Mario
Lepore (1908-1972) è stato oltre che un pittore un critico
"militante" (orrendo ossimoro! dato che la peculiarità
della critica dovrebbe essere indagine cognitiva senza pregiudiziali)
motivo per il quale in questa storica mostra del 1967, come vedremo,
ha curato due schede di pittori (Angelo Del Bon e Umberto Lilloni).
In realtà questi due artisti erano piuttosto estranei alla passata
espressività di Lepore, però entrambi lombardi come il "Corriere
di Informazione", pubblicato a Milano, al quale collaborava per
la critica d'arte. Circa
l'adesione al movimento tardo futurista "Circumvisionista"
(1928) ed altre affini esperienze napoletane sembra che il gruppo di
Lepore abbia cercato più che un revival
futurista una mediazione tra interpretazioni internazionali e le
esperienze di pittori come Gino Rossi, Maggioli, Garbari ed altri.
Comunque questo movimento fu sostanzialmente ignorato dalla critica
allora come poi e di conseguenza se ne sa pochissimo. Perciò la
testimonianza di Lepore – che riportiamo a seguire – è
particolarmente interessante.
Temo anche che non siano estranei motivi "politici" per i
quali Lepore, Pepe Diaz e altri artisti come Pierce e l'architetto
Corchia ed altri ancora durante il fascismo furono osservati con
sospetto e poi perseguitati con sanzioni, esili, confino e un po' di
prigione. Infatti quei giovani si erano tutti – chi più chi meno –
avvicinati alla organizzazione clandestina del Partito Comunista, a
Napoli particolarmente connotata da Amedeo Bordiga (segr. del P.C.I.
dal 1921 al 1924, prima di Gramsci) e lui e i suoi seguaci furono
espulsi soltanto nel 1943. Ciò spiega, almeno in parte, il fatto che
Lepore (e altri) nel dopoguerra vennero via via a trovarsi in
collisione con il Partito e di conseguenza furono emarginati negli
ambienti artistici. Si ricordi infatti che nell'ambito dell'arte
contemporanea il P.C.I. aveva una presenza soverchiante che isolava
coloro che, di sinistra non
marxista e laici, non vollero aderire o non furono accolti negli "spazi" cattolici e d'altro genere. Di
questi aspetti politici Lepore non si diffonde nelle due lettere che
scrisse a Carlo L. Ragghianti circa la sua esperienza artistica e la
colleganza con gli altri artisti citati. Comunque esse rappresentano
un documento chiarificatore riguardo il "Circumvisionismo"
e altri aspetti particolari di questi artisti. Che esse siano
abbastanza importanti lo dimostra la risposta intermedia di mio
padre. Non conosco il motivo per cui oltre a Lepore e a Pepe Diaz non
siano stati inclusi nella Mostra 1915-35 anche Pierce (slittato dopo
un tormentato percorso a destra, in modo analogo a Armando Plebe) e
altri artisti del gruppo Circumvisionista. Certo è che nella Mostra
di Palazzo Strozzi i "movimenti" non sono esposti in quanto
tali ma soltanto rappresentati dagli artisti più significativi ed
anche che di coloro di cui non si era potuto riscontrare in modo
sufficiente l'iter
espressivo la Commissione decideva di non esporli. Di ciò sono
testimone perché partecipai ad alcune riunioni come "assistente
tecnico", cioè gestore del materiale illustrativo e
documentario da dare ai Commissari per le loro valutazioni.
Di
Lepore, in carenza di opere ulteriori a quelle della scheda, mi
sembra utile ricordare l'impegnativo libro Il Pittore,
una sorta di manuale affabile ed utile circa gli aspetti di quel
mestiere creativo pubblicato dalla Vallecchi nel 1962 nella collana
"Il Bersaglio. Saggi e inchieste sulle professioni". Tra i
volumi pubblicati sono da notare diversi accostamenti inaspettati,
come il libro su I Ballerini
scritto da Giorgio Bocca. Dell'opera di Lepore ripropongo il primo
capitolo Genio e mestiere
dalla cui lettura si possono fare osservazioni stimolanti per la
situazione dell'oggi in materia.
Come
Lepore, Luigi Pepe Diaz (1909-1970, investito da un'automobile) –
la cui madre era cugina di Armando Diaz, duca della Vittoria,
Maresciallo d'Italia – sin dal 1928 frequentò l'ambiente
antifascista napoletano legandosi al gruppo futurista
Circumvisionista; fu in seguito vicino anche ad Anton Giulio
Bragaglia. Pur non dichiaratamente comunista fu iscritto come
sovversivo al Casellario politico centrale e nel 1935 si trasferì in
Svizzera, poi in Francia dove frequentò anche Lionello Venturi, come
peraltro fece anche C.L. Ragghianti. Nel 1940 nella Parigi occupata
ebbe lo studio devastato dai nazisti. Di conseguenza a novembre tornò
a Napoli dove venne arrestato. Liberato evidentemente anche per
l'"illustre" legame familiare, ma sopratutto perché
considerato poco pericoloso date le idee e il comportamento
contraddittorio e confuso, tanto che – sia pure sotto pseudonimo -
lavorò come illustratore e scrittore per la propaganda del regime
fascista.
Nel
1944 si iscrisse al P.C.I. e lo rimase fino al 1956, rivolta
d'Ungheria, e si ritirò a vita privata di tipo pragmatico. Tra le
eterogenee attività intraprese da Pepe Diaz ci fu anche agli inizi
degli anni Cinquanta la pubblicazione del periodico "Scienza e
sessualità". Però "ogni volta che esce un nuovo numero,
glielo sequestrano immediatamente fino a quando si decide a smettere.
Nel 1952 pubblica come editore un libro importante di Sigmund Freud,
Mosè e il Monoteismo
(curato da Cesare Musatti)".
L'artista riprese a dipingere sul finire degli anni Sessanta, come
spiega in una lettera del '66 a Carlo L. Ragghianti che riproduciamo
insieme alle altre due, uno allo storico dell'arte, l'altra al
gallerista Gian Ferrari (gestore dell'Ufficio vendite della "Mostra
Arte Moderna in Italia 1915-35") dove conferma che le uniche
opere superstiti dei suoi esordi sono quelle presenti in mostra.
F.R. (6 febbraio 2019)
Oreste Bogliardi (1900-1968) morì l'anno dopo la Mostra di Palazzo
Strozzi quando, sempre a Firenze, ricevette il "Fiorino d'oro",
ambito riconoscimento convenzionale, di sapore quasi corporativo. Di
lui riproduciamo due dipinti anteriori alla conversione astrattista
(1934), di cui riproduciamo la Composizione n.12, esposta alla
Seconda Quadriennale d'arte italiana di Roma, 1935 e
Composizione dipinto donato dall'artista, in seguito alla
alluvione 1966, per il costituendo Museo d'Arte Contemporanea
(realizzato finalmente nel 2007). In questa sede il suo percorso può
essere collegato a quello di Fausto Melotti, nonostante che la loro
cultura astratta non sia collegabile stilisticamente.
Non so perché la scheda critica che lo riguarda sia finita tra i
redazionali e non richiesta da uno dei critici che sul Catalogo hanno
curato la scheda su Fontana, Ghiringhelli, Licini, Soldati. Penso che
probabilmente il suo sia stato un ripescaggio avvenuto soltanto in
fase di ultima revisione dell'elenco degli artisti partecipanti.
F.R. (9 febbraio 2019)
Ernesto Michahelles (1893-1959), che assunse il nome di Thayaht,
divenne ad evidentiam fascistissimo e dopo la guerra –
impunito – si occupò anche con impegno di astronomia, ufologia
nonché di studi esoterici. Artista eclettico, fu scultore,
fotografo, disegnatore, architetto, orafo e stilista, dette il meglio
di sè durante il regime mussoliniano. Le opere degli esordi sono
interessanti
ma piuttosto convenzionali, la produzione postbellica fu invece
banale. Come "stilista" inventò, con il contributo del
fratello Ruggero Alfredo detto RAM (1898-1976), la tuta per la quale
è stato anche troppo celebrato e indagato. L'estensore della Scheda,
poi, si riservò in "altre occasioni di illustrare le invenzioni
decorative e d'arte applicata" di Thayaht.
F.R. (10 febbraio 2019)
Franco Grignani (1908-1999) è stato un artista notevole ed originale
già in gioventù; divenne poi determinante nell'innovazione della
cultura visiva della seconda metà del sec. XX. Grande è stata la
sua notorietà in seguito all'attività di sviluppatore di
esperimenti grafici come gli studi e applicazioni sul flou, sulle
distorsioni, sulle tensioni e altre applicazioni che hanno coinvolto
la costante attenzione dei movimenti visuali della grafica
pubblicitaria. Famoso e pluripremiato il marchio "Pura lana
vergine" ha avuto riscontri universali e così sono stati altri
marchi e bozzetti pubblicitari.
Come pittore è da considerarsi il più sorprendente e, alla lunga
convincente, interprete di quella che è chiamata optical art.
Con il testo allegato (1975), scritto da Silvio Coppola (grafico ed
artista affermato, stimato amico di Pier Carlo Santini), intendo
fornire una valida chiave interpretativa dell'opera di Grignani. In
seguito (2016), durante e dopo una mostra sull'artista a Milano, si è
affermato decisamente che Grignani è stato un "genio
indiscusso". Carlo L. Ragghianti ha avuto per Grignani, quasi suo coetaneo,
un'autentica stima e ammirazione per le sue invenzioni, anche se non
ha avuto l'opportunità di occuparsi convenientemente della sua
creatività. Penso che il motivo per il quale ha avocato a sè la
scheda fosse motivato anche dal voler impedire obiezioni esclusorie
(il design in quanto tale non era presente in mostra) o
affiancamenti incoerenti con l'originalità di Grignani.
F.R. ( 10 febbraio 2019)
Quando insieme a mio padre lo conobbi, Galliano Mazzon (1896-1978) mi
fece impressione per il contrasto tra un fisico abbastanza imponente
e piuttosto pesante, patriarcale, e il carattere umbratile però
bonario, "vispo" persino (come si vede nella fotografia
sottostante), forse timido per via di una lunga fragilità dovuta a
depressioni. Certamente era un personaggio ammirevole, in totale
buona fede, coerente tra la sua arte e l'insegnamento tramitato con
un metodo apprezzato internazionalmente, teso allo sviluppo della
creatività inventiva dei bambini e dei giovani. Per Mazzon essere
stato inserito nella mostra di Palazzo Strozzi fu una tappa
importante anche perché "in tale occasione fu riconosciuto da
Ragghianti come uno dei primi astrattisti italiani", come
sottolinea il "Dizionario Biografico" Treccani. Carlo L. Ragghianti ebbe con lui un lungo incontro per certi versi
volto a riconsiderare la storiografia astrattista italiana (e
internazionale) e a puntualizzare opere e artisti particolarmente
poetici (Licini, ricordo in primis). L'altro argomento
lungamente dibattuto fu quello della cosiddetta "Scuola Mazzon",
la pupilla dei suoi occhi, di cui ritengo opportuno relazionare
sull'argomento in un apposito post, ciò sia per l'importanza di
questo progetto in sè, sia
perché l'espressività dei bambini è stata una costante ricerca di Carlo L. Ragghianti, un argomento che ha sempre considerato molto importante e sul quale ha svolto frammentate indagini puntuali. Per illuminare meglio il significato dell'opera di Galliano Mazzon
riporterò tre brani critici di studiosi come Franco Russoli –
allievo di Marangoni, soprintendente a Milano – ; Riccardo Barletta
(1934) giornalista collaboratore del "Corriere della sera"
e de "Il Mondo" nonché di "Critica d'Arte"
fondata da C.L.R.; Francesco Vincitorio (1921-1992) critico
promettente cui mio padre dette qualche credito, fondatore della
rivista "Nac", si banalizzò inseguendo la cronaca
spicciola. Segnalo volentieri, perché assai utile per la
ricostruzione della figura dell'artista e per la documentazione di
opere ed apparati la monografia Galliano Mazzon (Salto
Editore, Milano 1969) di Luciano Inga Pin, gallerista milanese e
critoco d'arte, promotore delle prime performances in Italia di Body
Art e la promozione per la prima volta di Marina Abramovic. Purtroppo
il libro, ben stampato, ha il tremendo difetto di sfascicolarsi
completamente, proprio foglio per foglio, una volta aperto.
F.R. (11-12 febbraio 2019)
Fausto Melotti (1901-1986) è stato senza dubbio una delle più
sorprendenti se non proprio "riscoperte" (almeno per i
critici e gli storici allora di mezz'età) certamente una
rivelazione, confermativa di un mito, della Mostra del 1967 non solo
per i giovani della mia generazione ma anche per quelli della
precedente come Raffaele Monti e persino Pier Carlo Santini. Quel che
ne sapevano di Melotti era il fatto che, dopo esordi brillantissimi
nei primi anni Trenta, la sua attività si era espressa nella
ceramica (del resto poco nota). Possiamo documentare questa fase
straordinaria della creatività di Melotti con immagini tratte dal
catalogo della Mostra La forza della modernità. Arti (decorative)
in Italia, 1920-1950 (per altri artisti si veda il post del 23
dicembre 2018) edito dalla Fondazione Ragghianti di Lucca.
Nel 1967 a Palazzo Strozzi Fausto Melotti venne esposto con una
scelta delle poche opere che aveva eseguito nell'arco di pertinenza
della mostra, dato che nel 1928 all'Accademia di Brera [e da qui
proseguo citando la biografia ufficiale della Fondazione Melotti]:
dove è allievo di Adolfo Wildt, insieme a Lucio Fontana, con il
quale stringe un lungo sodalizio. Nel 1932 accetta l’incarico da
parte della Scuola artigianale di Cantù per un corso di plastica
moderna. Melotti così ricorda:
Noi crediamo che all’arte si arrivi attraverso l’arte, frutto
d’intuito personale: perciò tutto il nostro sforzo consiste
nell’insegnare il piccolo eroismo di pensare con il proprio
cervello. (“Quadrante”,II,n.14-5, Milano, giugno-luglio 1934)
Nel 1935 viene pubblicato “Kn” di Carlo Belli, cugino di Fausto
Melotti. Questo testo, che viene definito da Kandinskij “ il
Vangelo dell’arte astratta” costituisce l’elaborazione teorica
delle sperimentazioni degli artisti astratti che insieme a Belli e a
Melotti, si confrontavano al Bar Craya di Milano. Nel 1935 infatti
aderisce al movimento “ Abstraction-Création”, fondato a Parigi
nel 1931 da Van Doesburg, Seuphor, Vantongerloo con lo scopo di
promuovere e diffondere l’opera degli artisti non figurativi.
Nello stesso anno insieme al gruppo degli astrattisti milanesi partecipa alla prima mostra collettiva di arte astratta nello studio di Casorati e Paolucci a Torino ed espone a Milano alla galleria del Milione in una sua personale sculture di ispirazione rigorosamente contrappuntistica. Melotti sintetizza una sorta di “astrazione musicale” nell’ambito delle arti figurative:
la musica mi ha richiamato, disciplinando con le sue leggi, distrazioni e divagazioni in un discorso equilibrato.…
(Discorso per il Premio Rembrandt, Milano 1973)
E' plausibile pensare che il nominativo di Melotti fosse stato
incluso all'ultimo momento nella mostra del '67. Questo fatto
spiegherebbe anche perché un artista tanto rinomato sia affidato in
catalogo ad una scheda redazionale non firmata da uno dei critici
della Commissione. Mi soffermo sull'argomento perché ho notato che
Melotti – fiorentino d'adozione – non ha donato un'opera per il
costituendo Museo d'Arte Contemporanea di Firenze, presentato al
pubblico in Mostra a Palazzo della Signoria, Salone dei Dugento, in
seguito all'appello di C.L. Ragghianti.
Dopo la scheda della mostra si riproducono il ritratto dell'artista
opera di Marino Marini e un ritratto fotografico di Ugo Mulas; quindi
quattro disegni e quattro sculture del periodo fino al 1935.
Segue la scheda di Pier Carlo Santini scritta per il Catalogo/Mostra
Arte in Italia 1935-1955 e due fotografie de "I sette
saggi", poi ben dettagliata "Cariatide" 1950 e altre
splendide ceramiche della prima metà degli anni Cinquanta.
L'attività successiva dell'artista è in costante e coerente
svolgimento di una concezione pacata e rigorosa, determinata a
realizzarsi senza incertezze limitative dell'originalità delle
sculture.
Dato, infine, che questo percorso ha una propria omogeneità, reputo
miglior partito illustrarla a sè stante anche per non creare
squilibri quantitativi con lo spazio dedicato agli altri artisti
astratti di questa serie. Offre il destro a organizzare un post
apposito una mostra in corso attualmente alla Estorick Collection of
Modern Italian Art, una Fondazione londinese benemerita per la
promozione e la conservazione – ad un ottimo livello – dell'Arte
del Novecento Italiano, altrimenti poco nota in Gran Bretagna.
F.R. (16 febbraio 2019)
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