Carlo e Licia

Carlo e Licia

Archivio

Cerca nel blog

martedì 3 luglio 2018

L'Arte Moderna in Italia, 7 - FURLOTTI, METELLI, BARBIERI, BROGGINI, CAGLI, CAPOGROSSI,



Post precedenti:

1. 30 dicembre 2017
Presentazione di Carlo L. Ragghianti.
Criteri del Catalogo, Bibliografia generale. Comitato d'onore; Comitato esecutivo; Comitato tecnico; Comitato di consulenza nazionale; Consiglio A.T.T. di Firenze; Consiglio de “La Strozzina”;  organizzatori percorso museografico; segreterie; fornitori dell'esposizione.
2. 31 dicembre 2017
Criteri assegnazione schede critiche; criteri per la consultazione del Catalogo e quelli distintivi di questa rievocazione.
Artisti: ALCIATI, Nino BARTOLETTI, Pasquarosa BARTOLETTI, BIASI, BONZAGNI, BOSIA, BUCCI, CHECCHI, COSTETTI, FERRO.
3. 28 febbraio 2018
Artisti: GALIZZI, GEMITO, GRAZIOSI, Piero MARUSSIG, OPPI, PENAGINI, PRENCIPE, SPADINI, WILDT.
4. 25 marzo 2018
Artisti: BACCI, DUDREVILLE, GOLA, MAGRI, PARESCE, RAMBELLI, BARTOLI NATINGUERRA, GUIDI.
5. 15 aprile 2018
Artisti: BARTOLINI.
6. 4 maggio 2018
Artisti: SAVINIO, TROMBADORI, MONACHESI, FONTANA, MUNARI, FRANCALANCIA.



Grazie alla indefessa e sincera attività promozionale, forse non del tutto disinteressata ma efficace, dello scultore Aurelio De Felice (1915-1996) Orneore Metelli a guerra appena finita da Parigi fu designato come, se non l'unico, certo uno dei pochissimi pittori cosiddetti Naȉfs da considerare erede del Doganiere Rousseau. Metelli fu infatti definito e accettato come il “Rousseau” del XX secolo. Per altro verso il calzolaio di Terni fu precursore, come creatore e interprete di calzature speciali e di lusso, del poi celeberrimo Salvatore Ferragamo. Metelli si dedicò alla sua riposta, nascosta vocazione e passione primaria per la pittura subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Tuttora viene considerato nel mondo uno dei principali interpreti dell'espressività pittorica ingenua e autodidattica, anche se poco rappresentato perché le sue opere non sono nel giro commerciale perché, credo, sono “musualizzate” o comunque in collezioni stabili, consolidate.
Carlo L. Ragghianti già prima della guerra conobbe l'esistenza di questo artista appartato e seguì nel 1946 il “revival” promosso da De Felice. Il critico fu sempre attento alle forme non canoniche di espressività originale (e infatti, ad es., non apprezzava fenomeni come quello dei Naȉfs jugoslavi (sloveni) derivati da Generalić. C.L.R. fu tra l'altro, su indicazione di Ida Cardellini se ben ricordo, uno degli “scopritori” di Venturino Venturi, allora considerato dai più soltanto un malato di mente che si esprimeva figurativamente – cioè categoria “Art Brut” –. Di conseguenza, con amici come Mario Luzi, definì subito Venturino artista senza qualificazioni limitative e fuorvianti. Così C.L.R. apprezzò la “scoperta” – vantata da Enrico Vallecchi – di Francesco Galeotti da Marradi, come il poeta Campana, e ne pubblicò in “SeleArte” (n.48, p.84) un grande disegno acquistato dal “gestore dell'artista” Vallecchi in segno di incoraggiamento e di stima. (Che io sappia mio padre per lo stesso motivo ha acquistato un dipinto soltanto dal mio amico Rodolfo Ceccotti). Purtroppo i miei genitori non hanno conosciuto l'opera di un artista di Urbino, Adolfo Paulucci, che l'acume critico di Guido Pinzani scovò e fece conoscere anche a Firenze nell'indifferenza blasé di critici e colleghi, fatta eccezione per il poeta Renzo Gherardini. Questi ha scritto alcune pagine convinte su questo autentico ed originale “ingenuo”, pittore ed incisore da quando fu pensionato delle Ferrovie. Penso che riproporrò questo scritto in occasione di render pubbliche le opere edite a nostra conoscenza e 
quelle di cui Rosetta ed io – grazie a Guido – siamo collezionisti gelosi. Su “SeleArte” (n.8, sett.-ott. 1953, p.32) C.L.R. recensì la monografia di Pierre Cousthion che consacrò l'artista a livello internazionale. Interessanti e valide testimonianze critiche sono gli scritti di Luigi Bartolini (Milano 1948, All'Insegna del Pesce d'Oro) in traduzione francese poi ripresa nell'originale italiano su “Le Arti”, rivista diretta da Garibaldo Marussi (1969, con tiratura speciale per Comune e Provincia di Terni) e il noto e importante saggio di Libero Bigiaretti (Centro Culturale Olivetti, Ivrea 1957). C'è anche la monografia (Stefano De Luca, Roma 1973), che contiene la testimonianza Il mio incontro con O.M. di Aurelio De Felice (p.11-14) che riportiamo in questa sede e alla quale seguono una serie di riproduzioni a colori di dipinti di Metelli.
A titolo di cronaca ricordo, infine, Aurelio De Felice che un mattino pre estivo del 1966 si fiondò in casa nostra alla Costa cercando ansioso “il professor Ragghianti” (e gli andò bene perché R. c'era; non così per il pittore Consagra che trovò solo mia madre, non ricordo se prima o dopo), fu ricevuto, pranzò con noi, si trattenne per parte del pomeriggio finché lo riportai alla stazione. S'era imposto, per altro con garbo un po' gigionesco, perché voleva perorare la presenza di Metelli nella Mostra 1915-35 in preparazione. Mio padre la prese con spirito ed anzi gli disse che la sua venuta era una fortunata coincidenza perché, volendo esporre degnamente Metelli, il Comitato esecutivo era in difficoltà non trovando ancora a chi rivolgersi per reperire le opere occorrenti. La permanenza pomeridiana fu più che altro occupata da comuni ricordi romani e parigini nonché dall'attività di De Felice scultore, che R. conosceva comunque bene e apprezzava direi non a torto. Personalmente – sempre un po' moralista – nutrii riserve su questa persona estroversa e spontanea ma palesemente furba, navigata, opportunista. Appena diplomato all'Accademia di Belle Arti nel 1940 fu anche “littore”, nel 1941 per fascistica “chiara fama” – vedo – è nominato professore ordinario; nel 1946, guarda caso, si rifugia in Francia, dove poi i nostri governi clericali gli hanno concesso di creare e dirigere a Parigi la “Scuola d'Arte Italiana” e nel 1961 venne incaricato di fondare l'Istituto d'Arte di Terni. Il tutto con rapporti stretti con socialisti e comunisti. La solita Italia, oggi in aspettativa di grillinarsi e leghizzarsi (sempre solo se durano).

F.R. (15 maggio 2018)

Benché entrambi residenti a Roma attorno alla metà degli anni trenta, Barbieri e Ragghianti è molto probabile   che non si siano conosciuti personalmente, nonostante amici comuni come Scipione, Flaiano ecc. Ritengo che ciò sia avvenuto a causa delle preponderanti frequentazioni del coetaneo pittore con letterati e poeti, che R. invece schivava perché spesso essi non erano antifascisti e comunque   non troppo affidabili per fermezza di carattere e lealtà. Certamente l'apprezzamento per la qualità dell'opera di Barbieri - vista di sicuro presso Pier Maria Bardi – è evidente ma non commosso come lo si è per la morte di un propio amico. Finalmente dopo più di un mese che lo ho ordinato su eBay (va bene che non tutti vogliono essere celeri come gli “schiavisti” di Amazon, però..) è arrivato il volumetto monografia scritto da Giovanni Scheiwiller (Hoepli, Milano 1946) che integra e 
completa la documentazione che mi è occorsa per questo capitolo dell'8° post  Arte moderna in Italia 1915-1935. Essa è importante perché, costituendo la prima rievocazione critica del giovane artista, fornisce documentazione ed è orientata essenzialmente sui disegni che così si dimostrano determinanti per la comprensione del linguaggio del Barbieri. Riprodurremo qui le sette pagine del testo di Scheiwiller ed anche le cinque dedicate alle poesie di Barbieri, il quale come Broggini e molti altri contemporanei si manifesta poeta di qualità. Ciò conferma che la cultura di quegli artisti figurativi è raffinata ed anche il mio convincimento che nell'oppressione fattuale dei regimi dittatoriali e autoritari la cultura come esercizio in prima persona rappresenta una sfida implicita alle barbarie di nazionalismi, sovranismi, razzismi o come dir si voglia ristrettezza mentale, egoismo, brutalità, quindi latitanza etica. 




Carlo L. Ragghianti ha occasione di recensire su “seleArte” (n.19, lug-ago 1955 pp. 41-42) la monografia, piccola di formato come piaceva a Scheiwiller divenuto editore con “All'insegna del Pesce d'Oro” (Milano 1954), curata da Massimo , di cui riportiamo il testo critico, orientato in buona parte sull'aspetto letterario del giovane artista. Anche il critico e poeta Alessandro Parronchi curerà per Pananti (Firenze 1977) una monografia centrata  in prevalenza sui disegni e comprendente anche  l'attribuzione (poi accettata comunemente) del drammatico dipinto  Impiccagione di Cesare Battisti ,  con risonanze germaniche , e a sua volta  evidentemente osservata o condivisa (Guttuso) da pittori “realisti” nostrani. E' molto probabile che la   
produzione ristretta di dipinti e disegni di Barbieri con la sua indisponibilità non vantaggiosa sul piano mercantile non abbiano incoraggiato iniziative espositive di un qualche rilievo, nemmeno pubbliche. Segnalo l'accenno che R. fa nel testo di “seleArte” dell'omaggio in occasione della morte dell'artista, che Maccari pubblicò ne “Il Selvaggio” del 15 ottobre 1938 (pp.26-31). L'ho riscontrato sulla ristampa anastatica del 1976 che ne fece lo Studio Per Edizioni Scelte (SPES di Paola Barocchi), che negli anni '90 acquistai con lo sconto editoriale. Purtroppo lo scanner A3 di cui dispongo non è sufficiente per riprodurre intere le pagine di questa rivista.
F.R. (23 maggio2018)
Scultore precoce fu intellettualmente antifascista e come tale a Milano conobbe Ragghianti, col quale ebbe poi un sodalizio se non proprio di amicizia personale – stanti i rari e occasionali incontri – di stima, come posso testimoniare, e di costante considerazione da parte del critico. La loro frequentazione più duratura avvenne durante il Premio Golfo della Spezia (luglio-agosto 1949) del quale R. fu presidente e B. membro della Giuria assieme a Valentino Bompiani, Carlo Carrà, Marco Valsecchi. Anch'io considero Broggini con particolare riguardo perché egli fu amico di Alfonso Gatto, amico dagli inizi degli anni Sessanta di mio padre e dall'Alluvione del 1966 mio amico speciale nonostante l'antitetica concezione dell'esistenza fino alla sua tragica e prematura morte per incidente automobilistico, proprio come il carissimo Giovanni Francovich.
Riporto una curiosità riguardante Broggini: egli fu l'autore del Marchio AGIP, il famoso cane a sei zampe. Lo ricordo anche perché c'erano a Firenze (e altrove) dicerie e vanterie (specialmente da parte di un “animalista” passato dal Bigallo a Piazza S. Croce) che rivendicavano la paternità di questa celebre “insegna”.

Dopo la consueta pagina del catalogo della Mostra 1915-35, riproduco la scheda della partecipazione (1948) di B. alla CADMA, l'iniziativa di diffusione dell'artigianato e dell'arte italiana in USA promossa nell'immediato dopoguerra da Max Ascoli e diretta da Carlo L. Ragghianti. Da un catalogo del 1969 si riporta la fotografia di un particolare dello studio dell'artista, cui seguono alcune sculture e l'opuscolo con il testo di Alfonso Gatto per le opere presentate da B. alla 31° Biennale di Venezia (1962). Alla fine di questo testo è inserita l'incisione che B. eseguì per la cartella pro Università Internazionale dell'Arte di Firenze e edita da “Il Bisonte” di Maria Luigia Guaita nel 1977 (vedere il post del 25 dicembre 2017 in questo blog). Seguono un autografo con la caratteristica calligrafia di B. e una lettera di C.L.R. a Giuseppe Mazzariol riguardante l'artista. Affiancati sono poi due disegni per libri editi da Mondadori (Lawrence e G. Stein). Conclude la rassegna il frontespizio di Due cipolline verdi con nota di Gatto e poesie di Broggini, il quale come molti artisti della sua generazione era persona colta, capace di esprimersi in più di un versante della creatività. Mi fa piacere, infine, ricordare l'articolo – pubblicato il 27 maggio 1982 su “La Nazione” – che Gina Lagorio, scrittrice, cara persona e autentica signora, dedicò alle liriche di Broggini e dove verso il finale scrive: “per questo ho letto il libro di Broggini come si ascolta la voce appassionata e solitaria, fuori da ogni schiamazzo di mode e di ritorni, di un artista davvero presente nella storia di Milano. Presente voglio dire per la sola autentica necessità della sua espressione, sdegnoso di compromessi mercantili come di lenocini critici”.
F.R. (16 maggio 2018)

Collezione Alberto Della Ragione




Sui rapporti intellettuali e operativi tra C.L. Ragghianti e Corrado Cagli ci sarebbe da fare ancora un'indagine approfondita, soprattutto riguardo alle vicende della “Fondazione Cagli” (di cui R. fu anche presidente) successive alla morte nel 1976 dell'artista, il quale avrebbe dovuto fare un sostanzioso lascito al Museo d'Arte contemporanea di Firenze, pervicacemente voluto e tenacemente tentato di realizzare da parte di C.L. Ragghianti. Rapporti non complessi in sé ma complicati, quando non inficiati, dal “segretario” onnipresente e olezzante in maniera oltraggiosa di inverecondi profumi, circondato dai cortigiani del maestro, piuttosto parassitari, direi, che veri e propri coadiuvanti. Una sorta di congrega Pierpaolopasoliniana, insomma. Peccato per il tempo – quello sì prezioso – perduto da mio padre in nome del pubblico beneficio! Da parte mia sarò essenziale perché quella gente mi piaceva ancor meno che a mia madre che ne era disgustata, e il loro ricordo mi rivolta tuttora.
Su Corrado Cagli gli scritti di C.L.R. sono numerosi e fatta eccezione per Arte contemporanea in Italia (“La Critica d'Arte”, III, 4-6, ago-dic. 1938) le citazioni su “Leonardo” (n.3, 1936, pp.6,7) e in Antologia del disegno a Roma (“Critica d'Arte”, 1, VII, 1937), i tutti risultano pubblicati dal 1966, come la “scheda” del Catalogo Arte Moderna in Italia 1915-1935 e successivamente. Perciò in questa sede riportiamo quelli inerenti il periodo della mostra in Palazzo Strozzi, così come per le illustrazioni riproduciamo soltanto quelle precedenti l'autoesilio dell'artista negli Stati Uniti in seguito alle leggi razziali di Mussolini e dei suoi seguaci. Di conseguenza riportiamo anche il saggio su la Battaglia di San Martino (1979) e il successivo articolo del 9 marzo 1983 su “La Nazione” perché questo dipinto, commissionato nel 1933 dal fascismo, fu terminato prima dell'esilio. Questa imponente opera, che adesso è agli Uffizi di Firenze, fu acquisita al pubblico bene grazie alla inesauribile pazienza e all'insistenza di Carlo L. Ragghianti, come sempre se non proprio isolato certo poco sostenuto e aiutato. Mi corre a questo punto l'obbligo di aprire una parentesi per dire che è bene ricordare la distinzione – perenne – tra arte e realizzare opere d'arte e il non fare arte realizzando opere da parte degli artisti durante il fascismo. Le opere d'arte si riconoscono per la loro qualità espressiva e non sono ascrivibili all'ideologia politica o religiosa 
dominante nella società di ogni periodo storico. Perciò il fascista Sironi crea opere d'arte perché la sua creatività è formale, non ideologica; il come tutti (quasi: C.L.R. no!) iscritto al Partito Nazionale Fascista Cagli Corrado crea opere d'arte quasi sempre per lo stesso motivo di Sironi. Coloro che invece producono soltanto propaganda o acquiescenza a canoni imposti (realismo socialista o nazionalsocialista ad es.) non esprimono arte quasi mai ma bene che vada illustrazione, magari anche di buona qualità artigianale, ma non arte.
La Battaglia di San Martino è un insieme di pannelli uniti per sorreggerne le dimensioni sesquipedali, perciò non sono riuscito a trovare – nemmeno nel web – un'immagine decente (tutte quelle che ho visto provengono da un poster edito in occasione dell'istallazione agli Uffizi e vi si vedono pieghe o riflessi) che comprendesse tutta l'opera. Di conseguenza riprodurrò quella del Catalogo della mostra (n.1788, p.417) come pis aller e da altre fonti qualche particolare di questa epica battaglia accaduta nel Risorgimento. In proposito, forse è opportuno che si riproponga all'attenzione l'articolo, pubblicato ne “La Stampa” il 20 aprile 1966 con il titolo redazionale Fantasia e cultura in Corrado Cagli, che C.L.R. scrisse durante la preparazione di questa storica mostra e si vagliavano artisti e opere per poter poi esporre il selezionato in Palazzo Strozzi.
Non per infierire ma per documentazione chiudo questa scheda riproducendo opere di Cagli degli anni Trenta raramente viste e dimenticate. Sono quasi sicuro che esse fossero sconosciute a C.L.R. tanto che le illustrazioni non provengono dagli Archivi ma da mie successive acquisizioni. Si tratta di Combattimento (1931-32) operato in collaborazione con Dante Baldelli, di un vaso (c.1932) intitolato Marcia su Roma e di Veduta di Roma (1937) di stampo “imperiale”. Come si può agevolmente osservare sono opere in cui l'intento propagandistico è palese, voluto. (Ricordo per i giovani che non era obbligatorio lavorare per il regime, ti potevi se richiesto rifiutare e fare se non la fame una vita disagiata; altrimenti se non richiesto dal Fascio l'artista poteva esprimersi con libertà purché non creasse opere di denunzia del regime. Quindi l'epopea di vittima antifascista creata per Cagli è una panzana: era anche lui uno dei tanti, il solito italiano che “Francia o Spagna purché se magna!”.

F.R. (17 maggio 2018)

Sui rapporti personali tra Giuseppe Capogrossi (1900-1972) e Ragghianti non ho praticamente nulla da dire: al di là di una positiva considerazione del critico per l'operato dell'artista non posso testimoniare alcunché. Mi risulta che C.L.R. prima del 1964 parlò del pittore soltanto citandolo in Arte contemporanea in Italia (“La Critica d'Arte”, 4/6, ago.-dic. 1938). Qui riporto come negli altri casi la “scheda” scritta da R. e una serie di opere fino al 1935 ancora interamente figurali (il Ritratto di donna, 1935 è tratto da un'illustrazione migliore di quella riprodotta nel Catalogo col n.1806; noto che sembra si tratti della stessa persona di Ballerina, 1934).Dal volume Arte in Italia 1935-1955 (Università Internazionale dell'Arte – Edifir, 1992) che costituisce il ricco e importante catalogo della omonima esposizione mai fisicamente realizzata, riproduco la p.233, in cui sono illustrate tre opere del 1947,1949,1951 che mostrano il   
famoso e dirompente passaggio stilistico di Capogrossi a immagini non figurali in modo emblematico. Riproduco poi una lettera di C. per mostrarne la grafia e l'acquaforte incisa per la Cartella Galleria Grafica Contemporanea – 50 incisioni di Maestri italiani (1964) perché descritta nel saggio che la accompagna dalla seguente frase definitoria di Ragghianti: “Una costellazione di forme in consensi di gravitazioni e di rapporti, carpita sui bianchi splendidi ed invariabili”. Concludo con la scheda che Marco Scotini pubblicò in C.L.R. e il carattere cinematografico della visione (Charta, 2000) e l'inizio di una presentazione scritta da C. Cagli per la personale di Capogrossi alla Galleria del Secolo (Roma, 1950) che trovo piuttosto esemplare per come si possa parlare d'arte senza costrutto attinente allo specifico creato dall'artista.

F.R. (18 maggio 2018)

Nessun commento:

Posta un commento