
Post precedenti:
1. 30 dicembre 2017
Presentazione di Carlo L. Ragghianti.
Criteri del Catalogo, Bibliografia generale. Comitato d'onore; Comitato esecutivo; Comitato tecnico; Comitato di consulenza nazionale; Consiglio A.T.T. di Firenze; Consiglio de “La Strozzina”; organizzatori percorso museografico; segreterie; fornitori dell'esposizione.
2. 31 dicembre 2017
Criteri assegnazione schede critiche; criteri per la consultazione del Catalogo e quelli distintivi di questa rievocazione.
Artisti: ALCIATI, Nino BARTOLETTI, Pasquarosa BARTOLETTI, BIASI, BONZAGNI, BOSIA, BUCCI, CHECCHI, COSTETTI, FERRO.
3. 28 febbraio 2018
Artisti: GALIZZI, GEMITO, GRAZIOSI, Piero MARUSSIG, OPPI, PENAGINI, PRENCIPE, SPADINI, WILDT.
4. 25 marzo 2018
Artisti: BACCI, DUDREVILLE, GOLA, MAGRI, PARESCE, RAMBELLI, BARTOLI NATINGUERRA, GUIDI.
5. 15 aprile 2018
Artisti: BARTOLINI.
6. 4 maggio 2018
Artisti: SAVINIO, TROMBADORI, MONACHESI, FONTANA, MUNARI, FRANCALANCIA.
Grazie alla indefessa e
sincera attività promozionale, forse non del tutto disinteressata ma
efficace, dello scultore Aurelio De Felice (1915-1996) Orneore
Metelli a guerra appena finita da Parigi fu designato come, se non
l'unico, certo uno dei pochissimi pittori cosiddetti Naȉfs
da considerare erede del Doganiere Rousseau. Metelli fu infatti
definito e accettato come il “Rousseau” del XX secolo. Per altro
verso il calzolaio di Terni fu precursore, come creatore e interprete
di calzature speciali e di lusso, del poi celeberrimo Salvatore
Ferragamo. Metelli si dedicò alla sua riposta, nascosta vocazione e
passione primaria per la pittura subito dopo la fine della Prima
Guerra Mondiale. Tuttora viene considerato nel mondo uno dei
principali interpreti dell'espressività pittorica ingenua e
autodidattica, anche se poco rappresentato perché le sue opere non
sono nel giro commerciale perché, credo, sono “musualizzate” o
comunque in collezioni stabili, consolidate.
Carlo L. Ragghianti già
prima della guerra conobbe l'esistenza di questo artista appartato e
seguì nel 1946 il “revival” promosso da De Felice. Il critico fu
sempre attento alle forme non canoniche di espressività originale (e
infatti, ad es., non apprezzava fenomeni come quello dei Naȉfs
jugoslavi (sloveni) derivati da Generalić. C.L.R. fu tra l'altro, su
indicazione di Ida Cardellini se ben ricordo, uno degli “scopritori”
di Venturino Venturi, allora considerato dai più soltanto un malato
di mente che si esprimeva figurativamente – cioè categoria “Art
Brut” –. Di conseguenza, con amici come Mario Luzi, definì
subito Venturino artista senza qualificazioni limitative e
fuorvianti. Così C.L.R. apprezzò la “scoperta” – vantata da
Enrico Vallecchi – di Francesco Galeotti da Marradi, come il poeta
Campana, e ne pubblicò in “SeleArte” (n.48, p.84) un grande
disegno acquistato dal “gestore dell'artista” Vallecchi in segno
di incoraggiamento e di stima. (Che io sappia mio padre per lo stesso
motivo ha acquistato un dipinto soltanto dal mio amico Rodolfo
Ceccotti). Purtroppo i miei genitori non hanno conosciuto l'opera di
un artista di Urbino, Adolfo Paulucci, che l'acume critico di Guido
Pinzani scovò e fece conoscere anche a Firenze nell'indifferenza
blasé di critici e
colleghi, fatta eccezione per il poeta Renzo Gherardini. Questi ha
scritto alcune pagine convinte su questo autentico ed originale
“ingenuo”, pittore ed incisore da quando fu pensionato delle
Ferrovie. Penso che riproporrò questo scritto in occasione di render
pubbliche le opere edite a nostra conoscenza e
quelle di cui Rosetta ed io – grazie a Guido – siamo collezionisti gelosi. Su
“SeleArte” (n.8, sett.-ott. 1953, p.32) C.L.R. recensì la
monografia di Pierre Cousthion che consacrò l'artista a livello
internazionale. Interessanti e valide testimonianze critiche sono gli
scritti di Luigi Bartolini (Milano 1948, All'Insegna del Pesce d'Oro)
in traduzione francese poi ripresa nell'originale italiano su “Le
Arti”, rivista diretta da Garibaldo Marussi (1969, con tiratura
speciale per Comune e Provincia di Terni) e il noto e importante
saggio di Libero Bigiaretti (Centro Culturale Olivetti, Ivrea 1957).
C'è anche la monografia (Stefano De Luca, Roma 1973), che contiene
la testimonianza Il mio incontro con O.M. di
Aurelio De Felice (p.11-14) che riportiamo in questa sede e alla
quale seguono una serie di riproduzioni a colori di dipinti di
Metelli.
A
titolo di cronaca ricordo, infine, Aurelio De Felice che un mattino
pre estivo del 1966 si fiondò in casa nostra alla Costa cercando
ansioso “il professor Ragghianti” (e gli andò bene perché R.
c'era; non così per il pittore Consagra che trovò solo mia madre,
non ricordo se prima o dopo), fu ricevuto, pranzò con noi, si
trattenne per parte del pomeriggio finché lo riportai alla stazione.
S'era imposto, per altro con garbo un po' gigionesco, perché voleva
perorare la presenza di Metelli nella Mostra 1915-35 in preparazione.
Mio padre la prese con spirito ed anzi gli disse che la sua venuta
era una fortunata coincidenza perché, volendo esporre degnamente
Metelli, il Comitato esecutivo era in difficoltà non trovando ancora
a chi rivolgersi per reperire le opere occorrenti. La permanenza
pomeridiana fu più che altro occupata da comuni ricordi romani e
parigini nonché dall'attività di De Felice scultore, che R.
conosceva comunque bene e apprezzava direi non a torto. Personalmente
– sempre un po' moralista – nutrii riserve su questa persona
estroversa e spontanea ma palesemente furba, navigata, opportunista.
Appena diplomato all'Accademia di Belle Arti nel 1940 fu anche
“littore”, nel 1941 per fascistica “chiara fama” – vedo –
è nominato professore ordinario; nel 1946, guarda caso, si rifugia
in Francia, dove poi i nostri governi clericali gli hanno concesso di
creare e dirigere a Parigi la “Scuola d'Arte Italiana” e nel 1961
venne incaricato di fondare l'Istituto d'Arte di Terni. Il tutto con
rapporti stretti con socialisti e comunisti. La solita Italia, oggi
in aspettativa di grillinarsi e leghizzarsi (sempre solo se durano).
F.R.
(15 maggio 2018)
Benché entrambi residenti a Roma attorno alla metà degli anni trenta, Barbieri e Ragghianti è molto probabile che non si siano conosciuti personalmente, nonostante amici comuni come Scipione, Flaiano ecc. Ritengo che ciò sia avvenuto a causa delle preponderanti frequentazioni del coetaneo pittore con letterati e poeti, che R. invece schivava perché spesso essi non erano antifascisti e comunque non troppo affidabili per fermezza di carattere e lealtà. Certamente l'apprezzamento per la qualità dell'opera di Barbieri - vista di sicuro presso Pier Maria Bardi – è evidente ma non commosso come lo si è per la morte di un propio amico. Finalmente dopo più di un mese che lo ho ordinato su eBay (va bene che non tutti vogliono essere celeri come gli “schiavisti” di Amazon, però..) è arrivato il volumetto monografia scritto da Giovanni Scheiwiller (Hoepli, Milano 1946) che integra e
completa la documentazione che mi è occorsa per questo capitolo dell'8° post Arte moderna in Italia 1915-1935. Essa è importante perché, costituendo la prima rievocazione critica del giovane artista, fornisce documentazione ed è orientata essenzialmente sui disegni che così si dimostrano determinanti per la comprensione del linguaggio del Barbieri. Riprodurremo qui le sette pagine del testo di Scheiwiller ed anche le cinque dedicate alle poesie di Barbieri, il quale come Broggini e molti altri contemporanei si manifesta poeta di qualità. Ciò conferma che la cultura di quegli artisti figurativi è raffinata ed anche il mio convincimento che nell'oppressione fattuale dei regimi dittatoriali e autoritari la cultura come esercizio in prima persona rappresenta una sfida implicita alle barbarie di nazionalismi, sovranismi, razzismi o come dir si voglia ristrettezza mentale, egoismo, brutalità, quindi latitanza etica.
Carlo L. Ragghianti ha occasione di recensire su “seleArte” (n.19, lug-ago 1955 pp. 41-42) la monografia, piccola di formato come piaceva a Scheiwiller divenuto editore con “All'insegna del Pesce d'Oro” (Milano 1954), curata da Massimo , di cui riportiamo il testo critico, orientato in buona parte sull'aspetto letterario del giovane artista. Anche il critico e poeta Alessandro Parronchi curerà per Pananti (Firenze 1977) una monografia centrata in prevalenza sui disegni e comprendente anche l'attribuzione (poi accettata comunemente) del drammatico dipinto Impiccagione di Cesare Battisti , con risonanze germaniche , e a sua volta evidentemente osservata o condivisa (Guttuso) da pittori “realisti” nostrani. E' molto probabile che la
produzione ristretta di dipinti e disegni di Barbieri con la sua indisponibilità non vantaggiosa sul piano mercantile non abbiano incoraggiato iniziative espositive di un qualche rilievo, nemmeno pubbliche. Segnalo l'accenno che R. fa nel testo di “seleArte” dell'omaggio in occasione della morte dell'artista, che Maccari pubblicò ne “Il Selvaggio” del 15 ottobre 1938 (pp.26-31). L'ho riscontrato sulla ristampa anastatica del 1976 che ne fece lo Studio Per Edizioni Scelte (SPES di Paola Barocchi), che negli anni '90 acquistai con lo sconto editoriale. Purtroppo lo scanner A3 di cui dispongo non è sufficiente per riprodurre intere le pagine di questa rivista.
F.R. (23 maggio2018)
Scultore
precoce fu intellettualmente antifascista e come tale a Milano
conobbe Ragghianti, col quale ebbe poi un sodalizio se non proprio di
amicizia personale – stanti i rari e occasionali incontri – di
stima, come posso testimoniare, e di costante considerazione da parte
del critico. La loro frequentazione più duratura avvenne durante il
Premio Golfo della Spezia (luglio-agosto 1949) del quale R. fu
presidente e B. membro della Giuria assieme a Valentino Bompiani,
Carlo Carrà, Marco Valsecchi. Anch'io considero Broggini con
particolare riguardo perché egli fu amico di Alfonso Gatto, amico
dagli inizi degli anni Sessanta di mio padre e dall'Alluvione del
1966 mio amico speciale nonostante l'antitetica concezione
dell'esistenza fino alla sua tragica e prematura morte per incidente
automobilistico, proprio come il carissimo Giovanni Francovich.
Riporto
una curiosità riguardante Broggini: egli fu l'autore del Marchio
AGIP, il famoso cane a sei zampe. Lo ricordo anche perché c'erano a
Firenze (e altrove) dicerie e vanterie (specialmente da parte di un
“animalista” passato dal Bigallo a Piazza S. Croce) che
rivendicavano la paternità di questa celebre “insegna”.
Dopo
la consueta pagina del catalogo della Mostra 1915-35, riproduco la
scheda della partecipazione (1948) di B. alla CADMA, l'iniziativa di
diffusione dell'artigianato e dell'arte italiana in USA promossa
nell'immediato dopoguerra da Max Ascoli e diretta da Carlo L.
Ragghianti. Da un catalogo del 1969 si riporta la fotografia di un
particolare dello studio dell'artista, cui seguono alcune sculture e
l'opuscolo con il testo di Alfonso Gatto per le opere presentate da
B. alla 31° Biennale di Venezia (1962). Alla fine di questo testo è
inserita l'incisione che B. eseguì per la cartella pro Università
Internazionale dell'Arte di Firenze e edita da “Il Bisonte” di
Maria Luigia Guaita nel 1977 (vedere il post del 25 dicembre 2017 in
questo blog). Seguono un autografo con la caratteristica calligrafia
di B. e una lettera di C.L.R. a Giuseppe Mazzariol riguardante
l'artista. Affiancati sono poi due disegni per libri editi da
Mondadori (Lawrence e G. Stein). Conclude la rassegna il frontespizio
di Due cipolline verdi
con nota di Gatto e poesie di Broggini, il quale come molti artisti
della sua generazione era persona colta, capace di esprimersi in più
di un versante della creatività. Mi fa piacere, infine, ricordare
l'articolo – pubblicato il 27 maggio 1982 su “La Nazione” –
che Gina Lagorio, scrittrice, cara persona e autentica signora,
dedicò alle liriche di Broggini e dove verso il finale scrive: “per
questo ho letto il libro di Broggini come si ascolta la voce
appassionata e solitaria, fuori da ogni schiamazzo di mode e di
ritorni, di un artista davvero presente nella storia di Milano.
Presente voglio dire per la sola autentica necessità della sua
espressione, sdegnoso di compromessi mercantili come di lenocini
critici”.
F.R.
(16 maggio 2018)
Collezione Alberto Della Ragione
Sui
rapporti intellettuali e operativi tra C.L. Ragghianti e Corrado
Cagli ci sarebbe da fare ancora un'indagine approfondita, soprattutto
riguardo alle vicende della “Fondazione Cagli” (di cui R. fu
anche presidente) successive alla morte nel 1976 dell'artista, il
quale avrebbe dovuto fare un sostanzioso lascito al Museo d'Arte
contemporanea di Firenze, pervicacemente voluto e tenacemente tentato
di realizzare da parte di C.L. Ragghianti. Rapporti non complessi in
sé ma complicati, quando non inficiati, dal “segretario”
onnipresente e olezzante in maniera oltraggiosa di inverecondi
profumi, circondato dai cortigiani del maestro, piuttosto
parassitari, direi, che veri e propri coadiuvanti. Una sorta di
congrega Pierpaolopasoliniana, insomma. Peccato per il tempo –
quello sì prezioso – perduto da mio padre in nome del pubblico
beneficio! Da parte mia sarò essenziale perché quella gente mi
piaceva ancor meno che a mia madre che ne era disgustata, e il loro
ricordo mi rivolta tuttora.
Su
Corrado Cagli gli scritti di C.L.R. sono numerosi e fatta eccezione
per Arte contemporanea in Italia (“La
Critica d'Arte”, III, 4-6, ago-dic. 1938) le citazioni su
“Leonardo” (n.3, 1936, pp.6,7) e in Antologia del
disegno a Roma (“Critica
d'Arte”, 1, VII, 1937), i tutti risultano pubblicati dal 1966, come
la “scheda” del Catalogo Arte Moderna in Italia
1915-1935 e successivamente.
Perciò in questa sede riportiamo quelli inerenti il periodo della
mostra in Palazzo Strozzi, così come per le illustrazioni
riproduciamo soltanto quelle precedenti l'autoesilio dell'artista
negli Stati Uniti in seguito alle leggi razziali di Mussolini e dei
suoi seguaci. Di conseguenza riportiamo anche il saggio su la
Battaglia di San Martino (1979)
e il successivo articolo del 9 marzo 1983 su “La Nazione” perché
questo dipinto, commissionato nel 1933 dal fascismo, fu terminato
prima dell'esilio. Questa imponente opera, che adesso è agli Uffizi
di Firenze, fu acquisita al pubblico bene grazie alla inesauribile
pazienza e all'insistenza di Carlo L. Ragghianti, come sempre se non
proprio isolato certo poco sostenuto e aiutato. Mi corre a questo punto l'obbligo di aprire una parentesi per dire che è bene ricordare la distinzione – perenne – tra arte e realizzare opere d'arte e il non fare arte realizzando opere da parte degli artisti durante il fascismo. Le opere d'arte si riconoscono per la loro qualità espressiva e non sono ascrivibili all'ideologia politica o religiosa
dominante nella società di ogni periodo storico. Perciò il fascista
Sironi crea opere d'arte perché la sua creatività è formale, non
ideologica; il come tutti (quasi: C.L.R. no!) iscritto al Partito
Nazionale Fascista Cagli Corrado crea opere d'arte quasi sempre per
lo stesso motivo di Sironi. Coloro che invece producono soltanto
propaganda o acquiescenza a canoni imposti (realismo socialista o
nazionalsocialista ad es.) non esprimono arte quasi mai ma bene che
vada illustrazione, magari anche di buona qualità artigianale, ma
non arte.
La
Battaglia di San Martino è
un insieme di pannelli uniti per sorreggerne le dimensioni
sesquipedali, perciò non sono riuscito a trovare – nemmeno nel web
– un'immagine decente (tutte quelle che ho visto provengono da un
poster edito in occasione dell'istallazione agli Uffizi e vi si
vedono pieghe o riflessi) che comprendesse tutta l'opera. Di
conseguenza riprodurrò quella del Catalogo della mostra (n.1788,
p.417) come pis aller
e da altre fonti qualche particolare di questa epica battaglia
accaduta nel Risorgimento. In proposito, forse è opportuno che si
riproponga all'attenzione l'articolo, pubblicato ne “La Stampa”
il 20 aprile 1966 con il titolo redazionale Fantasia e
cultura in Corrado Cagli, che
C.L.R. scrisse durante la preparazione di questa storica mostra e si
vagliavano artisti e opere per poter poi esporre il selezionato in
Palazzo Strozzi.
Non
per infierire ma per documentazione chiudo questa scheda riproducendo
opere di Cagli degli anni Trenta raramente viste e dimenticate. Sono
quasi sicuro che esse fossero sconosciute a C.L.R. tanto che le
illustrazioni non provengono dagli Archivi ma da mie successive
acquisizioni. Si tratta di Combattimento (1931-32) operato in
collaborazione con Dante Baldelli, di un vaso (c.1932) intitolato
Marcia su Roma e di Veduta di Roma (1937) di stampo
“imperiale”. Come si può agevolmente osservare sono opere in cui
l'intento propagandistico è palese, voluto. (Ricordo per i giovani
che non era obbligatorio lavorare per il regime, ti potevi se
richiesto rifiutare e fare se non la fame una vita disagiata;
altrimenti se non richiesto dal Fascio l'artista poteva esprimersi
con libertà purché non creasse opere di denunzia del regime. Quindi
l'epopea di vittima antifascista creata per Cagli è una panzana: era
anche lui uno dei tanti, il solito italiano che “Francia o Spagna
purché se magna!”.
F.R.
(17 maggio 2018)
Sui
rapporti personali tra Giuseppe Capogrossi (1900-1972) e Ragghianti
non ho praticamente nulla da dire: al di là di una positiva
considerazione del critico per l'operato dell'artista non posso
testimoniare alcunché. Mi risulta che C.L.R. prima del 1964 parlò
del pittore soltanto citandolo in Arte contemporanea in
Italia (“La Critica d'Arte”,
4/6, ago.-dic. 1938). Qui riporto come negli altri casi la “scheda”
scritta da R. e una serie di opere fino al 1935 ancora interamente
figurali (il Ritratto di donna,
1935 è tratto da un'illustrazione migliore di quella riprodotta nel
Catalogo col n.1806; noto che sembra si tratti della stessa persona
di Ballerina,
1934).Dal volume Arte in Italia 1935-1955 (Università
Internazionale dell'Arte – Edifir, 1992) che costituisce il ricco e
importante catalogo della omonima esposizione mai fisicamente
realizzata, riproduco la p.233, in cui sono illustrate tre opere del
1947,1949,1951 che mostrano il
famoso e dirompente passaggio stilistico di Capogrossi a immagini non figurali in modo emblematico. Riproduco
poi una lettera di C. per mostrarne la grafia e l'acquaforte incisa
per la Cartella Galleria Grafica Contemporanea – 50
incisioni di Maestri italiani
(1964) perché descritta nel saggio che la accompagna dalla seguente
frase definitoria di Ragghianti: “Una costellazione di forme in
consensi di gravitazioni e di rapporti, carpita sui bianchi splendidi
ed invariabili”. Concludo con la scheda che Marco Scotini pubblicò
in C.L.R. e il carattere cinematografico della visione
(Charta, 2000) e l'inizio di una presentazione scritta da C. Cagli
per la personale di Capogrossi alla Galleria del Secolo (Roma, 1950)
che trovo piuttosto esemplare per come si possa parlare d'arte senza
costrutto attinente allo specifico creato dall'artista.
F.R.
(18 maggio 2018)
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