Aver indicato nel post (8
maggio 2017), in cui ho parlato della costante attenzione di lettura
e critica di mia madre verso la poesia, che esso era la “prima
parte” è stato da parte mia un po' azzardato in termini
classificatori, se non altro perché una cosa è conoscere
l'interesse, la predilezione, un'altra è dimostrarlo e documentarlo
dandone resoconti dettagliati. Difatti ho avuto qualche difficoltà a
organizzare questa seconda puntata, disponendo di materiali
incontrovertibili ma non della reazione puntuale di più o meno e
quanto gradimento riponesse Licia Collobi in molti di quei
componimenti poetici.
Quel che è comunque
certo è l'assidua passione per l'espressione poetica manifestata
sempre e continuativamente in osservazioni, citazioni, richiami con
me (e, presumo, gli altri figli all'occorrenza) quando si sincerava
della preparazione scolastica. In certi casi lei recitando a memoria
i testi contenuti nelle antologie, mi spronava a seguirne le cadenze,
a capirne la struttura e il significato. Capitava poi non di rado che
trattenesse presso di sé per qualche ora o giorno il libro (fosse di
letteratura italiana, latina, greca o francese) per leggerne anche le
parti di solito non approfondite dagli insegnanti e ignorate da noi
scolari. Capitava anche che a fronte delle lacune nell'esposizione
delle mie scombinate e onnivore letture in certi pomeriggi nei quali
mi rifugiavo nel suo studio o quando – più spesso purtroppo –
ero al suo capezzale per farle compagnia durante una delle frequenti
indisposizioni polmonari che l'affliggevano, lei mi leggesse o
recitasse a memoria brani per farmene capire l'intonazione, il giusto
significato. Succedeva anche che poi proseguisse con altri testi,
altri autori che le stavano a cuore. Anche sul finire della sua vita
travagliata, quando era praticamente allettata e ipovedente prima
delle operazioni, scacciava apprensione, tristezza, noia col
recitarsi a memoria poesie, traendone conforto evidente.
Nel post precedente ho
ricordato la Collana Cederna, da me integrata, forse completata,
quando lavoravo in Vallecchi che ne era il distributore, conservata
nello scaffale custode dei libri da recensire per “SeleArte” o
“Critica d'Arte”, dei libri particolarmente apprezzati e dei
libri di poesia. Tra questi ultimi Leopardi, Foscolo (ed. Nazionale),
D'Annunzio, (Carducci lo tenevo consensualmente tra i miei libri),
traduzioni dei classici greci, antologie, e le belle e lussuose
edizioni degli anni '50 dei classici italiani di
Einaudi. Sempre quello scaffale, in un ripiano in basso, coperto un
po' dalla scrivania, custodiva una scatola di metallo (non ricordo se
già di biscotti o di cioccolatini) contenente praticamente buona
parte dei piccoli o minuscoli libri editi da Scheiwiller col marchio
“all'insegna del pesce d'oro” e altre edizioni di piccolo
formato. Tra questi c'era anche il volume Non era un sogno, vi
dico con uno scritto di Ferruccio
Parri, poesie di Dylan Thomas, Tadeusz Rosewicz, Nazim Hikmet,
Vittorio Sereni, Alfonso Gatto, Franco Fortini, Agostino Neto, Maria
Banus, Bertold Brecht e disegni di Luigi Broggini (Edizioni di Corso
Garibaldi – corrispondente all'indirizzo di Broggini – Milano,
1964). Si tratta di una scelta tematica, la guerra, che “è un
grido di ribellione contro la bestialità demoniaca che squarta le
madri e i bambini, che fa strage dei popoli” (scrive Ferruccio
Parri). Riproduco il libretto qui di seguito perché di contenuti
idonei alla meditazione e alla condanna anche nei mala tempora
che viviamo o che ci aspettano a causa del tradimento e/o l'ignavia
degli eletti a detenere, “amministrare” e preservare i valori e
le speranze del popolo italiano qui da noi, della fratellanza umana
anche altrove. A proposito di Luigi Broggini (si veda il post del 3 luglio 2018, che riguarda la sua attività con pernio sulla mostra “Arte Moderna in Italia 1915-1935”) oltre alla riproduzione dei disegni del
libretto si
rende nota una lettera di Carlo L. Ragghianti a Giuseppe Mazzariol
(18 marzo 1976), nella quale mio padre dà un giudizio piuttosto
lusinghiero dell'artista nell'ambito di una circostanza espositiva
poco nota. Si riproduce anche un affettuoso ricordo dello scultore e
poeta scritto da Gina Lagorio, cara persona oltre che notevole
scrittrice e intellettuale – conosciuta personalmente dalla
famiglia Ragghianti tramite le scultrice savonese Renata Cuneo –
che strinse amicizia con i miei genitori negli ultimi anni della loro
attività. L'articolo, datato 27 maggio 1982, mi pare provenga da “La
Nazione” di Firenze a giudicare dai caratteri tipografici.
Va ricordato infine circa
Licia Collobi che i tanti altri libri di poesie o di prose di poeti,
prevalentemente di formato in 16°, erano conservati nei ripiani
bassi, anche su due file parallele piuttosto sbilenche e in
disordine. Tra essi numericamente consistenti le benemerite “Edizioni
dello Zibaldone” promosse e curate amorevolmente dalla poetessa
triestina Anita Pittoni, un'amica quasi esclusivamente di penna
giacché mia madre nei 45 anni del suo dopoguerra sarà andata a
Trieste non più di una decina di volte, quasi sempre a scappa e
fuggi per funebri avvenimenti della sua famiglia. Oppure vi si recava
d'estate – quando in città non c'era nessuno – per godersi
Trieste in pace e la sua zia prediletta Maria Domazetovich, vedova
Fasanella, dopo quella di un certo Raicich, parente dello studioso
Marino residente a Firenze.
Come sempre con mia
madre, anche nel caso della Pittoni c'è il problema della
reperibilità della corrispondenza inviatale e incomprensibilmente di
quella da lei spedita. Non so se e quanto del loro scambio epistolare
sia presente nell'Archivio (che presumo esistere) della poetessa; di
certo non so che fine abbiano fatto parte delle lettere ricevute
dalla Pittoni o da altri corrispondenti. Mia madre non era
presuntuosa ma era perfettamente consapevole della sua incidenza
nella storia della cultura e, perché no, di quella sociopolitica.
Poi va considerato che lei confidava nella sua prodigiosa memoria e
che di conseguenza non conservava minute o copie salvo che di ciò
che riguardava atti pubblici. Della sua corrispondenza familiare e
giovanile era riuscita a salvare dai traslochi e dai saccheggi una
parte dei documenti. Probabilmente su questa sua sconsiderata
abitudine di non conservare con cura le corrispondenze personali ha inciso l'abitudine
degli anni della cospirazione antifascista e della Resistenza in
clandestinità di imparare a memoria tutto ciò che valeva la pena e
di distruggere il superfluo. Certo era sopraffatta dall'esorbitante
massa cartacea che ha sempre occupato le nostre abitazioni, ma non
capisco perché avrebbe dovuto sacrificare soltanto le sue carte. Che
tra parentesi sarebbero state utilissime perché con le persone lei
riusciva a immedesimarsi nei loro problemi cercando di aiutarle a
risolverli. Proprio i documenti che in genere mancano agli storici
per dare resoconti psicologicamente attendibili. Ci penserò ancora a
questo piccolo mistero, innocuo ma importante a illuminare la vera
esistenza del prossimo. Perciò per conoscere tanti giudizi,
atteggiamenti,opinioni non professionali di Licia Collobi non resta
che affidarsi ai suoi corrispondenti sperando in una loro capacità
conservativa e nei discendenti di chi non è stato archiviato
ufficialmente.
Tornando ai suoi libri,
comunque tra i miei disordinati scaffali e nel caotico Archivio ce ne
sono diversi superstiti, allineati magari nel topografico (Friuli
Venezia Giulia, soprattutto) o con gli Autori (Tobino,Bassani, ecc.
ecc.). Il resto dovrebbe essere nella Biblioteca della Fondazione
Ragghianti di Lucca, dove chi mi sopravviverà manderà quelli
attualmente qui giacenti.
F.R. (ottobre 2017)
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