Nato a Novara nel 1928, allievo di D'Ancona e Gengaro a Milano (i quali godevano della palese disistima professionale da parte di Carlo L. Ragghianti) divenne assistente di Anna Maria Brizio (studiosa seria e benvoluta da R. quale prima formatrice di sua moglie Licia Collobi) Marco Rosci ha svolto presso l'Università di Torino il cursus honorum fino ai gradi più alti dell'insegnamento.
Data l'età attuale, gli auguro almeno il non lontano traguardo del secolo di vita. M'auguro anche che sia stato estraneo ai patimenti universitari torinesi di Gian Lorenzo Mellini, un amico, per altro non privo di grintosa aggressività, come riscontrai nel periodo nel quale lavorammo insieme alla "sciagurata" Arte in Italia dell'Editore Casini.
Mi risulta che con Carlo L. Ragghianti Marco Rosci non ha avuto rapporti diretti di qualche importanza. Quando C.L.R. fu incaricato da Silvio Locatelli di risistemare e "coordinare" la Storia della pittura della De Agostini (edita nel 1986) non si oppose alla partecipazione già stabilita di Rosci – coadiuvato da Pier Giorgio Dragone
(figlio di Angelo, critico de "La Stampa") e da Antonello Negri – per realizzare il decimo volume: Il secolo XX. Mentre diversi studiosi incaricati della precedente gestione, invece, furono ricusati e sostituiti.
Trovo, infine, una fotocopia – pessima – di un articolo pubblicato sul supplemento Tutto libri de "La Stampa" di Torino dell'8 gennaio 2000. Lo riproduco comunque dato che il testo di Marco Rosci, recensendo la Mostra Tempo sul tempo. C.L. Ragghianti e il carattere cinematografico della visione ricorda che "Ragghianti, critico, storico e teorico di primissimo rango, di straordinarie intuizioni e precognizioni interdisciplinari sulle arti visive dalla preistoria all'età elettronica, e personaggio scomodissimo, fu il grande rimosso".
Marco Rosci, di 18 anni più giovane di Sergio Bonfantini, è stato molte volte critico attento e puntuale del percorso espressivo del pittore, di cui era divenuto molto amico e sincero ammiratore.
F.R. (13 febbraio 2022)
Figlio del sindaco socialista di Novara estromesso dai fascisti, resistente con i fratelli illustri partigiani (Corrado, comandante e protagonista della Repubblica d'Ossola, poi deputato P.S.I.; Mario francesista e scrittore) Sergio Bonfantini (1910-1989) fu pittore per vocazione, autodidatta fino ad una sorta di tirocinio presso Felice Casorati.
La spiccata vocazione sociale del suo lavoro, indipendente dalla predominante retorica comunista, si coniuga per tutta l'esistenza nel cercare – soprattutto attraverso le nature morte – una propria ideale perfezione formale.
Nel “capitolo” di Artisti italiani (“seleArte, n.63, mag.-giu. 1963, pp.8,9) a lui intestato, Carlo L. Ragghianti lo segnalò tra le personalità artistiche italiane mature e di sicuro avvenire. Un testo essenziale, per il quale il pittore scrisse a C.L.R. un sincero ringraziamento (v. lettera allegata).
Successivamente C.L. Ragghianti si occupò di Bonfantini con una lettera critica alla gallerista Laura Gori, la quale gli aveva mostrato in anteprima i dipinti che avrebbe esposto in Piazza Santa Croce a Firenze (20 febbraio 1985). Nello stesso anno, nella rubrica “Biblioteca” di “Critica d'Arte” (III s., n.5, 1985), C.L.R. conferma la qualità del lavoro del pittore, scrivendo tra l'altro: “In 50 anni di carriera artistica Bonfantini ha compiuto molto silenziosamente e con molta indipendenza un grande viaggio”.
Nel corso della sua lunga attività, Bonfantini è stato seguito dalla critica in modo abbastanza costante, se si tien conto del suo volontario isolamento novarese e dell' “understatement” caratteriale. Fin dalla propria giovinezza, in particolare, Marco Rosci ha dedicato costante attenzione alla pittura di Bonfantini, con numerosi interventi articolati e propositivi.
Non stupisce, ovviamente, l'assidua presenza critica da parte degli studiosi contemporanei piemontesi, da Aldo Bertini a Carluccio, comprendente anche lo scrittore e
cineasta Mario Soldati, di cui riportiamo uno degli interventi.
Mi ha stupito la paginetta (in bianco e nero!) dedicata a Bonfantini dal Catalogo/Mostra Arte in Italia 1935-55 (evidente ideale prosecuzione dell'esperienza Arte Moderna in Italia 1915-1935). Spero che questa sottovalutazione evidente non sia derivata da considerazioni critiche o politiche ma soltanto sia dipesa da qualche problema redazionale insorto all'ultimo momento. Comunque non riporto come di consueto la scheda, perché insoddisfacente. Anche il testo di Angelo Dragone (che in circostanze posteriori vedo ammiratore di Bonfantini) è un po' “moscio”. Ne riporto questa citazione: “In Bonfantini le aspirazioni culturali hanno continuato a fondersi con originale radice che accomuna il paesaggio e la gente della sua terra … dal Foppa al Fontanesi … da Tosi a Carrà; ma con una rustica concretezza di immagini”.
Concludo la rassegna critica appendicolare con la testimonianza di Stefano Ghiberti (pseudonimo di Enzo Fabiani – 1924 - 2013 – poeta, scrittore e critico d'arte sul quale vedasi post del 18 marzo 2018). Questo critico toscano incontra il pittore (morto nel gennaio 1989) nel dicembre 1988 e pubblica la propria partecipe intervista in “Arte” (gen.1989) dalla quale estrapoliamo le prime due pagine. Personalmente mi hanno sorpreso in Bonfantini certe atmosfere rese immortali da Edward Hopper (1882-1967), artista di cui negli anni Trenta molto probabilmente il pittore novarese ignorava l'esistenza.
Non seguo molto l'attualità, per vari motivi, il principale dei quali è l'età avanzata, ho però avuto l'impressione – cercando riscontri e informazioni – che lo scontroso Sergio Bonfantini sia negletto dall'attenzione storico-critica, la quale evidentemente si pasce soddisfatta da “artisti poveri”, da Koons e consimili furbeschi fenomeni di “escamotage” per “épater le bourgeois”.
F.R. (13 febbraio 2022)
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