Nell'eccellente
volume “Mostre permanenti”. Carlo Ludovico Ragghianti in un
secolo di esposizioni a cura di
Silvia Massa ed Elena Pontelli (libro importante e di mole cospicua
del quale in questo blog sarà data ampia notizia), edito dalla
Fondazione Centro Studi Ragghianti di Lucca, l'ottavo capitolo (pp.
101-114) dà sintetico ragguaglio di un progetto di R. naufragato. Le
cause furono molteplici: alcune tipicamente firenzine, cioè proprie di un
luogo dove la prima motivazione di molti, moltissimi è cercare di
impedire ogni altrui iniziativa, soprattutto se sensata. Ci sono poi
motivi contingenti quali resistenze corporative degli artisti
Fiorinisti, e altre scontate riserve aprioristiche, ma soprattutto il
determinante cambio di Sindaco. Dall'eccellente, indipendente,
duttile e pragmatico, fattivo Mario Fabiani (del quale ho bellissimi
ricordi) la città si era consegnata nelle mani del “santo” La
Pira e, per quel che riguarda la cultura artistica, del retrivo (ma
simpaticone, se voleva) e modesto Piero Bargellini, epigono del
firenzismo più borné: fece
togliere tutti i pubblici vespasiani. Evidentemente i clericali non
soffrono di prostata! Di questa mostra “rapita” (come la definì
C.L.R. tramite lo pseudonimo Lorenzo Ferro) l'autore del progetto
accenna anche nel post
precedente (v. 16 luglio 2019) a
p. 77 e negli ultimi paragrafi dell'articolo dove così si esprime:
“... conclude un ciclo di opere (la mostra “rapita”) che non
spetta certo a chi scrive di valutare, ma che ritengo obiettivo
considerare come un moderno e concreto sviluppo di attività e di
esigenze, che il carattere della vita e della cultura moderna
rendono, come si vede sempre meglio, un problema attuale e, quel che
più conta, valido non soltanto agli effetti spirituali.”
In conclusione, dell'arte allora contemporanea viene
sottolineata l'attività che viene ricordata attraverso la mostra di
pittura italiana in Germania, da Monaco di Baviera, ad Amburgo, e in
altri luoghi fino a Berlino Ovest, allora assediata dai sovietici.
In
questo post, dopo l'articolo di Lorenzo Ferro alias R., non so dove e
se pubblicato, concluso in due varianti, probabilmente per dare
all'amico Sindaco uscente di scegliere quella ritenuta più
opportuna, seguono alcuni documenti riguardanti il progetto
espositivo. L'Appunto al
Sindaco del 12 ottobre 1950 chiarisce che nel proporre una mostra
Biennale d'arte italiana contemporanea a Firenze non c'è nessun
intento di concorrenza con la Biennale di Venezia, la quale non si
dichiara contraria alla iniziativa fiorentina.
Seguono
le due pagine del Comunicato n. 1 delle
Annuali d'arte antica e moderna.
Riporto infine l'articolo pungente di Polignoto (pseudonimo di
Leonardo Borgese su “L'Europeo”) datato 18 febbraio
1951. Questa
mostra “rapita” era in questo blog ricordata anche da Renzo
Federici con la consueta acidità) nell'articolo pubblicato nei
Necrologi,2
riguardanti Carlo L. Ragghianti nei termini seguenti:
L'occasione fu il progetto, avanzato nella seconda metà
del '50, di una grande mostra nazionale di arte contemporanea, da
tenersi l'anno successivo, una sorta di bilancio delle forze più
vive del Paese post-liberazione, cominciando dai Grandi Vecchi,
allora ancora ben vegeti, via via fino ai giovani, senza preclusione
di tendenze naturalmente, ma grande attenzione portata alla qualità.
Di “Biennale di Firenze” parlarono subito i giornali: “ Se
quella mostra si fosse fatta il seguito dell'arte italiana sarebbe
stato ben diverso”, mi confessò una volta con rimpianto, molti
anni dopo, Giuseppe Marchiori. Invece si scatenò un putiferio,
nonostante la somma autorevolezza del Comitato critico: di locali
inferociti, di amministratori, critici, galleristi, forse partiti
preoccupati delle elezioni ormai alle porte. Nella bufera si
trovarono soprattutto il sindaco comunista di allora, Mario Fabiani,
e naturalmente Ragghianti, il più esposto di tutti. Alla fine fu il prefetto
che proibì la mostra “per ragioni di ordine pubblico”! (e la mostra era ancora allo stato di progetto). Certamente C.L.R. non fu soddisfatto di questo esito,
però nel suo consueto realismo – che non gli impediva, anzi, di
battersi consapevolmente per cause perse per motivi oggettivamente
preminenti – non si peritò di sfidare quella seconda ventata di
regresso reazionario politico, conseguente della prima manifestazione
codina: il 18 aprile 1948, seconde elezioni politiche. Quindi solo
col fare, coll'agire C.L.R. poteva manifestare la propria volontà
etica di operare nella cultura in tutte le sedi opportune. Spargere
semi che possono attecchire, o altrimenti essere scoperti e coltivati
in un futuro migliore. Agire anche nell'insuccesso perché possano
radicarsi e diffondersi i semi della critica e della ragione.
F.R. (2 giugno 2019)
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