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domenica 15 ottobre 2017

GIOTTO 2017, 4

Carlo L. Ragghianti (1937-1966) / Giotto Architetto



Proseguendo, in occasione del 750° anniversario dalla (supposta) nascita di Giotto, la ri-pubblicazione degli scritti dei Ragghianti concernenti l'artista, dopo i tre post (di cui il secondo presentava in veste grafica modificata la monografia di Licia Collobi), riproponiamo una serie di scritti di Carlo L. Ragghianti, articolati in tre puntate, direttamente o strettamente collegati con il pittore e architetto vicchiese. Curiosamente nella Bibliografia degli scritti di C. L. Ragghianti, Giotto prima del 1969 è citato soltanto tre volte, due delle quali in contesti stringati, marginali. Eppure nel pensiero dello storico lucchese l'opera di Giotto è sempre stata un punto di riferimento cruciale, permanente. E certamente la riflessione sulla grandiosa attività dell'artista mugellano è ricorsa in lezioni, conferenze, ecc., molto spesso; però – purtroppo – di queste espressioni verbali all'epoca rimaneva raramente traccia, tanto meno documentazione. Si tratta, comunque, di un breve resoconto su Note Giottesche (in “Critica d'Arte”, XI-XII, sett.-dic. 1937, p. XL-XLI) della polemica tra Luigi Coletti – che R. rispettava come persona e come studioso – e altri storici dell'arte (Brandi in particolare). Così anche nella successiva recensione (“Critica d'Arte”, III s., n. 3, sett. 1949, p. 246) in 14 righe si riferisce che lo studio del Peŝina Spazio tettonico e architettura in Giotto “contiene osservazioni e spunti originali”. Nella Bibliografia si risale al 1964 quando su “SeleArte” (n. 70, lug.-ago., pp. 35-40) Ragghianti esamina il volume Giotto architetto (Edizioni di Comunità, 1963, pp. 234) opera di Decio Gioseffi, nella quale R. – per altro direttore della collana editoriale – aveva scritto la presentazione e le risguardie di sopracopertina. Riproduciamo questi tre documenti in calce alla presente nota. Comunque, qualcosa del “disperso” pensiero di C.L.R. su Giotto lo abbiamo rintracciato, altro si può desumere dalla citazione del nome in contesti in cui l'artista compare per qualche motivo; basta avere la pazienza di riscontrare gli Indici dei libri scritti da R. e delle riviste da lui dirette. A questo proposito, da un veloce confronto ho trovato una notevole presenza dell'artista nel saggio Fine del Medioevo: profili differenziati scritto nel 1941 (in Miscellanea minore di Critica d'Arte, Laterza, Bari 1946, pp. 59-68); così anche in Artisti e “civiltà” (ne Il pungolo dell'arte, Pozza, Venezia 1956, pp. 56-90) scritto nel 1955. Sono certo che in altri testi qualcosa di significativo circa Giotto sia accertabile. Dall'Archivio ho ricavato un testo (pubblicato in “SeleArte”, IV serie, n. 21, 1955, pp. 27-29) con il titolo Professionalità, che verrà riprodotto in questo blog tra qualche tempo, sulla pittura giottesca degli inizi del Trecento, che R. rivolge al laureando GianPaolo Gandolfo in data 17 giugno 1953. Ancora su “SeleArte”, IV serie, n. 21, marzo 1995, p. 30 (che sarà ripubblicato in questa sede entro l'anno) a G.P. Gandolfo vengono indirizzati degli Appunti metodologici (“Vedere, vedere, vedere e rivedere”, ad es. ) riguardanti il periodo storico in esame. Sempre in Archivio ho rintracciato le osservazioni che R. rivolge a James Stubblebine – borsista Fulbright – nell'ambito di una “tesina” per lo Studio Italiano di Storia
dell'Arte (1954). Questo testo è stato pubblicato e postato il 10 ottobre 2017 col titolo Magisterio di Ragghianti, 4. Giotto, Duccio e Postilla sullo Studio Italiano di Storia dell'Arte. Nel 1956 viene pubblicato Pittura del Dugento a Firenze con una nota sul retro della copertina in cui si precisa che: “ Questa monografia dedicata alla pittura del Dugento a Firenze ha volontariamente escluso l'attività di GIOTTO ed i suoi effetti a partire dal 1280 almeno, salvo quelli che si veggono nel tardo Cimabue. Nella illustrazione si è preferito richiamare l'attenzione dei lettori su Maestri ed anche su opere meno ben note per quanto di grande significato, piuttosto che sui fatti più comunemente acquisiti (ciò vale ancora per CIMABUE, di cui si può trovare una larga documentazione in ogni manuale; ed anche per la presenza a Firenze di DUCCIO DI BUONINSEGNA [vedere il qui citato post del 10.10.2017] con la Madonna Rucellai del 1285). Così si è preferito, spesso, il dettaglio indicativo o probante, pure fornendo al lettore l'insieme degli esemplari pittorici più rappresentativi. Possiamo tuttavia assicurare che questa monografia, con le sue riproduzioni originali a colori ed in nero, fornisce la più ampia raccolta di opere pittoriche del Dugento fiorentino sinora apparsa”. Il libro è stato poi ri-pubblicato integralmente in Arte in Italia Vol. III, secoli XII e XIII, Casini Editore, Roma 1969. A Pittura del Dugento si riferisce anche Riassunto dei risultati critici (titolo con calligrafia di Ragghianti): sono tre pagine pubblicate in “SeleArte”, (IV serie, n. 7, estate 1990, pp. 9-11) già postato nel nostro blog il 19 gennaio 2017. A p. 2, nell'introduzione ai contenuti del cit. fascicolo 7, scrivevo che “come detto non siamo in grado di indicare la destinazione originaria”, poi – beata ingenuità – pensavo che “questo scritto sarà utile complemento alla prevista (come allora assicurato) riedizione critica del libro che comprenderà anche il percorso di Giotto nel secolo XIII...”. Accadde invece che soltanto venti anni dopo, nel 2010, verrà pubblicato dalla Fondazione Ragghianti il volume Prius Ars. Questa edizione del Medioevo di Ragghianti però escludeva i da lui previsti e voluti scritti sui secoli XII e XIII. A questo travisamento delle intenzioni dell'Autore e nostre si aggiunge il fatto che la veste tipografica dell'edizione è piuttosto lussuosa, certo, però graficamente e “didatticamente” si pone alle antipodi della volontà, più volte manifestata, di C.L.R. e delle indicazioni precise e stringenti date dalla famiglia sua erede al grafico Leonardo Baglioni, che oltretutto era sempre stato da noi designato nel Comitato Scientifico della Fondazione. Una faccenda tutto sommato squallida che riferisco con tristezza. Sempre dall'Archivio di casa rendo nota una lettera del 28 luglio 1966 che Ragghianti rivolse all'amico Alberto Mortara produttore della serie dei critofilm “seleArte”. In essa si propone la realizzazione di un filmato su Giotto, con diffuse indicazioni per la sua concreta realizzazione che fanno pensare ad un'opera di largo respiro e complessità non dissimile dal Michelangiolo del 1964.
Purtroppo per le vicissitudini della Olivetti, che già stentò a sostenere la realizzazione michelangiolesca, la proposta non ebbe seguito: un vero peccato! In conclusione, circa Giotto architetto e l'interessamento di Ragghianti per l'argomento penso sia opportuno qui ricordare lo studio dell'architetto Corrado Verga, ospitato in due fascicoli del 1974 di “Critica d'Arte” (n. 134, pp. 35-52; n. 135, pp. 19-34) col titolo Giotto e compagni “optic art”. Lo studioso vi svolge tesi piuttosto interessanti ed originali e considera che “i punti storici principali della cultura architettonica teorica o grafica di Giotto sono riconoscibili nelle strutture edilizie di inquadramento o di campo inserite nei cicli di Assisi, del mosaico sampietrino di Roma e delle Cappelle Bardi e Peruzzi nella Santa Croce fiorentina”. Verga si riferisce spesso al libro di Gioseffi, considerato basilare, avvertendo che “l'autore quanto ai problemi metodologici generali e in particolare alla considerazione dell'architettura pur se dipinta, quando sia architettonicamente costituita, si riferisce al Ragghianti (Problemi padovani: Battistero e Capelli Belludi, 1959, in “Critica d'Arte”, 1961, n. 45) il quale aveva precisato le prospettive, le persistenze ambientali e soprattutto le vedute multiple di edifici di Giotto, e poi di Altichiero”. Nella seconda parte della nota 37, conclude “Sulle qualificazioni di Giotto ed a lui riconosciute vedi Ragghianti, Stefano da Ferrara, p. 46 sg. (1972)”. La nota prosegue con “C.L.Ragghianti mi informa di avere scritto vari anni fa uno studio su Arnolfo e Giotto urbanisti e sul loro intervento nella sistemazione trecentesca di Firenze, che sarà quanto prima pubblicato”. In realtà il saggio non fu pubblicato: mi risulta che fu consegnato dattiloscritto ad un architetto collaboratore dell'Università Internazionale dell'Arte di Firenze in vista di uno studio nel quale affiancasse Ragghianti, di modo che costui potesse svolgere il proprio intervento sulla base delle conclusioni già raggiunte. L'architetto è morto, il dattiloscritto non è mai stato restituito alla famiglia dopo la dipartita di mio padre. Spero, ma non ci conto, che si trovi nell'Archivio della Fondazione di Lucca o, almeno, che questa ricerca sia ricostruibile con le carte ivi depositate. Un'ultima considerazione: su “L'Espresso” del 5 gennaio 1964 (p. 19) anche Bruno Zevi recensì il libro di Gioseffi nell'articolo Giotto architetto/incorniciava gli affreschi col compasso. Dopo averlo riletto penso che non sia centrato né equilibrato, manifesti anzi una sorta di risentimento per l'intrusione di uno storico dell'arte nel “sacro” recinto dell'architettura. Ragghianti, poi, con biro rossa pone a fianco del testo dei punti interrogativi, uno esclamativo: ci sono poi diverse sottolineature (una con a lato “fraintende” là dove Zevi scrive di Giotto “opaco architetto”. Il tutto con evidente intento di disapprovazione critica.

Francesco Ragghianti



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