Carlo e Licia

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martedì 23 luglio 2019

Arte Moderna in Italia 1915/1935. Schede Redazionali 3 - LEPORE, PEPEDIAZ, THAYATH, BOGLIARDI, GRIGNANI, MAZZON, MELOTTI.


Mario Lepore (1908-1972) è stato oltre che un pittore un critico "militante" (orrendo ossimoro! dato che la peculiarità della critica dovrebbe essere indagine cognitiva senza pregiudiziali) motivo per il quale in questa storica mostra del 1967, come vedremo, ha curato due schede di pittori (Angelo Del Bon e Umberto Lilloni). In realtà questi due artisti erano piuttosto estranei alla passata espressività di Lepore, però entrambi lombardi come il "Corriere di Informazione", pubblicato a Milano, al quale collaborava per la critica d'arte. Circa l'adesione al movimento tardo futurista "Circumvisionista" (1928) ed altre affini esperienze napoletane sembra che il gruppo di Lepore abbia cercato più che un revival futurista una mediazione tra interpretazioni internazionali e le esperienze di pittori come Gino Rossi, Maggioli, Garbari ed altri. Comunque questo movimento fu sostanzialmente ignorato dalla critica allora come poi e di conseguenza se ne sa pochissimo. Perciò la testimonianza di Lepore – che riportiamo a seguire – è particolarmente interessante.
Temo anche che non siano estranei motivi "politici" per i quali Lepore, Pepe Diaz e altri artisti come Pierce e l'architetto Corchia ed altri ancora durante il fascismo furono osservati con sospetto e poi perseguitati con sanzioni, esili, confino e un po' di prigione. Infatti quei giovani si erano tutti – chi più chi meno – avvicinati alla organizzazione clandestina del Partito Comunista, a Napoli particolarmente connotata da Amedeo Bordiga (segr. del P.C.I. dal 1921 al 1924, prima di Gramsci) e lui e i suoi seguaci furono espulsi soltanto nel 1943. Ciò spiega, almeno in parte, il fatto che Lepore (e altri) nel dopoguerra vennero via via a trovarsi in collisione con il Partito e di conseguenza furono emarginati negli ambienti artistici. Si ricordi infatti che nell'ambito dell'arte contemporanea il P.C.I. aveva una presenza soverchiante che isolava coloro che, di sinistra non  
marxista e laici, non vollero aderire o non furono accolti negli "spazi" cattolici e d'altro genere. Di questi aspetti politici Lepore non si diffonde nelle due lettere che scrisse a Carlo L. Ragghianti circa la sua esperienza artistica e la colleganza con gli altri artisti citati. Comunque esse rappresentano un documento chiarificatore riguardo il "Circumvisionismo" e altri aspetti particolari di questi artisti. Che esse siano abbastanza importanti lo dimostra la risposta intermedia di mio padre. Non conosco il motivo per cui oltre a Lepore e a Pepe Diaz non siano stati inclusi nella Mostra 1915-35 anche Pierce (slittato dopo un tormentato percorso a destra, in modo analogo a Armando Plebe) e altri artisti del gruppo Circumvisionista. Certo è che nella Mostra di Palazzo Strozzi i "movimenti" non sono esposti in quanto tali ma soltanto rappresentati dagli artisti più significativi ed anche che di coloro di cui non si era potuto riscontrare in modo sufficiente l'iter espressivo la Commissione decideva di non esporli. Di ciò sono testimone perché partecipai ad alcune riunioni come "assistente tecnico", cioè gestore del materiale illustrativo e documentario da dare ai Commissari per le loro valutazioni.
Di Lepore, in carenza di opere ulteriori a quelle della scheda, mi sembra utile ricordare l'impegnativo libro Il Pittore, una sorta di manuale affabile ed utile circa gli aspetti di quel mestiere creativo pubblicato dalla Vallecchi nel 1962 nella collana "Il Bersaglio. Saggi e inchieste sulle professioni". Tra i volumi pubblicati sono da notare diversi accostamenti inaspettati, come il libro su I Ballerini scritto da Giorgio Bocca. Dell'opera di Lepore ripropongo il primo capitolo Genio e mestiere dalla cui lettura si possono fare osservazioni stimolanti per la situazione dell'oggi in materia.
F.R. (5 febbraio 2019)



Come Lepore, Luigi Pepe Diaz (1909-1970, investito da un'automobile) – la cui madre era cugina di Armando Diaz, duca della Vittoria, Maresciallo d'Italia – sin dal 1928 frequentò l'ambiente antifascista napoletano legandosi al gruppo futurista Circumvisionista; fu in seguito vicino anche ad Anton Giulio Bragaglia. Pur non dichiaratamente comunista fu iscritto come sovversivo al Casellario politico centrale e nel 1935 si trasferì in Svizzera, poi in Francia dove frequentò anche Lionello Venturi, come peraltro fece anche C.L. Ragghianti. Nel 1940 nella Parigi occupata ebbe lo studio devastato dai nazisti. Di conseguenza a novembre tornò a Napoli dove venne arrestato. Liberato evidentemente anche per l'"illustre" legame familiare, ma sopratutto perché considerato poco pericoloso date le idee e il comportamento contraddittorio e confuso, tanto che – sia pure sotto pseudonimo - lavorò come illustratore e scrittore per la propaganda del regime fascista. 
Nel 1944 si iscrisse al P.C.I. e lo rimase fino al 1956, rivolta d'Ungheria, e si ritirò a vita privata di tipo pragmatico. Tra le eterogenee attività intraprese da Pepe Diaz ci fu anche agli inizi degli anni Cinquanta la pubblicazione del periodico "Scienza e sessualità". Però "ogni volta che esce un nuovo numero, glielo sequestrano immediatamente fino a quando si decide a smettere. Nel 1952 pubblica come editore un libro importante di Sigmund Freud, Mosè e il Monoteismo (curato da Cesare Musatti)".
L'artista riprese a dipingere sul finire degli anni Sessanta, come spiega in una lettera del '66 a Carlo L. Ragghianti che riproduciamo insieme alle altre due, uno allo storico dell'arte, l'altra al gallerista Gian Ferrari (gestore dell'Ufficio vendite della "Mostra Arte Moderna in Italia 1915-35") dove conferma che le uniche opere superstiti dei suoi esordi sono quelle presenti in mostra.

F.R. (6 febbraio 2019)



Oreste Bogliardi (1900-1968) morì l'anno dopo la Mostra di Palazzo Strozzi quando, sempre a Firenze, ricevette il "Fiorino d'oro", ambito riconoscimento convenzionale, di sapore quasi corporativo. Di lui riproduciamo due dipinti anteriori alla conversione astrattista (1934), di cui riproduciamo la Composizione n.12, esposta alla Seconda Quadriennale d'arte italiana di Roma, 1935 e Composizione dipinto donato dall'artista, in seguito alla alluvione 1966, per il costituendo Museo d'Arte Contemporanea (realizzato finalmente nel 2007). In questa sede il suo percorso può essere collegato a quello di Fausto Melotti, nonostante che la loro cultura astratta non sia collegabile stilisticamente.
Non so perché la scheda critica che lo riguarda sia finita tra i redazionali e non richiesta da uno dei critici che sul Catalogo hanno curato la scheda su Fontana, Ghiringhelli, Licini, Soldati. Penso che probabilmente il suo sia stato un ripescaggio avvenuto soltanto in fase di ultima revisione dell'elenco degli artisti partecipanti.

F.R. (9 febbraio 2019)



Ernesto Michahelles (1893-1959), che assunse il nome di Thayaht, divenne ad evidentiam fascistissimo e dopo la guerra – impunito – si occupò anche con impegno di astronomia, ufologia nonché di studi esoterici. Artista eclettico, fu scultore, fotografo, disegnatore, architetto, orafo e stilista, dette il meglio di sè durante il regime mussoliniano. Le opere degli esordi sono interessanti
 ma piuttosto convenzionali, la produzione postbellica fu invece banale. Come "stilista" inventò, con il contributo del fratello Ruggero Alfredo detto RAM (1898-1976), la tuta per la quale è stato anche troppo celebrato e indagato. L'estensore della Scheda, poi, si riservò in "altre occasioni di illustrare le invenzioni decorative e d'arte applicata" di Thayaht.
F.R. (10 febbraio 2019)



Franco Grignani (1908-1999) è stato un artista notevole ed originale già in gioventù; divenne poi determinante nell'innovazione della cultura visiva della seconda metà del sec. XX. Grande è stata la sua notorietà in seguito all'attività di sviluppatore di esperimenti grafici come gli studi e applicazioni sul flou, sulle distorsioni, sulle tensioni e altre applicazioni che hanno coinvolto la costante attenzione dei movimenti visuali della grafica pubblicitaria. Famoso e pluripremiato il marchio "Pura lana vergine" ha avuto riscontri universali e così sono stati altri marchi e bozzetti pubblicitari.
Come pittore è da considerarsi il più sorprendente e, alla lunga convincente, interprete di quella che è chiamata optical art.
Con il testo allegato (1975), scritto da Silvio Coppola (grafico ed artista affermato, stimato amico di Pier Carlo Santini), intendo fornire una valida chiave interpretativa dell'opera di Grignani. In seguito (2016), durante e dopo una mostra sull'artista a Milano, si è affermato decisamente che Grignani è stato un "genio indiscusso". Carlo L. Ragghianti ha avuto per Grignani, quasi suo coetaneo, un'autentica stima e ammirazione per le sue invenzioni, anche se non ha avuto l'opportunità di occuparsi convenientemente della sua creatività. Penso che il motivo per il quale ha avocato a sè la scheda fosse motivato anche dal voler impedire obiezioni esclusorie (il design in quanto tale non era presente in mostra) o affiancamenti incoerenti con l'originalità di Grignani.
F.R. ( 10 febbraio 2019)





Quando insieme a mio padre lo conobbi, Galliano Mazzon (1896-1978) mi fece impressione per il contrasto tra un fisico abbastanza imponente e piuttosto pesante, patriarcale, e il carattere umbratile però bonario, "vispo" persino (come si vede nella fotografia sottostante), forse timido per via di una lunga fragilità dovuta a depressioni. Certamente era un personaggio ammirevole, in totale buona fede, coerente tra la sua arte e l'insegnamento tramitato con un metodo apprezzato internazionalmente, teso allo sviluppo della creatività inventiva dei bambini e dei giovani. Per Mazzon essere stato inserito nella mostra di Palazzo Strozzi fu una tappa importante anche perché "in tale occasione fu riconosciuto da Ragghianti come uno dei primi astrattisti italiani", come sottolinea il "Dizionario Biografico" Treccani. Carlo L. Ragghianti ebbe con lui un lungo incontro per certi versi volto a riconsiderare la storiografia astrattista italiana (e internazionale) e a puntualizzare opere e artisti particolarmente poetici (Licini, ricordo in primis). L'altro argomento lungamente dibattuto fu quello della cosiddetta "Scuola Mazzon", la pupilla dei suoi occhi, di cui ritengo opportuno relazionare sull'argomento in un apposito post, ciò sia per l'importanza di questo progetto in sè, sia 
perché l'espressività dei bambini è stata una costante ricerca di Carlo L. Ragghianti, un argomento che ha sempre considerato molto importante e sul quale ha svolto frammentate indagini puntuali. Per illuminare meglio il significato dell'opera di Galliano Mazzon riporterò tre brani critici di studiosi come Franco Russoli – allievo di Marangoni, soprintendente a Milano – ; Riccardo Barletta (1934) giornalista collaboratore del "Corriere della sera" e de "Il Mondo" nonché di "Critica d'Arte" fondata da C.L.R.; Francesco Vincitorio (1921-1992) critico promettente cui mio padre dette qualche credito, fondatore della rivista "Nac", si banalizzò inseguendo la cronaca spicciola. Segnalo volentieri, perché assai utile per la ricostruzione della figura dell'artista e per la documentazione di opere ed apparati la monografia Galliano Mazzon (Salto Editore, Milano 1969) di Luciano Inga Pin, gallerista milanese e critoco d'arte, promotore delle prime performances in Italia di Body Art e la promozione per la prima volta di Marina Abramovic. Purtroppo il libro, ben stampato, ha il tremendo difetto di sfascicolarsi completamente, proprio foglio per foglio, una volta aperto.
F.R. (11-12 febbraio 2019)



 Fausto Melotti (1901-1986) è stato senza dubbio una delle più sorprendenti se non proprio "riscoperte" (almeno per i critici e gli storici allora di mezz'età) certamente una rivelazione, confermativa di un mito, della Mostra del 1967 non solo per i giovani della mia generazione ma anche per quelli della precedente come Raffaele Monti e persino Pier Carlo Santini. Quel che ne sapevano di Melotti era il fatto che, dopo esordi brillantissimi nei primi anni Trenta, la sua attività si era espressa nella ceramica (del resto poco nota). Possiamo documentare questa fase straordinaria della creatività di Melotti con immagini tratte dal catalogo della Mostra La forza della modernità. Arti (decorative) in Italia, 1920-1950 (per altri artisti si veda il post del 23 dicembre 2018) edito dalla Fondazione Ragghianti di Lucca.
Nel 1967 a Palazzo Strozzi Fausto Melotti venne esposto con una scelta delle poche opere che aveva eseguito nell'arco di pertinenza della mostra, dato che nel 1928 all'Accademia di Brera [e da qui proseguo citando la biografia ufficiale della Fondazione Melotti]:

dove è allievo di Adolfo Wildt, insieme a Lucio Fontana, con il quale stringe un lungo sodalizio. Nel 1932 accetta l’incarico da parte della Scuola artigianale di Cantù per un corso di plastica moderna. Melotti così ricorda:

Noi crediamo che all’arte si arrivi attraverso l’arte, frutto d’intuito personale: perciò tutto il nostro sforzo consiste nell’insegnare il piccolo eroismo di pensare con il proprio cervello. (“Quadrante”,II,n.14-5, Milano, giugno-luglio 1934)

Nel 1935 viene pubblicato “Kn” di Carlo Belli, cugino di Fausto Melotti. Questo testo, che viene definito da Kandinskij “ il Vangelo dell’arte astratta” costituisce l’elaborazione teorica delle sperimentazioni degli artisti astratti che insieme a Belli e a Melotti, si confrontavano al Bar Craya di Milano. Nel 1935 infatti aderisce al movimento “ Abstraction-Création”, fondato a Parigi nel 1931 da Van Doesburg, Seuphor, Vantongerloo con lo scopo di promuovere e diffondere l’opera degli artisti non figurativi. 


Nello stesso anno insieme al gruppo degli astrattisti milanesi partecipa alla prima mostra collettiva di arte astratta nello studio di Casorati e Paolucci a Torino ed espone a Milano alla galleria del Milione in una sua personale sculture di ispirazione rigorosamente contrappuntistica. Melotti sintetizza una sorta di “astrazione musicale” nell’ambito delle arti figurative:

la musica mi ha richiamato, disciplinando con le sue leggi, distrazioni e divagazioni in un discorso equilibrato.…
(Discorso per il Premio Rembrandt, Milano 1973)


E' plausibile pensare che il nominativo di Melotti fosse stato incluso all'ultimo momento nella mostra del '67. Questo fatto spiegherebbe anche perché un artista tanto rinomato sia affidato in catalogo ad una scheda redazionale non firmata da uno dei critici della Commissione. Mi soffermo sull'argomento perché ho notato che Melotti – fiorentino d'adozione – non ha donato un'opera per il costituendo Museo d'Arte Contemporanea di Firenze, presentato al pubblico in Mostra a Palazzo della Signoria, Salone dei Dugento, in seguito all'appello di C.L. Ragghianti.
Dopo la scheda della mostra si riproducono il ritratto dell'artista opera di Marino Marini e un ritratto fotografico di Ugo Mulas; quindi quattro disegni e quattro sculture del periodo fino al 1935.
Segue la scheda di Pier Carlo Santini scritta per il Catalogo/Mostra Arte in Italia 1935-1955 e due fotografie de "I sette saggi", poi ben dettagliata "Cariatide" 1950 e altre splendide ceramiche della prima metà degli anni Cinquanta.
L'attività successiva dell'artista è in costante e coerente svolgimento di una concezione pacata e rigorosa, determinata a realizzarsi senza incertezze limitative dell'originalità delle sculture.
Dato, infine, che questo percorso ha una propria omogeneità, reputo miglior partito illustrarla a sè stante anche per non creare squilibri quantitativi con lo spazio dedicato agli altri artisti astratti di questa serie. Offre il destro a organizzare un post apposito una mostra in corso attualmente alla Estorick Collection of Modern Italian Art, una Fondazione londinese benemerita per la promozione e la conservazione – ad un ottimo livello – dell'Arte del Novecento Italiano, altrimenti poco nota in Gran Bretagna.

F.R. (16 febbraio 2019)

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