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giovedì 26 gennaio 2017

Ragghianti su Dalí




Invece non sono d'accordo con Lei sul Dalí. Io ho veduto le prime opere di Dalí a Parigi verso il 1932: e debbo dire che mi lasciò sempre incommosso, tanto quanto ero poco curioso di svolgere i rebus – del resto più pretenziosi che veramente complessi e profondi – rappresentati dalle sue figurazioni. Era un momento nel quale il “surrealismo” teneva le critiche piazze; il fenomeno era relativamente recente, era chiassoso, era parigino, e quindi in tutta l'Europa la critica, anche la più avvertita, guardava al Dalí, come anche al De Chirico, con aria di compunzione. Io, come sa, già nel 1935 detti mano al chiarimento che, anche nel caso del De Chirico detto “metafisico”, si trattava di fenomeni che avevano attinenza piuttosto alla storia della cultura ed anche dei movimenti psicologici o delle mode sentimentali, che non all'arte; sicché quando si parlava di “decadenza” del De Chirico addatosi a raffigurare le sue nuove convinzioni realistico-classico-restauratrici, si diceva cosa inesatta, in quanto presupponeva che le opere “metafisiche” obbedissero a moventi intimamente diversi. Per il Dalí ebbi sempre parole severe, non tanto perché mi interessasse o movesse molto, ma per polemica verso gli equivoci che in suo nome la critica prendeva. Ho poi ripetutamente avuto agio di vedere opere del Dalí: è una vittima della capacità riproduttiva, insieme di una ocularità straordinariamente efficiente e di una manualità rotta a ogni possibilità captativa

delle immagini fisiche. I suoi drammi sono tutti di immaginativa posticcia (e anche mediocre), di invenzione che si costruisce faticosamente e artificiosamente a parte, con molta velleità di stupefare e di impressionare, e sono completamente estranei all'applicazione certosina e artigianale della sua pittura. Io non so leggere fuori della concreta realizzazione pittorica, e ritengo che tutto l'artista o il pittore è nel linguaggio che concreta: il modo pittorico di Dalí è di una scioccaggine, di una scipitezza, di un'applicazione miope e corta che sta fra il ricamatore e il ritoccatore; la sua pittura come tale è uno sfoggio di tecnica raffigurativa onnivalente, che non mi provoca nessun interesse, in quanto non guardo a un'opera di pittura con interessi pratici di qualsiasi genere (perciò anche sentimentali, letterari,culturali,psicoanalitici,sensuali ecc.), e se questi vi sono, come contenuto di forma, cioè dell'espressione qua talis. Da ciò il mio disinteresse, che dico?, il mio fastidio sia della pittura del Dalí, che di quella dello Ernst o del De Chirico o del Magritte o del Delveaux o di altri impersonali dipintori o raffiguratori del genere.
Mi scusi se ho dettato questa lettera senza molto ordine, ma sarà l'inizio della nostra conversazione. Frattanto mi congratulo con Lei per l'interesse che mostra per la comprensione dell'arte, la incito ad approfondire e maturare le sue capacità e, mi abbia con cordiali saluti

Carlo Ludovico Ragghianti
(a Sig. Martinelli 16.8.1954)







da "SeleArte" II, 23 (172-174) lug.-dic. 1980, p.236




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