva non detestare la scoperta propaganda savoiarda, suggello deviato e ottuso (lotta al “brigantaggio” e devastazione del Sud ad esempio) degli ideali Mazziniani, Cattaneani e Garibaldini che, col loro sacrificio, determinarono l'unità d'Italia. Ciò non impediva, però, allo storico lucchese di ammirare e comprendere le poetiche realizzazione di Emilio Greco e di Venturino Venturi nel parco Collodi dedicato a Pinocchio.
Certamente Ragghianti avrà distinto dal resto l'episodio del cetaceo che inghiotte Pinocchio e delle successive vicende; se non altro per le scoperte allusioni iconiche a Bosh e ad episodi scultorei medievali. C'è anche un aspetto letterario ed iconografico che si collega a Collodi il quale, uomo colto, non ignorava il racconto biblico del profeta Giona sopravvissuto tre giorni nel ventre di un colossale cetaceo. Così, dato il “cursus” degli studi della metà dell'Ottocento italiano, il creatore di Pinocchio doveva conoscere anche quello 


che narra Luciano da Samosata nella sua “Storia vera”, per la quale egli scrisse due libri con avvenimenti che oggi definiremmo di fantascienza. Un libro veramente curioso (che ebbe nel tempo notevole risonanza), però una “antifrasi” del suo “Come si deve scrivere la storia” e delle sue ponderose opere storiche e letterarie (escludendo “L'asino d'oro”, attribuito). Tra i suddetti scritti fantastici c'è una favola che viene ripresa da Collodi quasi alla lettera, “mutatis” certi costumi che dopo mille e seicento anni non erano granché dissimili da quelli vigenti nell'Ottocento. Un probabile tramite è lo scritto di Paul Nibelle ( “L'Ami de la Maison”, 1856, pp. 127-128), dove si ricordano anche gli scrittori, i più diversi tra loro invero, che si ispirarono a quest'opera di Luciano: Tommaso Moro (Utopia), Fénelon, Fontanelle, Cyrano de Bergerac, lo Johnathan Swift di “Gulliver”; anche Rabelais è ricordato per una situazione analoga del II capitolo del “Pantagruele”. Oltre a ciò sembra eccessivo sostenere che lo scrittore greco fu il Voltaire della sua epoca, e paragonare altresì a Luciano il sapere di quei posteri e la loro capacità di determinare e di orientare la cultura e la storia successiva fino a noi. E' probabile, infine, che oltre a Collodi, nelle loro illustrazioni il Mazzanti e altri artisti dell'epoca si ispirassero alla incisione del cetaceo mentre inghiotte un vascello, che accompagna lo scritto citato del Nibelle, e che qui riproduciamo.
Francesco Ragghianti

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